Una serata in casa Benvello di Marziano Bernardi

Una serata in casa Benvello CENTO ANNI D'ARTE PIEMONTESE Una serata in casa Benvello Intabarrati come quegli omini che al vedono in certe litografie di Gonln, i pantaloni stretti al polpaccio e ben stirati dal sottopiede, il tubino calcato sulla fronte, gli undici valentuomini che il 28 febbraio 1842 uscivano da casa Bertovello nella notte nebbiosa serbavano ancora nella lieta concitazione dei gesti e nel suono alto delle parole il calore della vivace serata. Fino ad ora tarda, nello studio del conte in» torno alla gran tavola Luigi Filippo (era 11 conte uomo d'idee arditamente moderne ed anche l'arredamento delle sue stanze, private aveva voluto ammodernare), fl'eran trattenuti a discutere appassionatamente, uno per uno e quasi parola per parola, 1 paragrafi già elaborati nelle due precedenti adunanze per lo statuto della nascente Società. Adesso non rimaneva che ottenere il sovrano gradimento presentando il testo al Gallina, Primo Segretario di Stato per gli Affari Interni e le Finanze, ed apportandovi quelle modificazioni che il Re, attentissimo a tutto ciò che riguardava la vita artistica della Capitale, non avrebbe mancato di esigere. Ma 11 più era fatto; 1 cento sot toscrittori di azioni a lire venti eaduna, sufficienti a convalidare la costituzione del sodalizio, eran stati trovati; e sotto la presidenza del conte Cesare Della Chiesa di Benevello, essendo vice-presidente il barone Giuseppe Manno, segretario 11 cavaliere Alessandro Paravia, vice-segretario l'Incisore Giovanni Volpato, Conservatore del Disegni e delle Stampe di Sua Maestà, tesoriere il Banchiere della Real Corte, Giovanni Nigra, la Società, Promotrice delle Belle Arti di Torino, avente « per iscopo di eccitare fra gU artisti una lodevole emulazione, di propagare la notizia delle loro opere e di aiutarne lo spaccio », poteva dirsi finalmente nata. Con l'aiuto dei signori consiglieri conte Bertalazone d'Arache, Pelagio Palagi, Giovanni Battista Biscarra, conte Gal. leani di Canelli, cavaller Carlo Mosca, conte Federico Sclopis, tutto sarebbe andato a gonfie vele, « Tdi primIl magnanimo Re Buio e deserto era il tratto di contrada Carlo Alberto (già cosi si chiamava il tronco di strada, aperto attraverso il giardino di Palazzo Carignano, in prosecuzione di contrada Madonna degli Angeli); buio quantunque due anni prima Davide Bertolotti avesse scritto non senza celato orgoglio: « Presentemente Torino è illuminata da 481 lanterne ad olio che ardono tutta quanta la notte dalla sera al mattino, risplenda o non riaplenda la luna... Ventotto illu minatori nello spazio di venti minuti accendono tutte le lanterne »; deserto perchè la neve melmosa che la nebbia aveva impedito di gelare non invogliava certo i nottambuli ad avventurarsi sul tremendo acciottolato torinese che' aveva fatto annotare al Millin «per le strade di Torino si può fare un corso di litologia ». Ma l'entusiasmo di quel convegno memorabile aveva spinto il Benevello ad accompagnare gli amici fino all'angolo della contrada del Po. La sua alta figura aristocratica si curvava nell'ombra su quella tozza e corpulenta, già un poco acciaccata dall'età, di Pelagio Palagi, il più autorevole degli artisti operanti allora a Torino, pittore, scultore, architetto, uomo di fiducia del Re. Al gentiluomo piemontese pareva ritrovare le lontane fervide serate parigine, quando, dopo il '21, la sua famiglia aveva cercato all'estero un brio di vita intellettuale, ormai spento nella grigia Capitale subalpina della Restaurazione: grigiore e tedio che l'avevano resa insopportabile anche a Massimo d'Azeglio. Quanto mutata da allora l'atmosfera! Carlo Alberto, senza dubbio, ne aveva gran merito. Le sue riforme, le sue concessioni nel campo della cultura e dell'educazione artistica — la creazione della Pinacoteca, l'incremento dato all'Accademia di Belle Arti compiute soprattutto per incitamento e consiglio di Roberto d'Azeglio avevano favorito un clima nuovo. Il fatto stesso che le preziose collezioni d'arte del palazzi reali, prima quasi in accessibili al pubblico, dal 2 o\- tobre 1832 trovassero posto in Palazzo Madama per esser godute da quanti desiderassero accostarsi a quei capolavori, altro non era che un riflesso limpidissimo della grandiosa rivoluzione politica e sociale che andava ormai rapidamente maturando in Piemonte e che di 11 a pochi anni sarebbe sboccata nella promulgazione dello Statuto e nella dichiarazione della guerra all'Austria. Che cosa sosteneva da tempo quell'uomo di fede tenace e d'ingegno vivido ch'era il marchese Roberto d'Azeglio ? Che « la precipua ragione per cui il Piemonte non s'era reso illustre quanto le altre regioni d'Italia nella pittura, era la mancanza degli esempi che offrono ai giovani cultori delle arti belle le opere degli eccellenti artefici », opere che per la maggior parte erano bene privato, in Torino, della Dinastia e. che quindi occorreva rendere di pubblico dominio: tesi alquanto semplicistica, ma comunque consona alle aspirazioni che travagliavano le éìites Intellettuali e oscuramente serpeggiavano nel popolo; e la volontaria spogliazione che il Sovrano compiva a favore di tutte le persone Intelligenti, affidando le sue raccolte alle cure del d'Azeglio, era un atto di importanza spirituale enorme che solo a distanza di decenni avrebbe potuto essere storicamente valutato ed apprezzato in tutta la sua entità. Cosi il radicale riordinamento, nel 1833, ed il trasporto nella sua nuova sede (l'attuale) dell'Accademia di Belle Arti —■ da allora appunto detta Albertina — significava che Idee nuove germinavano, in attesa che uomini attivi e capaci le raccogliessero per trasformarle in proficue realtà. Nostro Risorgimento Ciò che, regnante Carlo Felice, era stato oscurato dall'ombra del Trocadero, meno di vent'anni dopo trovava, pur nel dominio dell'arte, i più vari segni a svelarne l'insopprimibile necessità. Come la Restaurazione era stata un dogmatico guardare al passato, ora l'Imminente Risorgimento spingeva anche i giovani artisti a guardare verso l'avvenire. Dal canto suo il Re, che permetteva la costituzione di quella Società Agraria considerata con tanto sospetto (e non a torto) dal ministro Solaro della Margherita, non aveva più motivo d'opporsi se un gruppo di torinesi intelligenti fondava una Società Promotrice di Belle Arti, che probabilmente sarebbe stata vietata dal suo predecessore. E non era puramente formale — soli sei anni prima del passaggio del Ticino — la clausola inserita nel trentottesimo paragrafo dello statuto della nuova associazione: «In ogni adunanza tanto generale che particolare non si potrà trattare di oggetti estranei allo scopo della Società»? C'era dunque a Torino un clima - l'inimitabile, il fiorente, il generoso romantico clima della primavera della Patria italiana; nè s'intenderà mai il fuoco di certe polemiche intellettuali, il disintetesse supremo per ogni questione o vantaggio personale che a Firenze contrassegnava la generazione dei Macchiaiuoli, a Napoli quella di Morelli e di Palizzi, a Milano quella dei giovani adunati intorno a Rovani, a Torino quella che, gareggiando nelle annuali esposizioni della Promotrice e del \Circolo degli Artisti fondato nel sFLsdul f ia ai 2). È 1857, si sforzava di rinnovi vare la vecchia tradizione figurativa piemontese ancora intorpidita dal lungo ?elo neoclassico — non si capirà mai, dico, certo candore d'entusiasmo per l'Arte, che quegli uomini scrivevano e pronunziavano con la maiuscola appunto perchè in essa perdutamente credevano come credevano nei benefici della libertà e dell'indipendenza e nel progresso dell'umanità, se non si rievocano nella fantasia le cariche di Gotto, i manifesti della Giovine Italia, i mazzi di violette infilati dalle fanciulle nel fucili, i tricolori cuciti segretamente dalle donne delle soffitte, il tramonto di Oporto, la fucina di Cavour, e la figura Impavida del Re Galantuomo là tra i fumi e i nembi del colle di San Martino, proprio come nelle ingenue stampe appiccicate al muri del tinelli piemontesi e lombardi. Svecchiai e, quindi, ringiovanire occorreva. Ma nessuna opera di rinnovamento artistico era possibile senza una maggiore e migliore propaganda dell'arte, e senza dare alla clas se degli' artisti quella dignità e quella coscienza di una «utilità » professionale di cui Massimo d'Azeglio era stato assertore fin dal 1820. contro ogni sertore fin dal 1820, contro ogni pregiudizio di casta: « Se mi pagano onde farmi battere 1 quarti sulla sella, dicevo io, oh! perchè non mi avranno a pagare per farmi dipingere un quadro? ». Ecco perchè già 11 fratello del futuro ministro, 11 marchese Roberto, aveva pensato, senza attuarla, ad una « Società degli amici delle Belle Arti i'\ ecco perchè era nata in casa Benevello la. Promotrice che quest'anno compie un secolo dì vita. Una mostra d'arte/moderna non era un caso inaudito neppure per Torino prima del '42: se n'eran tenute varie a Palazzo Madama, in quelli dell'Accademia delle Scienze e dell'Università, e le più recenti al Castello del Valentino; ma nuova era l'idea (che contemporaneamente prendeva forma anche a Milano) di una mostra annuale, praticamente aperta a tutti gli artisti degni, dove 11 pubblico accorresse per osservare, discutere e comprare, e la Società stessa promotrice acquistasse un certo numero di opere da offrire, sorteggiate, al soci. La prima «Promotrice» qslcPgnsdcPpegg«nrlcrpnsvpsdTutte queste belle cose dovevano allietar l'animo di quegli undici valentuomini che si accomiatavano in contrada Carlo Alberto al barlume d'una delle 481 lanterne ad olio citate dal buon Bertolotti; e impedir loro di sentir sulle spalle l'umido del febbraio torinese e ai piedi il freddo della fanghiglia nevosa. Due mesi dopo, il 28 aprile, nel salone « graziosamente concesso dall'Illustrissimo signor marchese Do ria di Ciriè » nel palazzo al numero 7 di contrada dei Conciatori (oggi via Lagrange) s'apriva l'esposizione degli « oggetti artistici » che restavano in mostra fino al 12 giugno; centoelnquantaquattro opere delle quali trentaquattro — per l'ammontare di complessive 5683 lire — erano acquistate dalla Promotrice per sorteggiarle fra i soci: opere, fra gli altri, di Giuseppe Camino, Michele Cusa, Enrico e Francesco Gonin, Francesco Gamba, Paolo Emilio Morgari, Luigi Vacca, Angelo Brunerl, Felice Cerutti, Amedeo Augero, Lorenzo Metalli, e del presidente stesso Cesare di Benevello. Ai « soci non graziati dalla fortuna » del sorteggio veniva distribuita una litografia, stampata da Miche le Doyen, che riproduceva il quadro, Tre ragazzi che si divertono all'altalena, della espoaltrice signorina Giuseppina Anselmi, « allieva distintissima del direttore della R. Accademia di Belle Art) di Torino, cav. Giambattista Biscarra ». Erano 1 ritratti di «tre giovanetti di patrizia famiglia»; ed 1 soci della neonata Promotri ce, oltre la gloria della fondazione e il brivido della lotteria, s'ebbero con una sottoscrizione di lire venti anche questa vezzosa immagine incisa dal Metalli che ab biamo il piacere di presentarvi. Marziano Bernardi «[ È vi Tre ragazze in altalena » (LRograf ia di Giuseppina Anselmi, offerta ai primi soci della «Promotrice» - 1842).