Mie colpe

Mie colpe Mie colpe Le mie poesie ti appariranno magre, restie, csbrozzoloseì, bre» vi. Brevi come dolorosi gridi, ma piene di armonia e di sottinL96Ì pensieri. Piene di sottintesi pensieri perche io le scrissi allorché io veramente vivevo non di mortificazione verso me stesso, non di umiliazione di spirito battuto, ma allora io vivevo di dolori vivi, aperti, pieni, come le foreste come il mio cielo, lo, oggiv ho il mio spinto in forse Sono come una colomba sbattuta fra le nuvole. Sono un uomo in piena tempèsta. Vedo, poco più, me stesso. Per non vedermi anch'io faccio come fanno gli nomini comuni ; ossia mi ingan no. Sapevo ingannarmi, avrei saputo ingannarmi — con falsi pensieri, falsi modi, falsi amori — anche allora quando non volevo ingannarmi. O forse, il bisogno di inganno era allora, per iute anzi minore, senza confronto minore a questo di oggi. Io, allora, sfidavo la celeste mia sorte. Resistevo alle forze avverse della natura. Non consideravo — e non per non amore — il comune umano. Non lo •consideravo. Esso non esisteva. Mi elideva, mi feriva, mi respingeva. Mi batteva, come sempre. Ma io, allora, credevo almeno in me stesso. Credevo, inoltre, nelle selve e nelle silenziose cose. Ora io non vi credo più. Io so tutto. Io sono lo spirito che sa tutto. Io non sono per questo, il più infelice degli uomini; ma lo stato bestiale avrà, ormai, il sopravvento sopra di me. Mi compiacerò di vestir bene, avrò ritegno di non andare con le scarpo rotte, infangate, in mezzo allo popolose, e talune, eleganti strade. Non più, come prima, con la mia giacchetta di velluto stinto, slabbrata, rattoppata, coi bottoni malfermi, impataccata, bruciar chiata, macchiata di colori ad olio; da vero zingaro. Avrò timore che la mia carni eia non odori. L'altro giorno io mi sono fermato dinanzi ad un grande vetro di negozio di alta moda, ed ho fatto — come un uomo qualunque, come una donna qualsiasi — all'amore con una maglia celeste di filo di seta. Il suo celeste lattilagineo è lo stesso celeste dei cieli dei quadri d: un pittore' che si chiamava... (ho perduto il suo nome) é òhe dipi a geva Roma con le sue cupole ce lesti nel celeste più chiaro. Lem bi di cielo lattilagineo. Ma, ora io non amo più nemmeno le ar ti. Io voglio farmi uomo comu ne, uomo del gregge. Io voglio riposarmi senza essere stanco. Io voglio abbando nare tutte le tempeste dei miei pensieri. Io diventerò un orni no, mi hanno detto le donne, molto bello. Io cercherò, per'le vetrine, dei vestiti _ eleganti come sono quelli degli uomini correnti, degli uomini .del marcia' piede. La signora Derna mi vor rà più bene. Lauretta non verrà più a passeggiare, con me, sol tanto verso'villa Madama, alle ombre dei giovani cipressi, presso gli antri, miracolosi per radici di querce, pietre con cheni, verdure dalla tinta ramei ca, ossidata, pattinata , cristal lina. Bramerà esporsi con me, ai ' tavoli dei caffè. Io bramerò spormi con lei. E, giù di lì, piano piano, io diventerò un uomo come tutti gli altri ; con pensie ri comuni. C'è anche il comico nauseante caso che io, a corto di quattrini, e desiderando vivere la vita elegante comune, rammenti di possedere una facoltà, come quella dello scrivere, la quale rende quattrini a tanti retori, a tanti uomini di buon senso, a tanti paria, e se- vogliamo dirlo, a parecchissimi parassiti, e che quindi io mi proponga _ di fare come essi. Come, cioè, si è sempre fatto. Come si faceva a tem-rddicrfqimrme £o del cavali*^ Marino. Come anno fatto quasi tutti i poeti dell'umano genere, dal tempo di quando incominciarono, sortiti da selve, non più a gridare armoniosissimamente vicini al loro Dio (e come avevano fatto dentro le selve primigenie) ma di quando incominciarono ad impaludarsi fra le pieghe delle clamidi vermiglie. Poeti cantori, rapsodi, omerici ; eppure già falsi ; già falsi a confronto di quello che io fui, di. quello che io ero quando scrissi il primo mio libro di poesie. Libro andato disperso. Eppure, un giorno vi ricorderete, o giovani lettori, di me, ritroverete, in qualche angolo di vecchia libreria, quel mio librocosì fuori da ogni corrente, e così tanto virgineo, tanto raro, tale che io stesso meraviglio di essere diventato1 o di volgere verso il volgare, cioè verso il comune, cioè verso l'inutile spirituale, così lontanoda quello che ero quando avevo il coraggio di soffrire per il doloroso ideale della Poesia. Luigi Bartolini

Persone citate: Luigi Bartolini

Luoghi citati: Derna, Roma