Sulla soglia

Sulla soglia Sulla soglia Nessuno sceee con me alla piccola stazione del mio paese. Il treno ripartì e io non mi volsi neppure indietro. Così facciamo spesso noi uomini, curiosi soltanto del nostro avvenire, e non ci degnatilo neppure di voRerci indietro per uri saluto alla nostra vita che è passata e che si allontana nel tempo come un treno che è ripartito. Eppure la convivenza di un'ora tela con amici e conoscenti o con persone ignote ci ha sottratto una parte di noi, e noi abbiamo offerto ad altri qualcosa del nostro segreto. Basta, per confessarci, uno sguardo o una parola, la frase" più comune: è l'alba, è il tramonto, è bella la campagna. Poi ci accade, a distanza d'anni, di rammaricarcene, e allora ricordiamo, ma ormai è inutile. Così io avevo fatto col mio paese otto anni prima quando ero partito e ora soltanto, arrivandovi, ricordavo che la stazione era lontana dal paese, e che al centro del paese c'era la mia casa. In tanti anni che avevo vissuto a cinquemila o a diecimila chilometri non mi era parsa tan to lontana. Quando si è- lontani si attraversano mari e conti nentji in un minuto e cipiaèe stare lori tani, perchè le cose e gli uomini del nostro passato possiamo riaverli vicini soltanto quandp vogliamo. Basta pensare a loro e si affollano attorno. Quando ci fa piacere, soltanto quando ci fanno piacere, ecco. Ora invece,' arrivato, e a poche centinaia di metri, la mia casa mi pareva tanto lontana. E poi nevicava. La piazza era deserta, c'era soltanto un cavallo grigio attaccato a una carrozza vuota. C'era anche un uomo, è vero, appoggiato al muro. Era avvolto in un grande mantello scuro che la neve aveva fatto bianco. La neve gli aveva incollato anche una fascia bianca sulla tesa del cappellaio nero. Ma come erano celesti i suoi occhi e come rilucevano. Erano squarci nitidi di cielo nella sua faccia, come quando è nevicato 6iilla campagna ed è più azzurro il sereno. — Gli dissi : — Conoscete casa Marini] — mi faceva piacere dire il mio nome in un paese dove dovevano conoscerlo, dopo otto anni che il mio nome, anche a ripeterlo, non significava niente per nessuno. Mi faceva piacere pensare che in quegli occhi azzurri le mie parole avrebbero fatto nascere l'immagine dello mia casa. Ma non mi rispose. Ripetei la domanda ; ed egli mi guardava, e sorrideva incerto, e indicava la vettura. — No, — dissi — non voglio la vettura. — E non so perchè gli parlai ancora. Forse soltanto perchè non ci si vuole mai convincere neanche del dolore degli altri. — Sono quattro passi, — aggiunsi — da qui atla mia casa. Sollevai la valigia. Nevicava, Affondavo coi piedi nella neve La valigia pesava, le dita si gelavano sulla maniglia. Un lungo viale portava dalla stazione al paese. Un lungo viale deserto con gli alberelli spogli affaticati a reggere sui rami la neve. Guar dando quegli alberi non m'accorsi di mettere i piedi su un cumulo di foglie fracide che mi si attaccarono alle scarne. Me ne volli liberare e battei i piedi in terra. Speravo anche di scaldarmeli. Tentai persino una breve corsa, ma il freddo mi entrò in gola e mi tolse il respiro. Sembrava che i denti fossero diventati d'acciaio dentro le gengive, e mi dolevano. Anche il cuore mi batteva forte. « Non sarà poi l'emozione » mi dissi, e volli ridere. Pensavo alla donna che avrei rivisto dopo otto anni. L'avevo fatta con lei quella stessa strada da casa fino alla stazione, e lei mi camminava di fianco senza parlare. Non avrebbe voluto che io partissi, ma io ero annoiato di lei perche ero annoiato della mia vita ed ero povero e volevo tentare la fortuna. Non aveva detto una parola sola in tutto il tragitto e neppure io avevo detto una parola perchè lei aspettava che dicessi « Torniamo indietro, torniamo a casa » e io avevo paura che quelle parole mi sfuggissero dalle labbra. . Pensavo a queste cose e mi dicevo che era triste la vita, e che era triste allora e che era triste ancora perchè tornavo e avevo visto tanto mondo e percorso tante strade, ma ero povero come allora e non sapevo neppur più se lei, almeno lei, mi voleva ancora bene. Poi una folata di vento scosse un albero e ne fuggirono mille bianche scintille, ma erano bianche e leggere e mi turbinarono intorno e mi trovai in un volo di neve. Illuminarono l'aria ed c una cosa commovente un volo di neve al proprio paese, quando ci si torna dopo otto anni. Due fiocchi di neve mi si dovettero adagiare sulle ciglia perchè le case, gli alberi e la strada luccicarono per qualche minuto. Fu attra: verso quel brillio che riconobbi la porta della mìa casa. E attraverso quella porta rividi il piccolo giardino nel quale fioriscono molte rose nella buona stagione. A me tuttavia parve Btrano che malgrado l'inverno non ci fossero le rose nel mio giardino. Mi fermai. E vidi allora che una donna stava sulla porta' e che questa donna era giovane e bella. — Casa Marini? — dissi, per chiederle di lasciarmi passare. Ma ella mi guardò, e non si mosse. Guardò la mia valigia e io seguii il 6U0 sguardo e abbassai gli occhi e così mi accorsi che avevo le scarpe sporche_ di neve, corno quando ero bambino e mio nonno mi vietava di entrar* in casa con le scarpe sporche di neve. — Casa Marini, — disse final: mente la ragazza, e io passai. Mi voltai per sorriderle ma non la rividi e mi trovai solo in mezzo *' giardino. Nevicava, ero solo, non si udi¬ vetpnPgvfdcnvtatlgvmmd va alcun rumore e mi parve di essermi smarrito. Appoggiai per terra la valigia e mi parve tanto pesante e mi chiesi come mai me ne fossi accorto soltanto allora. Persino il braccio mi doleva. Mi guardai il palmo della mano e lo vidi rosso e tagliato da righe profonde come cicatrici. Fu guardando quello cicatrici clic mi chiesi se avevo fatto bene a tornare. Ma alzai gli occhi perchè volevo essere contento di essere tornato, di rivedere la mia casa, anche se il giardino era un roveto e se il muro del casotto per la legna che riconoscevo in fondo al giardino era sbrecciato e aveva un colore grigio di cenere. Ma le gambe non volevano portarmi avanti: io certo c'ero già in casa, v'ero entrato col cuore, ma ri manevo estraneo. Tra la casa e me c'era il vuoto. Mi sentivo perduto. E allora chiamai sottovoce mia madre perchè così facevo quando ero bambino e volevo farmi coraggio. E' un nomo che gli uomini ripetono da secoli e che riaffiora in ogni uomo come da un'inconscia memoria per un'abitudine che ereditammo in premio nascendo. E infatti mi sentii meno solo perchè in quella parola e nell'immagine che rievocava mi parve di aver ritrovato tutti i buoni che avevo conosciuto e tutti i paesi che avevo percorso. Certo li avrei ritrovati sorridenti in una qualunque stanza della mia casa perchè tutti gli spiriti, persino quelli dei morti, fanno cerchio intorno al focolare. E i vivi non sono come i morti, quando sono lontani? Infatti un piccione si staccò dalla grondaia, volò in basso, tra la casa e me, e tagliò l'aria con le ali. Rividi con gli occhi la mia casa come nel mondo magico dei ricordi. "'Bussai. —' Avanti — fece una voce. Allora entrai. Sorridevo. — Sei tornato ? — disse la stessa voce. x — Per sempre, — feci io. Non vedevo chi mi parlava. — Per sempre — ripetei, emi parve di promettere l'eternità a tutti e a nessuno, a me, al mio avvenire. Era sp'cndido, proprio splendido. Ma nessuno mi fece eco. Accesi la lampada, guardai attorno, nelle poltrone, in ogni angolo : non vidi nessuno. E avevo tanto desiderio di cordialità e lo portavo da tanto lontano. Anche l'uomo ';on gli occhi di cielo era tato muto o una mi aveva compreso ; anello la carrozza era vuota nella piazza deserta: e la ragazza ora giovane e bella ma mi aveva lasciato solo. Anche la casa ora taceva dopo avere parlato, e forse aveva sempre taciuto e il mio cuore soltanto e la mia speranza avevano parlato. Io tornavo agli uomini del mio paese, alle donne, alla casa del mio paese da tanto lontano ; e avevo amato tutti, il mondo avevo amato, e chiedevo di essere amato soltanto dalla mia casa. Dissi forte: — Ma è una maledizione? Proprio così dissi : — E' .una maledizione? Franco Bondioli

Persone citate: Franco Bondioli