L'errore degli "alleali,,

L'errore degli "alleali,, L'errore degli "alleali,, Nella preparazione della guerra contro il Giappone, gli anglo-nordamericani commisero un grave errore di calcolo e che fu anche un errore di presunzione. Esso ebbe i suoi riflessi e continua ad averne sulla condotta della guerra, poiché fu la causa prima delle sconfitte terrestri anglo-nordamericane nelle Filippine, in Malesia, nelle Indie Olandesi e di quelle navali, ultime in ordine di tempo le sconfitte di Bougainville. Non è improbabile che tale errore influisca sull'esito finale della lotta. E' noto, difatti, che l'Inghilterra e gli Stati Uniti nel '40 e '41 misero in atto tutta una serie di manovre provocatrici, allarmistiche e ricattatorie per irritare il Giappone e trascinarlo in guerra. Vennero, fra l'altro, limitate le esportazioni dagli Stati U niti e dalle- Filippine, furono ridotte per mezzo di impossibili barriere doganali le espor. tazioni nipponiche, furono acquistate da parte degli Stati Uniti ed Inghilterra ingenti quantità di materie prime soprattutto sui mercati sud" americani sì da infrenarne le disponibilità per il Giappone, si arrivò attraverso subdoli decreti all'embargo del petrolio vietando, fra l'altro, alile navi cisterna americane e norvegesi di portare petrolio nel Pacifico, ed, infine, si fecero pressioni sull'amministrazione olandese di Batavia per indurla ad opporsi ad accordi economici con Tokio soprattutto pef quelli relativi al pe. ti-olio di Sumatra e di Borneo. Simili manovre provocatorie, in taluni casi persino sfacciate, avevano uno scopo più che evidente: provocare 1 arresto della industria esportatrice giapponese, rendere difficile la continuazione della guerra in Cina e più difficile ancora un'eventuale replica bellica alte provocazioni dielle due grandi democrazie anglosassoni. E si basavano su di un presupposto: che il Giappone tosse ormai esausto per la lunga guerra in Cina; e su di una realtà: la penuria delle materie prime in possesso dei nipponici. Difatti, due buoni terzi delle materie prime occorrenti all'industria pesante nipponica, a quella meccanica e a quella chimica provenivano dal di fuori: Manciuria, Cina del Nord e del Centro. I giacimenti di ferro del>le isole nipponiche raggiunge, vano nel '41 i 5 milioni di tonnellate, appena un terzo del consumo in tempo normale), e per quanto riguarda il carbone, se la produzione quantitativamente era discreta — sugli 80 milioni di tonnellate — qualitativamente era più che mediocre. Per il petrolio, la dipendenza del Giappone dall'estero era pressoché totale. Appena il 20 per cento gli veniva fornito da Sakalin e da Formosa; il rimanente gli arrivava dagli Stati Uniti e dall'America Centrale (il 50 per cento) e dalle Indie Olan. desi (ti 30 per cento). Senza dubbio, il Giappone aveva metodicamente costituito riserve imponenti nelle sue basi navali di Yokosuta e di Kure, nelle sue isole del Pacifico e nei porti cinesi conquistati. Ma, siccome in una'guerra nel Pacifico, dove le distanze sono enormi e di conseguenza anche il consumo di carburante è enorme, si pensava che simili riserve presto o tardi avrebbero dovuto esaurirsi. Davanti ad una situazione del genere, le due grandi democrazie anglo-nord-americane giudicarono di potere applicare al Giappone lo stesso principio e il medesimo criterio che guidarono l'Inghilterra nella preparazione e nella condotta della guerra contro l'Italia e la Germania: il principio mercantile, il criterio del blocco, privare, cioè, il Giappone dì materie prime e di viveri, convinte com'era: o che le navi nipponiche e g: i aeroplani si fermassero ed ì cannoni tacessero quand'esse non avessero più lasciato passare il petrolio e l'acciaio e che ogni entusiasmo, per quanto alto, non possa resistere alla fame e che un morale d'acciaio si pieghi quando il ventre è vuoto e le gambe si afflosciano. Questi erano i calcoli, i presupposti, le speranze degli an-f;lo-nord-americani. Ora, afinchè un blocco abbia probabilità di riuscita, bisogna considerare oltre alla situazione economica e la posizione strategica del paese bloccato, anche quella del paese o dei paesbloccanti, se, cioè, questi posseggono i mezzi e le basi per praticare il blocco in modo totale o se, invece, il bloccato non abbia i mezzi e le basi per rompere la catena e andare a cercare là dove si trovano le materie prime necessarie alla sua vita. A guardare anche superficialmente una carta dePacifico si capiva subito chl'Inghilterra e l'America non avrebbero mai potuto applicare al Giappone il blocco navale applicato alla Germania all'Italia e, ciò. per un motivo: le distanze. Nell'Atlantico la catena delle isole britanni-]pche si stende davanti alle co- dste europee e Gibilterra e Suez | chiudono ogni possibile evasio- ne da sud. Nel Pacifico occi- dentale, c'è una catena di isole ; che si stende quasi dalla punta estrema dell'Asia e va giù fin nel Mar della Cina, ma queste isole sono giapponesi, costituiscono l'Impero del Sol Levante o furono conquistate dall'Impero del Sol Levante. L'America è lontana migliaia e migliaia di chilometri. Con ogni evidenza, nel '40 e '41 gli anglo-nord-americani contavano sulle loro basi di Cavite nelle Filippine e di Hong-Kong per disturbare ì traffici giapponesi nel Mar della Cina e per chiudere la strada verso le isole olandesi. Ma si dimenticarono che, nel "41. i giapponesi si trovavano già ad Hainan, ad Haifong e a, Saigon in Indocina e occupavano tutto il retroterra di Hong Kong. Hong-Kong era, perciò, circondata e Cavite praticamente isolata. E in barba ad Hong-Kong e a Cavite, poggiandosi su Formosa, su Hainan e su Saigon, i giappo: nesi riuscirono in pochi mes: di ostilità a prendersi in Malesia e nelle Indie Olandesi le materie prime di cui avevano penuria: il petrolio, il caucciù ( il 91 per cento della produzione mondiale) lo stagno (il 78 per cento), nonché del rame, del nichelio, del tannino, ecc. j£ seguito alla fulminea azione del Giappone — la guerra in Cina l'aveva tut- t'altro che esaurito — la situazione nel Pacifico non si è capovolta, gli anglo - nord- , ù 8 americani, cioè, non divennero da bloccanti bloccati, restarono pur sempre i bloccanti, ma con questo di paradossale: che essi ora stringono d'un blocco economico un paese che, per la loro insipien^ za e presunzione, è riuscito à conquistarsi tutto quanto gli mancava in viveri per la sua popolazione e in materie prime per le sue industrie belliche. E sono costretti a subire, essi, quella guerra di logoramento che volevano im porre all'avversario. All'inizio delle ostilità, alcuni esperti americani, di fronte alle difficoltà che la loro flotta avrebbe incontrato fra le Hawai e le Filippine, suggerivano che gli anglonord-americani adottassero la teoria della guerra di logoramento e, man mano che l'applicavano in pratica, occupassero ad una ad una le isole nipponiche avanzate: le Marshall, le Marianne, le Caroline, le Palau e le Bonin, fino a portarsi, Uberi alle spalle, davanti alla catena delle iso¬ le nipponiche propriamente dette. In realtà, da oltre un anno, gli anglo-nord-americani stanno conquistando lentamente e faticosamente delle isole, ma non sono isole nipponiche, bensì isole inglesi od olandesi perdute nei primi sei mesi di ostilità. Senza voler fare dell'ironia sulla lentezza con la quale gli uomini di Mac Arthur procedono alla riconquista di tali isole, non è da escludersi ch'essi arrivino davanti alle isole nipponiche. Ma, una volta 11, avranno vinto? No. Perchè dovranno pur sempre snidare la flótta del Tenno dai « trinceramenti marittimi » e questo in condizioni di inferiorità per le enormi perdite a cui sarà andata incontro la flotta nella lenta e dura riconquista delle isole oceaniche, mentre la flotta nipponica si sarà conservata pressoché intatta. Non dimentichiamo, difatti, che essa si espone di rado e che nelle due ultime battaglie di Bougainville, dove gl! americani hanno perduto 5 corazzate, 6 portaerei, 5 incrociatori pesanti, 12 leggeri, i giapponesi non hanno impiegato che naviglio leggero, siluranti ed i meravigliosi stormi della loro aviazione marittima. Paolo Zappa

Persone citate: Batavia, Bonin, Mac Arthur, Paolo Zappa