Il nostro posto è sul Volturno... di Angelo Appiotti

Il nostro posto è sul Volturno... UN'ALTRA INFAMIA INGLESE Il nostro posto è sul Volturno... Un senso di sgomento, nvm brivido in tutto il no- batro essere, un impeto d'i- dra, di ribellione, di sdegno s"'vci han preso l'anima e il cuore alla orrenda notizia. Italiani di tutti i partiti, di tutte le fedi, di tutte le opinioni; italiani nati di sangue italiano, cresciuti sotto il cielo della nostra Patria, italiani di tutte le nostre contrade, di tutti i lavori, di tutte le fatiche, d'ogni lingua d'ogni dialètto d'ogni costume; ognuno, ch'abbia la prima volta aperto gli occhi alla luce in questa terra benedetta e poi sia partito" per paesi lontani proteso ad un sogno di ricchezza e sia tornato dopo trenta quarant'anni quasi dimentico della lingua materna, fatto insensibile all'amore del la sua patria, uomo di tutti i climi e ai tutte le procelle, estraneo a tutto fuorché a una casetta povera di un povero paese non mai scordato, ultimo resto d'un patrimonio spirituale, a brandelli a poco a poco perso dilapidato sul sentiero aspro d'una agiatezza donata come una elemosina dallo straniero; e nel ricordo della misera casetta tornato già maturo già vecchio tutto diverso nel viso nel costume nel cuore dai fratelli a vivere qui l'ultima pagina della sua vita: e anche voi, italiani illusi e dimentichi, che foste i protagonisti gli animatori gli inconsci attori della oscena gazzarra che il 26'tZ 27 il 28 luglio si disfrenò per le vie deUe nostre città smarrite, che ari daste morte al Duce abbas so il Fascismo, ohe scalpellaste il Fascio Littorio dai marmi delle case dai fianchi (Ielle locomotive, sicuri di scalpellarlo anche dalle anime, che coi picconi le mazze le pietre vt siete accaniti sui monumenti, demolendoli lordandoli vituperandoli, cht ricordavano i caduti del Fascismo, i primi martiri ventenni morti senza una colpa senza un peccato nella coscienza limpida appassiona ta: tutti, amici e nemici di Mussolini e di noi, credenti in Dio e nei valori dello spirito, votati a una màssione d'anima o protesi soltanto a rapine di denaro di donne di cibo, tutti che vi sentiate Montini e non bestie, creature pensanti non esseri da truogolo: leggete leggete quattordici punti del generale Eisenhower! C'è qualcuno fra voi che preferirebbe vivere in tanta ignominia piuttosto che cadere al pulsante d'una mitragliatrice sull'ultimo ciglione di trincea, qualcuno c'è fra voi che in questa onta ancora saprebbe e potrebbe pensare, lavorare, amare i suoi figli, accumular denaro, sedersi a una mensa ben imbandita, leggere un libro, godere una musica un quadro, posare le sue labbra sulle labbra della donna che ama? Che cosa è la morte a confronto di una esistenza vissuta in un fango così fondo e denso, in una schiavitù ohe nessun schiavo del passato avrebbe accettato, nessun vinto di ieri avrebbe subito prima d'essere ridotto a un mucchio di carne gelida buttato nella polvere della strada? La storia non ha esempi d'una vittoria imposta al vinto a condizioni così atroci. Roma che vince Cartagine, Roma che vince e soggioga Atene e tutto lo splendente mondo ellenico; i barbari che raggiungono in sanguinoso avvicendarsi, nel defluire dei secoli, la bella preda e impongono a Roma una schiavitù che, a confronto di quella che il generale inglese impone alla nostra povera Patria occupata e straziata, è un miracolo di moderazione e di generosità : e poi via via nel corso della storia, in tutte le guerre e in tutte le contese che ebbero un vincitore feroce ed arrogante, un vinto rassegnato, l'Inghilterra che massacra e soggioga i Boeri, la Francia napoleonica che porta le bandiere della Rivoluzione in tutti i Paesi d'Europa, sconfiggendo tutti i re tutte le corti tutti gli eserciti; e poi cento e cento altri esempi di capitani vittoriosi che vollero bere sino all'ultima goccia l'inebriante liquore del dominio della potenza della prepotenza: non c'è proclama di capitano, editto di generale, trattato di plenipotenziario che raggiunga la meditata ferocia dei quattordici punti del generale Eisenhower. Mercoledì notte una voce monotona e roca parlò, dal microfono di Radio Londra, ai popoli dell'Impero, in un inglese chiuso duro, quasi incomprensibile, e illustrò con ampio commento U documento infame. Era tardi, 'vnsrttusnletmnilppafsdUeEsfpelctaerpsg nella notte, la pioggia tam- mbarellava sul compensato pdella finestra ed empiva di psè il silenzio profondo del- tiv„~„. „„„ iC „„„.. « nei i n , o a e l , n i ò , ora: era sulle cose e 'anima una malinconia invincibile. Girammo (è un nostro triste dovere professionale a cui tanto volentieri rinunceremmo) la manetta della radio sull'onda corta della stazione nemica; e una voce chioccia subito sgradevolmente risuonò al nostro orecchio, portandoci le prime parole del commen to_ angoscioso. Non era al microfono il solito imperso naie annunciatore che legge il consueto pezzo d'obbligo; parlava un tizio di cui non potemmo carpire il nome ma al termine della trasmissione fu detto illustre fra gli illustri, professore emerito di diritto internazionale alla Università di Londra e di economia politica a quella di Eton. Una personalità, come si vede, una voce che lassù fa testo. Poiché si rivolgeva ai popoli di lingua inglese e non era la sua trattazione il solito imbonimento in italiano che tanti, troppi fra noi attendono ogni sera con ansia, ascoltano con trepidazione, e poi vanno ripetendo in giro, con i begli effetti, alla lunga, che si son visti; se pure propaganda era come tutto e propaganda ciò che si diparte dai microfoni inglesi, certamente meno sboccato, in questi casi, è il to no, più veritiere le argomentazioni, più contenuta la frenesia con la quale il ne mico ogni sera copre l'Italia di menzogne. Gli amatori irreducibili di Radio Londra studino l'inglese, se non lo sanno, e cerchino l'onda, ogni sera ogni notte, su metri... E' un consiglio. L'illustre professóre lesse e commentò, durante venti o venticinque minuti di trasmissione, i quattordici punti del generale (i nostri giornali han detto dodici, ma quattordici sono, in realtà), Per noi fu uno strazio. Là ove Eisenhower, al paragrafo undici, dice che l'Italia deve diventare uno strumento della lotta che gli Alleati conducono contro la Germania, il professore commentò cosi, pressapoco. Diventare uno strumento per la lotta contro la Germania vuol dire mettere, da parte del popolo italiano, ogni sua possibilità a nostra disposizione. L'italiano, con tinua il bugiardo professore non sa e non vuole combattere, l'italiano è sempre scappato, ha una tremenda paura di morire. Gli italiani, che non sono un popolo ma un aggregato di varie razze diversissime fra lo ro, non hanno mai avuto generali valorosi nè valorosi soldati. Furono sempre schiavi dello straniero. Il Risorgimento è opera nostra, è opera inglese. Senza noi prima, senza Francia e Prussia poi, gli italiani non avrebbero mai vinto l'Au stria nè preso Sicilia e Na poli ai Borboni, Roma al Papa. Garibaldi è poco più di un brigante, un avventuriero fortunato che nella battaglia del Piata (quale battaglia? Di che anno, in che giorno, contro chi? Il professore non dice...) scappò con tutti i suoi soldati quando vide che il nemico stava per avere il sopravven to. A Caporetto tutti sanno ciò che è accaduto. L'Intesa fu a un passo dal perdere la guerra per colpa degli Italiani. Ora, ammesso questo, sta bilito che gli italiani sono dei pessimi soldati, cosa possiamo fare di tutti i fannulloni sdraiati in terra per le strade e le vie delle città si ciliane calabresi napoletane? Molto possiamo fare con questi uomini, che pure han no una certa intelligenza obbligandoli con la sferza al lavoro. Le compagnie minerarie del Sua Africa prò ducono U cinquanta per cen to per mancanza di mano d'opera. Gli operai bianchi immigrati, che sono i più resistenti, sono ridotti c poche centinaia perchè l'attuale salario pagato dalle società loro non conviene più, meglio arruolarsi nella marma mercantile o recarsi nelle nostre città bombarda te a ricostruire le case, do ve percepiscono salari lau tissimi. I minatori negri han dimostrato di non essere economicamente convenienti alle Compagnie- perchè poco resistenti a un lavoro che si svolge a millecinquecento metri sotto terra, in una temperatura infernale: si ammalano, bisogna curarli, mantenere i loro bambini, sopportare le spese fatali dell'ospedale e del cimitero. L'esodo dei minatori negri è continuo e inarrestabile, malgrado i ferrei regolai I dztrgspptcmcrgpmzdn menti delle Compagnie che possono anche applicare la pena di morte per certi rea ti, come il furto ripetuto di " ——*~ J"— diamanti estratti, la diser zione dai campi di concentramento dove sono alloggiati eccetera. Malgrado le severe sanzioni i negri scap pano e tornano alle loro capanne e alle loro povere coltivazioni nella foresta. Credo che si potrebbe, dice il professore di Eton, mandare laggiù due o trecentomila operai italiani, loro applicando, per diritto di guerraf poiché sono un popolo vinto, tariffe e regolamenti già studiati e realizzati per le maestranze negre. E perché non rafforzare e le ciurme dei mercantili che, per il gran pericolo di certe rotte, vanno ogni giorno assottigliandosi, con marinai italiani che sono talora assai esperti anche se pigri e senza volontà, naturalmente concedendo loro oltre al mantenimento, un salario minimo? Non sarebbe questo convenientissimo per le nostre Società di navigazione? Con simili ciurme gli armatori eviterebbero anche il grave peso dèlie assicurazioni sulla vita, sugli infortuni, sulle malattie. Non sono di fatto tutti gli italiani nostri prigionieri? Non è nostro diritto farli lavorare? E va avanti così, sfrontatamente, fra tutti.questi orrori, il professore di Eton, rivolgendosi ai puritani cenacoli della vecchia Inghilterra, alla gente timorata di Dio e incapace d'una bestemmia che popola le città canadesi ed australiane, ai pronipoti dei pirati e dei filibustieri che nel sei e settecento arrossarono i mari di sangue e colmarono i forzieri londinesi d'oro e di dia manti strappati ai oadaveri ammucchiati sulle tolde delle navi spagnuole portoghesi veneziane, assaltate e de¬ predate dai gentiluomini cól coltello a serramanico... La pioggia continuava, nella notte, a tamburellare sul legno sonoro con .ritmo uguale incessante; ma nel silenzio, che non era rotto dal croscio delle goocie ma pareva accrescersi, nell'oscurità, nell'uniforme vasto gorgoglio che veniva dal cielo, la voce infame dell'inglese gracchiava insolente dall' altoparlante della radio... Quando avremo conquistata .tutta l'Italia, tre o quattro milioni d'uomini dai venti ai tfentacinque anni saranno disponibili per i nostri bisogni'imperiali. L'Italia di domani non avrà bisogno di uria industria metallurgica, nè di una industria TOinercrria, nè di una industria marinara: ai bisógni del suo popolo, che non dovrà più fabbricare cannoni, nè costruire navi, né estrarre dalle povere miniere carbone e magnetite, provvederanno Inghilterra America e Russia. Troppi avvocati, pài, in Italia, troppi ingegneri, troppi medici, troppi professori. Sarà compito facilissimo mobilitare{ nello spazio'di dieci o dodici mesi, tre o quattro milioni di uomini e mandarli là, ove l'interesse dei governi della Intesa li chiamerà: al Transwaal o in Australia, nelle miniere degli Urali e nelle fabbriche metallurgiche chimiche tessili degli Stati Uniti. Anch'essi ci guadagneranno perchè, se'pure non potranno avere alti salari, potranno rifare la loro educazione politica, ricominciare... eccetera eccetera eccetera. Girammo la chiavetta della radio sull'ultima perorazione del professore di Eton. ti cuore ci batteva forte, un nodo ci serrava la gola come m una morsa, l'ira la nausea lo sdegno quasi si conclusero in una lacrima. Ditemi, c'è un italiano, vive sotto il nostro cielo, parla la nostra lingua un uomo, il più basso di tutti, di tutti il più indegno il più vile il più corrotto che potrebbe preferire alla morte tale schiavitù? Italiani, il nostro posto non è oggi sul Volturno, nella torretta di un carro armato o al pulsante d'una mitragliatrice? Angelo Appiotti

Persone citate: Boeri, Borboni, Duce, Eisenhower, Inghilterra America, Montini, Mussolini