Un canto, nella via... di Angelo Appiotti

Un canto, nella via... IL MOMENTO CHE VIVIAMO Un canto, nella via... Questa è la verità oppure siamo nell'errore? E il nostro spirito che traduce nella realtà il suo più vivo desiderio e si persuade egli stesso, fervidamente, che le cose stanno così, oppure al nostro sguardo fa velo l'ansia del cuore e dall'ottimismo si passa, senza che possiamo avvederci dell'equivoco in cui siamoi caduti, ad affermare come una verità sicura e controllata ciò che è soltanto tumultuosa aspi-, razione dell'anima? Nell'esame d'una situazione politica, per la serietà di questo esame, conta moltissimo tutto ciò, la nostra costituzione spirituale ha un peso enorme nel giudizio su uomini ed eventi, cui il tempo ancora non ha donato quella fisionomia netta e de finitiva che si stende e circonfonde ogni avvenimento umano come una patina un vecchio bronzo, allo stesso modo che pioggia vento tem pasta lasciano nel defluire dei giorni e degli anni la loro impronta sulla facciata d'una casa, ammorbidendo la crudezza dei marmi trop po bianchi, degli intonachi àncora freschi di calce. Quasi impossibile perciò l'esame sereno e giusto di una situazione politica per chi di tale situazione fu testimone, partecipe, talora protagonista; errori di valutazione ed errori di giudizio, interpretazioni di fatti e persone, visti da false posizioni, in una luce che non è la loro, giudicati su elementi di tenue rilievo e di scarsa importanza. Per queste e per altre ragioni dare oggi un giudizio sul periodo più fosco della storia italiana, sui giorni che vanno dal luglio a questo novembre, tre mesi in cui tutti i valori dello spi rito furono sovvertiti dalle basi, in cui il tradimento si atteggiò a virtù civica, l'infamia la vigliaccheria la pusillanimità sembrarono superbe conquiste raggiunte attraverso dolori senza nome, diventa pressoché impossibile, vana fatica che il tempo inesorabilmente cancellerà. Ma dal giorno otto di settembre a questo melanconico novembre tante vicende si sono svolte sotto il nostro sguardo perchè noi non possiamo trarre dal breve periodo un giudizio e una conclusione : dove eravamo allora dove siamo oggi, sino a che punto eravamo discesi e quanti passi lenti affaticati abbiam fatto su per l'erta della riscossa; se siamo in vantaggio sul recente passato oppure se il destino di questa nostra disgraziata Patria è inesorabilmente segnato nè forza umana varrà a toglierci dal baratro in cui alcuni uomini hanno gettato il Paese,'e noi stessi, e le nostre famiglie, e quanto di nobile e di forte il popolo italiano potè compiere, sotto una guida, in un momento di follia rinnegata e vilipesa, durante i vent'anni del fascismo, i vent'anni di Mussolini. Pieni di errori, questi vent'anni, piedi di uomini mediocri che riuscirono un certo momento a imporre il loro stile, il loro modo di vita straccione e pretensioso a tutta la Nazione. Lui, il Capo, la guida, il Maestro troppo in alto per giudicare direttamente d'ogni cosa, per porre rimedio *a tutti gli errori, per rimettere sulla via diritta gli sbandati e gli ignavi; troppo in alto anche per avvedersi del tradimento che gli serpeggiava attorno, che s'annidava fin nelle stanze ove la sua vita fisica si svolgeva, fra le persone che più conoscevano, fra tutte, la sua appassionata totale dedizione all'Idea: e troppo generoso per non perdonare, quando più giusto e benefico sarebbe stato il plotone di esecuzione. Ma, al disopra di tutti gli errori, più alto di tutti gli uomini fatui e mediocri che la loro mediocrità trasportarono nell'azione di governo e di partito, stanno le vittorie che il Paese raggiunse nella vita civile, nell'azione militare, in tutti i settori su cui lo sguardo del Capo potè direttamente soffermarsi, per tutte le intraprese in cui il suo intervento fu diretto e decisivo. Furono tutte vittorie sue, tutte dovute al suo genio che un certo momento anche i nemici non poterono rinnegare più, che dovettero accettare davanti alla evidenza dei fatti. Ricordiamo che in questi vent'anni la bandiera italiana sventolò sul ghebbì di Tafari in Addis Abeba, conquistata non dal la abilità strategica di un generale politicante, che pretese poi ed ebbe gli onori del trionfo, ma dalla sua sapienza politica che comprese esser giunto il momento di tutto osare per tutto avere. Tutto osò e tutto ebbe, nel drammatico e radioso 1936, il popolo "italiano. Ebbe la gioia della i vittoria, sentì l'orgoglio gonfiargli il cuore come quando s'esce, vincitori, da una diffìcile impresa liberamente accettata e vissuta, quell'orgoglio inebriante che nasce dalia consapevolezza del proprio coraggio, del proprio ardimento ; ebbe terre vaste come continenti, dominio su tribù numerose come popoli, l'imperò, spirituale e materiale, su un mondo ancora misterioso, da noi condotto alla modernità con un complesso imponènte d'opere superbe. Vide, il popolo italiano, in quegli anni benedetti, la sua bandiera solcare i mari sulle navi più possenti .e lussuose, garrire nei cieli di tutte le contrade dalle carlinghe di aeroplani sino a quei giorni i più rapidi e sicuri; sentì la potenza e il prestigio del Paese quasi d'ora in ora crescere, ingigantire, conquistare cuori e coscienze, comprese e s'esaltò nel privilegio d'essere italiano, conscio che dal suo seno era balzata l'Idea che avrebbe di sè improntato il futuro. Tutte queste cose, che oggi sembran sogno, furono un non lontano giorno smagliante realtà. E a chi il merito di così alte affermazioni, di così vaste conquiste, di così sicure vittorie? Inutile suggerire un nome, inutile rievocare una fisionomia o una parola. Ognuno sa, e anche se nemico inconsciamente il suo cuore formulerà la risposta, chi fu di quegli eventi inobliabili il protagonista supremo e solitario. Ma vorremmo che ogni italiano potesse aver vissuto un'ora e un episodio a cui un giornalista fu condotto, all'inizio del 1937, da un servigio difficile ma affascinante, pericoloso ma gradito. Il giornalista di cui parliamo, che queste cose ci raccontò un giorno con voce commossa, ebbe la ventura di trascorrere circa un mese fra le brigate rosse in fuga dalla Catalogna verso la Francia o spitale, dopoché falangisti e Camicie Nere avevan rotto sull'Ebro il fronte nem>o ed eràn dilagati, sempre duramente combattendo, verso Barcellona e i Pirenei. A Perpignano eran convenuti gli inviati dei più petenti giornali del mondo, delle agenzie giornalistiche più famose, inglesi francesi russi americani giapponesi; nella storica cittadina un centinaio di giornalisti aveva posto le tende; ogni mattina, all'alba, ognuno varcava ii confine ancora aspramente vigilato dai miliziani, risaliva; verso Figueras e Gerona, ia marea umana che fuggiva buttando le bombe nei fossi e i pezzi d'artiglieria nei burroni, ognuno se ne andava a zonzo in quell'inferno fino al tardo pomeriggio prendendo appunti e scattando la Leica sulle tante terribili scene che, quasi ad ogni passo, si offrivano al suo squardo. Sui cofani delle macchine sventolavano bandierine francesi inglesi americane, le bandiere dei popoli amici della Spagna rossa; ci si metteva sotto la loro protezione, i miliziani ti davano il passo, nessuno pensava o poteva supporre che su una di quelle macchine, ospite d'un collega francese, tranquillamente sedesse pigliasse appunti facesse fotografie un giornalista fascista... Alla sera, telefonato 0 radiotelefonato il servizio a Sidney e a Washington, a Buenos Aires e a Londra, a Torino e a Mosca, tutti ci si ritrovava in un caffè, Lo Cupole, tipico locale francese sempre aperto, sempre funzionante, sempre pieno di fumo di donnine di pacifici bevitori di birra. Allora cominciavano fra il giornalista fascista e i colleghi stranieri, nella loro grande maggioranza uomini di sinistra, socialisti comunisti social - democratici, eterne discussioni sul Fascismo, sui suoi uomini, su Mussolini. Da quasi un anno eravamo ad Addis Abeba; su tutti i fronti di Spagna gli italiani s'eran coperti di gloria; il prestigio dell'Italia era all'estero enorme, tutti, anche i nemici, ci invidiavano un Uomo... Le discussioni fra il giornalista fascista e 1 colleghi d'America d'Inghilterra di Francia duravano ore e non approdavano a .nulla; ma nella critica alle ideologie e ai sistemi del Fascismo ognuno s'arrestava taceva e ammetteva quando fra le concitate parole balzava un nome: Mussolini. Anche i giornalisti più ardentemente rossi si inchinavano, pieni di rispetto, di fronte a ciò che in Italia un Uomo aveva fatto, di fronte a ciò che quest'Uomo aveva in animo di fare... Era una gioia andare all'estero, in quegli anni, uno sconfinato orgoglio il proclamarsi fascista. H mondo guardava all'Italia con rispetto, con timore, con ammirazione. Poi... poi avvenne 'ciò che avvenne. Poi cominciò il tradimento, o meglio, il tradimento cominciò a dare i suoi fcrimi frutti; e i nostri soldati andarono a combattere sulle Alpi, i giorni del -fronte occidentale, senza calze di lana, senza maglie di lana, vestiti di tela; e i magazzini erano rigurgitanti di materiale. I nostri soldati anda rono a combattere in Grecia, su montagne coperte di neve, e dovettero combattere dormire vivere nella neve, senza conoscere il conforto d'una baracca riscaldata, d'un maglione di buona lana, d'un rancio caldo e gradevole. Da Tirana o da Roma i generali rispondevano ad ogni richiesta mandiamo mandiamo mandiamo e non fu mai mandato nul¬ la... Il tradimento si svolgeva, implacabile, i nostri ragazzi morivano come eroi, noi perdevamo le battaglie, i generali (certo non tutti, ma qualcuno fra i più autorevoli sì, senza alcun dubbio) pensarono, nel loro intimo, ancora un poco, ancora un poco e ci siamo. Giungemmo al disastro, siamo tuttora nel disastro. L'otto settembre sarà per i nostri figli una data di vergogna, l'abisso ultimo di ignominia a cui i generali ci portarono; ma potrà essere anche, se noi fortemente lo vorremo, una data. di rinascita. Può un popolo risorgere dopo una così vasta catastrofe ? Potrà Un giorno riporsi Sulla giusta via, riprendere il camminò interrotto, guardare al futuro con serena certezza e non con lo spasimo che . oggi i ci agghiaccia il cuore solo che la mente si volga all'avvenire tentando di delinearne la probabile fisionomia, gli sviluppi tristissimi che ognuno vede lucidamente nega anni che ci attendono? La risposta è in noi, nei recessi della nostra anima, nelle possibilità di riscossa del nostro spirito. Due mesi appena son trascorsi dal giorno nefasto, due mesi fra più drammatici della nostra storia. In questo breve periodo, carico di tutte le sventure che s'accompagnano a una sconfitta, una crisi dolorosa s'è aperta e conchiusa in molte coscienze, Qualcosa già è nato a lenire l'atroce disinganno, già si può pensare rwi'awenire con sguardo meno fosco. Alcuni giorni fa chi scrive vide sfilare per le vie d'una città toscana alcuni battaglioni di Camicie Nere avviate alla zona d'impiego. I ragazzi cantavano uri. canto di speranza e di giovinezza. E faceva eco alla; canzone come un suono di pianto dalla folla assiepata ai margini della via. Sentimmo che l'atmosfera del 25 luglio s'era per sempre 'dissipata, che non sarebbe tornata mai più. E anche a noi lo sguardo si velò d'una lacrima e il cuore battè più forte. Angelo Appiotti L'occupazione tedesca dell'isola di Ooo: un comandante di paracadutisti spara un razzo per radunare i dipendenti

Persone citate: Figueras, Gerona, Mussolini