Il fervido discorso del Presidente della Vittoria

Il fervido discorso del Presidente della Vittoria Il fervido discorso del Presidente della Vittoria S. E. Vittorio Emanuele Orlando ha così parlato: Fratelli di Sicilia, quando nell'altra guerra, ultima di quelle per l'indipendenza, in un'oxa in cui pareva irreparabile la rovina della Patria dopo U disastro militare e l'invasione del territorio) il fratello vostro che vi parla, su cui gravava allora la responsabilità delle decisioni supreme, dichiarò risolutamente che occorrendo egli avrebbe indietreggiato fino alla Sicilia. Manifestando quel proposito ben sapevo io allora che l'anima siciliana era così grande da poter riassumere in sè la sorte" e il nome stesso d'Italia. La Sicilia che nei secoli aveva sostenuto impavida per de cenni la più micidiale guer-\ ra contro tutta l'Europa per la difesa della sua libertà, ben avrebbe saputo custodire fieramente l'onore d'Italia fino alla vittoria. E ora, compiuti venticinque anni da quegli eventi, il destino ha voluto che io sentissi tutto lo strazio di una altra invasione del territorio della Patria che è comin¬ ciata e sì è compiuta sulla mia Sicilia martoriata, sulle sue gloriose città distrutte. A noi siciliani basta uno sguardo per intenderci. Senza altre frasi dunque so che voi sentite la tragedia attuale 'del mio animo. Io che ho sempre sofferto l'acuta nostalgia della mia terra nella mite dolcezza dèi suo cielo che diffonde intorno a sè una luce gloriosa di raccoglimento é di pace, avverto ora una nostalgia boa, altrimenti amara di non* trovarmi anch'io tra le vostre rovine, di essere materialmente separato dalla mia gente che soffre. Nostalgia che sarebbe disperata se, malgrado ogni ostacolo materiale, io non sentissi sempre viva e intensa, anzi più viva e intensa che mai, una infrangibile comunione spi rituale mentre ho fra voi, siciliani di oltre lo stretto, i miei figli e i miei fratelli, attraverso i quali considero figli e fratelli voi tutti. E ho presso di voi i miei morti che mi aspettano, sacro pegno di Mn'ttntone che precede la vita e la conchiude. Questa mia comunione coi vostri lutti, coi vostri dolori, con le vostre pene, io vi offro fratèlli miei in questa ora. L'offerta, è umile, ma voi siete gente che non si commuove per interesse o per utilità, ma per la purezza e la profondità di un sentimento. In questa nostra tragedia non trova posto e sarebbe anzi sconveniente alcuna recriminazione o commento politico. Ma non credo appartenga a siffatto ordine di considerazioni un mio ricordo di questa nostra unione nell'ultima manifestazione pubblica di essai che fu in un altro agosto, quello del 1925 quando io combattei con voi quella magnifica battaglia per la libertà che di tutta la mia vita considero come la pagina di cui sono più fiero. Ricordate. La Sicilia fu allora veramente degna di quel suo passato cinque volte secolare, di una fede e libertà costantemente mantenute'onde il suo Parlamento può vantare origini storiche che per antichità non furono superate da quelle di nessun altro.- In quell'agosto la battaglia fu qui sostenuta con eroica fortezza, come in un estremo .baluardo contro il dispotismo ormai ovunque trionfante. E sapemmo vincere, malgrado ogni violenza, compresa quella privata, che trova presidio nell'autorità dello Stato e che è la peggiore fra tutte. Vincemmo. E dopo che la vittoria fu nascosta con una falsificazione, la Sicilia fieramente si appartò dalla vita pubblica italiana non prestandovi più alcun contributo durante la ventennale servitù. Ricordo, dissi, non inopportuno, perchè ci dà questa sicurezza e questo conforto. L'evento d\ un popolo che ha custodito così gelosamente la condizione primordiale di una vita civile, anche durante quest'ultimo fatale periodo che ha così intimi nessi causali con le sciagure odierne, quell'evento, dico, contiene in sè una promessa consolatrice, ali menta speranze che saranno adempiute. Poiché Iddio nella imperscrutabile severità del suo giudizio ha voluto che io soffrissi l'atroce pena attuale, spero che nella sua misericordia voglia darmi il conforto di arrivare a vedere una Sicilia risorta. Il qìtale augurio è per se stesso augurio italiano, poiché mai come in questi giorni si avverte e st sente che la salvezza e le fortune di Sicilia sono indissolubilmente collegate con la salvezza e le fortune d'Italia. Possa io dunque allora elevare il cantico: «t E ora Signore concedi che il tuo servo se ne vada in pace perchè i suoi occhi hanno veduto la salvezza e il risorgimento della Patria. Così sta ».

Persone citate: Vittorio Emanuele Orlando