LA GUERRA e gli anglosassoni di Filippo Burzio

LA GUERRA e gli anglosassoni LA GUERRA e gli anglosassoni Attraverso la trincea cruenta della guerra — e pur mentre 11 cuore sanguina alla vista delle distruzioni che, più gravemente ogni giorno, colpiscono le nostre città, e le vite innocenti di tanti nostri fratelli — noi pensiamo che sia possibile, che sia anzi ormai tempestivo, scambiare dall'una all'altra sponda umane parole; e che, mentre i soldati tuttora combattono, ed i politici ordiscono, sia questo anzi il compito degli uomini di pensiero, Umane parole, e parole sincere al cento per cento. Nel nuovo clima che si è instau rato in Italia a partire dal 25 luglio, un .terzo valore eterno, oltre ai due altri che si chiamano libertà e giustizia — e cioè la verità — dev'essere richiamato e rimesso in onore a ogni costo, nel nostro stesso interesse, che coincide con l'interesse superiore e permanente della civiltà. La verità dev'essere .detta e riconosciuta anche se, in un primo momento, e sopra un piano contingente, ciò sembri recar qualche svantaggio: quel che si perde è niente, in confronto di quel che si guadagna, un capitale immenso di rispetto, di stima, di fiducia mondiali (« Questo l'ha detto Massimo d'Azeglio, dunque possiamo crederlo », esclamava un giorno, al Parlamento britannico, se la memoria non mi tradisce, lord Palmerston; e di questa aureola del galantuomo anche l'accortezza del diplomatico, anche il giuoco di Cavour si giovava. Cosi si faceva politica durante il Risorgimento: facciamo i confronti, tiriamo le somme, e vedremo che metterà conto, anche sotto questo rispetto, di tornare al passato!). Noi crediamo dunque fermamente che si possa, che anzi si debba, tentar di combattere anche la guerra con criteri leali, cristiani e cavallereschi: che perciò si possa, e anzi si debba, riconoscere le eventuali ragioni, e onorare le eventuali virtù dell'avversario, pur nel mezzo del più aspro conflitto; perchè, oltre a tutto, non l'odio cieco — come sostenne fino a ieri una propaganda dissennata — bensì la coscienza della buona causa è quella che più conforta gli uomini a combattere ed a morire: quella coscienza che ha prodotto nel 1917 il miracolo del Grappa e ha rinsaldato in queste ultime settimane la resistenza in Sicilia. Basta col cinismo, con la menzogna, col basso machiavellismo! Si può essere onesti senza essere sciocchi. Molti Italiani, fino a ieri, arrossivano di vergogna a sentir spudoratamente negare, sul piano spirituale, che l'Inghilterra di Shakespeare e di Newton avesse un diritto di cittadinanza europea accanto all'Italia di Dante e di Leonardo e alla Germania di Goethe e di Kant; sul piano politico, ch'essa aves se creato una grande ed originale civiltà' cui, non per pedissequa e supina imitazione, bensì per sostanziali ragioni ed impulsi di ascesa umana e di progresso civile, s'ispirarono tutto il Settecento e l'Ottocento europei. Noi siamo poi anche d'avviso (pur riconoscendo che qui la cosa si fa più opinabile) che l'Inghilterra non sia quel popolo decadente che hanno voluto darci ad intendere; siamo d'avviso, ad esempio, che la strettissima unione — e chiamatela pur subordinazione, se' volete ;— dell'Inghilterra al1 America durante l'attuale conflitto, anziché essere la corsa al fallimento, sia stato 1 ultimo, a tutt'oggi, atto di chiaroveggenza e di coraggio politico della classe dirigente britannica: la quale ha capito la fatalità delle cause geografiche, storiche, economiche le quali portano 1 America al primato in seno al mondo anglo-sassone, e ne ha tratto fulmineamente le conseguenze, con un coraggio che Fonora e con un'abilità che la serve, salvando il salvabile delle posizioni imperiali in una strettissima unione, in una simbiosi col cugino transatlantico. Così avesse capito le cose d'Europa,.subito dopo il 1919, la Francia di Poincaré, accedendo, senza riserve nè discriminazioni alla generosa e lungimiran¬ otmd o a a a i o o e i i r l e o e l r i a e n o e e o a a te politica di Briand! Ma purtroppo in Europa la situazione era diversa. Dette queste parole perchè una profonda convinzione morale e politica ci spingeva a dirle, ci sembra ora opportuno aggiungerne altre che lumeggiano in certo modo il rovescio della medaglia. E saranno parole re lative alla profonda prepc cupazione ed inquietudine che prende in questo momento tutti gl'Italiani, anche i più equamente disposti verso l'Inghilterra (e non per un semplice riferimento egoistico alle stragi e ferite niferte dalla guerra contro l'Inghilterra al nostro Paese), nel considerare certi aspetti inquietanti del: la politica anglosassone nei riguardi non solo di noi, ma di tutta l'Europa. Per quanto le opinioni italiane possano essere più o meno discordi sui modi della continuazione e della fine del conflitto, ci sembra che un sentimento ed un dubbio, sia unanime: il dubbio che la distruzione tremenda di vite e di beni cui è sottoposta in questo momento l'Italia possa essere, non solo un metodo e un calcolo (sia pure spietato) di guerra, bensì un programma, spaventoso, di pace. In altre parole, il dubbio che questa condotta di guerra (oltre a essere la più comoda ed economica, se pur non la più gloriosa, per gli Anglosassoni) celi il proposito di fare, non solo dell'Italia, ma di tutta l'Europa — in caso di vittoria — per lunghi anni un deserto; per sempre, una colonia servile. Due vie si aprono davanti agli Anglosassoni in questo momento C sempre nell'ipotesi, beninteso, di una loro- vittoria) :- una è la via della conquista e dello sfruttamento brutali, senza riguardo alcuno, non solo ai popoli vinti, ma all'idea stessa di una futura organizzazione umana del mondo, l'altra è la via della ricostruzione integrale e chiaroveggente. La prima è la via dell'interesse immediato, della cupidigia elementare, dell' odio cieco e della vendetta: portar via tutto al nemico, distruggerlo; la seconda è la via, non solo dell'umanità e della civiltà cristiana, ma anche di un superiore interesse politico, che dischiùderebbe agli Anglosassoni un avvenire luminoso, una missione altissima (nè per questo meno materialmente proficua) di direzione, o condirezione, di tutta una fase della civiltà. La prima via porta alla distruzione, la seconda alla ricostruzione dell'Europa. «La già gloriosa Europa », come ha detto Churchill, in un suo abbastanza recente discorso : nè si è potuto capir bene se ci fosse del sincero rammarico, o non piuttosto dell'ironia e del disprezzo, in queste parole. Ora, riconosciamolo subito, e per i primi, l'Europa ha dei torti, non solo, ma delle colpe immense in tutto quel che è successo: e, se rovina avesse da essere, essa sarà la prima responsabile di questa sua rovina, che a tutt'oggi (a parte i disordini, i lutti, l'impoverimento interni; e salva, speriamo, ogni rrPalsa futura) le è già costato l'impero italiano, l'impero francese, l'olandese, il belga, parte dell'impero britannico. L'Europa ha, per le sue beghe intestine, e per ben due volte in venticinque anni, messo il mondo a ferro ed a fuoco; lusso che poteva forse concedersi un tempo, quando era a capo di tutti, a immensa distanza, come forza e prestigio, da tutti; non però oggi, ch'era già da ogni parte Insidiata; l'Europa ha inoltre, in questi ùltimi tempi, andando contro ogni sua! più gloriosa tradizione, elaborato paurose, antiumane ideologie che misero a repentaglio le maggiori conquiste della civiltà. Si può dunque anche comprendere come, dal loro punto di vista, gli Anglosassoni, e specie gli Americani, ne siano esasperati, e pensino: ora dobbiamo venire noi a mettere ordine, ed a farla finita una volta per sempre. Ma gli Anglosassoni non debbono dimenticare che essi hanno, a loro volta, la loro parte di responsabilità e di colpa, nella tremenda situazione in cui il mondo si trova: l'Inghilterra, per i numerosi errori politici e diplomatici commessi in quest'ultimo ventennio, a partire dalla pace di Versailles, e da quella che fu chiamata la « balcanizzazione » d'Europa; l'America, per la sua politica di egoistico isolamento, che la portò subito a ritirarsi da Ginevra, poi al la erezione di successive e crescenti barriere doganali e anti-migratorie, con danno immenso per l'equilibrio delle forze, e per la normale circolazione delle correnti produttive. Se le responsabilità della catastrofe sono dunque, almeno in parte, comuni, comuni dovrebbero essere (almeno in parte, e su un piede di comprensione reciproca) gli sforzi per la ricostruzione : ora, bisogna pur dire che, sotto questo aspetto, non ci sembrano sufficienti, nè rassicuranti, non solo la condotta di guerra, nè le conclamate imposizioni di pace, bensì anche le voci che giungono dalla propaganda anglosassone: è anche interesse nostro — insinuano queste voci, per rassicurarci — che l'Europa riabbia un minimo di prosperità economica, ai fini stessi del commercio mondiale, cioè del nostro guadagno: dunque non abbiate paura. No, signori, questo non ci basterebbe. Sarebbe un'immensa jattura per la civiltà del mondo se l'Europa avesse da diventar solo, in futuro, un mercato di consumatori posti in una condizione servile: l'Europa dovrà restare qualche cosa di più, cioè, fra gli Anglosassoni e la Russia, un grande centro autonomo (se magari non più preminente) d'iniziativa culturale e tecnica, d'invenzione spirituale, a vantaggio di tutti: e, per questo, una sua decorosa sistemazione politica sembra indispensabile, se è vero che dall'avvilimento morale non e mai sorto nulla di buono. Benché sembri superfluo (e forse oggi un tantino retorico) ripeterlo, gli Anglosassoni non dovrebbero dimenticare che l'Europa è stata fino a ieri il cervello e il cuore del mondo, ch'essa ha dato al mondo le due cose più grandi (se pur tra loro diversissime) che mai il mondo abbia visto: il Cristianesimo, e quella Scienza, da cui possibilità immense si schiudono di liberazione umana: sicché dalla loro sintesi — mentre si assiste og¬ gi, invece, alla loro dissociazione cruenta -— può sorgere una più alta civiltà. L'Europa, del resto,- anche oggi, ha ancor molto da insegnare al mondo: basti, ad esempio, pensare a quella economia svizzera, che il Ropke prende a modello della sua « terza via », -fra gli eccessi opposti del capitalismo e del comunismo: e, aggiungerò io, basti pensare inoltre alla costituzione sociale e politica svizzera e di altri paesi europei; ma di ciò, un altro giorno. In quest'opera gigantesca, che tutti ci impegna per l'avvenire, se la politica cesserà finalmente di dar frutti di lagrime e sangue, l'Inghilterra (ove non tradisca le origini, ove non fallisca al suo compito) è la naturale, la designata mediatrice tra l'Europa e l'America per la nuova civiltà occidentale, anzi per la nuova civiltà dell'intera razza bianca; nell'ipotesi auspicabile che la Russia finisca per accedervi senza la guerra: nell'ipotesi, cioè, che l'umanità riesca a far sboccare l'attuale crisi non in una catastrofe, ma in una ripresa ascendente. Può darsi che nel loro giudizio intimo (nel giudizio di quei loro dirigenti che #\bbiano l'abitudine di riflettere storicamente) gli Anglosassoni pensino toccare oggi all'Europa la sorte dellTfntica Grecia, condotta dalle sue discordie intestine a essere preda di Roma Ebbene, anche in questa dannata ipotesi, vogliano essi considerare e ricordare con quanto rispetto, con quanto amore, quegli avidi e rozzi Romani (poiché oggi, in Italia, si può final' mente evocare, accanto al' le luci, anche le ombre di Roma) si avvicinarono alla gran madre della civiltà antica, avvilita e distrutta, anch'essa, dalle sue guerre interminabili, dalle sue fazioni inconsulte e feroci: come cercarono di curarne le piaghe, di rispettarne le istituzioni, di ripristinarne le libertà. Dopo duemila anni di Cristianesimo, vor ranno lessi far peggio? Filippo Burzio

Persone citate: Briand, Cavour, Churchill, Goethe, Kant, Massimo D'azeglio, Newton, Poincaré, Ropke, Shakespeare