Con Ciaicovschi per le vie d'Italia

Con Ciaicovschi per le vie d'Italia VICENDE E FORTUNE NELLA VITA DI UN ARTISTA Con Ciaicovschi per le vie d'Italia A Venezia, Roma e Firenze il grande compositore trascorse i più lieti momenti della sua inquieta esistenza iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiniiiiiiniLe prime impressioni Italiane di Ciaicovschi furono brutte. Venezia, uno scenario polveroso e cascante. A Roma apprezzò' alcuni monumenti, ma si domandò come mai tanti russi gradissero di vivervi. Napoli: « Che il diavolo se la porti ». Prime impressioni, nel 74. d'un misantropo, d'un infelice, anzi, più chiaramente, d'un ammaiato nell'anima e 'nel sensi. Tornando poi e ritornando, il paesaggio, il clima, le città, la gente, gli parvero amabili, e man mano l'incantarono tanto ch'egli temette un Istante di obliare la terra nativa. Tanto cangiamento, non dell'indole, che restò svagata e selvatica, incu- Eita da difetti fisici e dall'auso dell'alcool, ma dei moti psicologici occasionalmente simpatizzanti con uomini e cose, era favorito dalla nuova e singolare relazione con Speranza von Meck, la ricchissima e non giovane vedova, la quale, adorando lui e la sua musica, divenne la sua più intima amica, la confidente, la protettrice, e, fornendogli molto danaro, gli die agio di lavorare senza angustia. ' Singolare relazione, perchè Ciaicovschi, debole, sempre paventò d'avvicinarla, e ■lei, amorosa quanto imperiosa, mal volle cercarlo. In Russia s'eran scorti da lontano, a teatro. A Firenze, abitando vicini, a cinquecento metri, l'una nella villa Oppenheim, l'altro nella villa Bonciani, non si visitarono, si scambiarono quotidianamente lettere, pensieri, consigli, doni. SI provarono una volta sulla stessa strada. Una donna In carrozza gli veniva Incontro. Speranza? Perplesso, egli inforcò gli occhiali, la ravvisò e salutò. La signora, già lontana, non lo riconobbe, fece appena un cenno'col capo. Tredici anni continuò la corrispondenza epistolare; espansiva, ardente, ro-' mantlea e anche pratica, secondo il carattere di Nadjeshda; e, umile, riconoscente, di lui, minuziosa, dalle informazioni più inattese — come quando le annunciò le nozze con una ragazzina sciocca dalla quale presto si separò — alle discussioni su Schopenhauer, dalle futilità alla fatica della composizione. Un giorno, iimprowisamente, Speranza e?U annunciò, che era ammalata e stanca, e che per le mutate condizioni economiche non gli avrebbe più mandato la consueta sovvenzione, nè mai più scritto. E cosi fece. Ciaicovschi sollecitò invano un rigo di risposta. Compose la Patetica e si spense, nel '93. La von Meck gli sopravvisse tre mesi. Da questo curioso romanzo, da altre avventure femminili, 'dalle vicende della vita e della fortuna artistica — che ora Mary Ti baldi Chiesa narra con scorrevole piacevolezza (Ciaikovsky, Garzanti ed.), giovandosi di un epistolario pubblicato qualche anno fa e descrivendo con chiarezza le opere principali — emergono In realtà elementi contrastanti. L'uomo e l'artista, come tante volte avviene di riscontrare, risultano quasi del tutto antitetici. Se ne togli un che di nostalgico, carattere deT resto comunemente ottocentesco, dove senti l'accento dell'uomo solitario, silenzioso, disordinato, frigido, timido, radicalmente russo, in quelle musiche cosi affabili, loquaci, eloquenti, salottistlche, patetiche, accaldate, disciplinate, stilisticamente eclettiche, e sensuali più che spirituali? (Vedi perciò le acute pagine critiche di Gianandrea Govazzeni in Mussorgski e la musica russa dell'800, ed. Sansoni). Ancora una volta, la biografia va distinta dalla storia dell'artista. Verdi e Marchetti Le impressioni dell'Italia migliorarono, dicevamo, con lo stato finanziarlo e dell'animo, e s'accompagnarono a non rare sensazioni e a giudizi sull'arte e la cultura. Per es„ il Ruy-Blas, ascoltato al Dal Verme nel 1877, (sperava qualcosa di interessante, dato .11 grande successo), gli parve una « povera e triviale copia di Verdi >, priva della forza e del calore peculiari del bussetano. L'esecuzione, men che mediocre. La cantante che impersonava la Regina fece quanto potè, mancava tuttavia delle qualità necessarie a chi affascina tanti uomini. E il protagonista? «Non cantò male, ma, anziché un eroe, sembrava1 un lacchè ». Verdi si era « un uomo di genio»; « geniale vegliardo, ha aperto con l'Aida e l'Otello nuove strade al musicisti italiani >. Ma dell'Aida deplorava il libretto e gli « effetti ». Scriveva da San Remo nel '78: «Che cosa sono gli effetti? Guardato l'Aida. VI assicuro che per nulla al mondo comporrei su un analogo soggetto. Voglio uomini viventi, non pupazzi ». E si dichiarava incapace di dar vita musicale a negri, della cui razza ignorava la mentalità e l'anima. Altri soggetti antichi e moderni escludeva, da Eschilo a Racine, a Meyerbeer, per le stesse ragioni. Voleva un'azione senza re, senza dei, senza tumulti di popolo, senza marce. Insomma senza gli attributi del grandopéra; cercava un dramma intimo, svolgente un conflitto di passioni di cui avesse esperienza. Terminava allora VEugenio Oneghin, che realizzava i suoi principi, e ne prevedeva l'insuccesso. Quanto fosse errata la sua concezione estetica non occorre rilevare. Naturale, che alcuni argomenti non lo interessassero. Ma SU sfuggiva, come' al teorici al verosimile, che l'opera d'arte, se anche proceda da una personale esperienza sentimentale, è, In quanto poesia creazione. Vivere a Firenze gli era particolarmente caro. Vi capi tò nel Carnevale del '78. SI deliziò della festosità popola re, dell'eleganza aristocratica sul Lungarno, alle Cascine. La sera andò all'Arena Nazionale, dove si rappresentavano 1 falsi monetari d'un maestro a lui sconosciuto, « una scemenza e una banalità »; usci dopo il primo atto, anche perchè nella sala gli spettatori fumavano e l'esecuzione era pesai ma. All'aperto godette la not a n te affascinante e 11 cielo stel» lato. « Splendida Italia! ». Insieme con la natura ammirava le naturali qualità artistiche del popolo. Già l'aveva sorpreso, passando per una strada, la bellissima voce d'un giovanetto. Incontrò alcuni musicanti girovaghi e 11 pregò di corcare quel tenorlno e di condurgllelo a una certa ora, a un certo punto del Lungarno. Quelli furono precisi. Attorno a loro si radunò la folla; svoltarono In una viuzza. Ma era poi Io stesso cantore? « Appena comincerò a cantare », quegli rispose, « vi accerterete che son proprio io; allora mi darete mezza lira d'argento ». E cominciò. «La 8mozione era indicibile. Piangevo, tremavo, rapito. Cantò Perchè tradirmi, perchè lasciarmi. Mai una canzone popolare m'aveva parimenti commosso. Cantò un' altra melodia. Glie la feci ripetere e ne presi nota». (Su quel motivo imbastì la romanza Pimpinella). «Bisogna passare qualche anno in Italia per onorare, quanto merita, l'arte del canto. Ogni momento s'ascolta per la strada, vicino, lontano, una splendida voce che intona qualche canzone. Anche se la voce non è bella, ogni italiano può vantarsi d'essere, per nascita, un cantante. Tutti hanno una perfetta emissione, risonante nel petto, non nella gola o nel naso, come da noi ». « La musica italiana rifiorirà se...» Venezia, dov'era giunto nel 77, lo tenne con la tranquillità, il silenzio, la bellezza, la cortesia. Alla von Meck rife- . riva questo aneddoto. In piazza San Merco 1 giornalai offrivano La Gazzetta di.Venezia gridando tutti i giorni « La grande vittoria del turchi», benché non si avesse notizia di alcuna battaglia. Questa insistenza favoriva la- vendita delle copie ? Ne domandò a uno strillone, e quegli gli additò nel foglio qualche rigo su una scaramuccia, non propizia' ai russi, « E' una vittoria, questa ? », replicò Ciaicovschi. L'altro rispose qualche parola che egli non comprese, il giorno dopo s'imbatte nello stesso giornalaio. Questi lo salutò, gli sorrise, e,cominciò a urlare: « Gran "combattimento a Plevna, la vittoria dei russi ! ». f Neppur questo era vero. Cortesia... e umorismo veneziani. Si colgono qua e là nelle lettere di Ciaicovschi giudizi su* musicisti contemporanei, oltre quelli riferiti. Scrivendo da Sanremo alla von Meck nel '77, distingueva se stesso, che aveva studiato al Conservatorio, da Rimski-Korsakov, Cui, Borodin, Balakirev e Mussorgski, presuntuosi nel loro dilettanteslmo, infatuati l'imo dell'altro, avversi allo studio regolare. Rlmskl soltanto aveva Inteso 11 pericolo di quelle vanità e s'era volto alla tecnica severa. < O riuscirà un gran maestro o annegherà fra i cavilli del contrappunto ». Cui è « un dilettante dì talento, senza originalità». Borodin, «forte talento»; quasi non sa la ' musica. Balakirev « grande talento », perduto nel bigottismo. Di Mussorgski, dopo il Boris, nel '71: « volgare e bassa parodia della musica»; e nel '77: «Malgrado tutte le sue orribilità, parla una lingua nuova, non bella ma vigorosa ». Fra i francesi prediligeva Blzet e Delibes. Ascoltò qualche cosa di Sgambati e di Busonl, nell' 87. Entrambi di molto talento, ma deviati.. « Si vergognano di essere italiani, han paura di mostrare un barlume di melodia. Son convinto che la musica italiana rifiorirà se i compositori, Invece di seguire Wagner, Liszt, Brahms, in contrasto con la propria natura artistica, attingeranno dal profondo del loro spirito nazionale ». In quel tempo cominciava appena il moto dell'internazionalismo anche nell'arte musicale, che culminò nell'anarchia del primo Novecento. A. Della Corte