SERAFINA

SERAFINA SERAFINA Quando, molti anni fa, ari dai a stabilirmi a Scavia, in fondo alla valle, mi parlarono subito di Serafina. tSta sempre lassù — dicevano — lassù al Cortaccio, in mezzo ai boschi, estate e inverno, con suo padre, le sue capre, le volpi, le faine. Più che a se stessa, pensa alle capre, non pensa che alle capre, si fa mangiar viva dalle capre. In paese, capita* di rado, e sempre di corsa. *Entra nelle botteghe, e compra di tutto un po', ma sempre in quantità minima. Non ha mai un soldo; le capre le divorano tutto. Quando' hai tempo, va su a trovarla. E' una rarità, Serafina: la prima rarità della valle ». Appena ebbi una giornata libera, presi la via della montagna ; mi fermai, dopo mezz'ora, alla Cappella Alta, donde si scorge Scavia, laggiù, in mezzo al verde dei prati, accanto al fiume bianco di acqua giovane e corrente; poi, lasciato il sentiero principale, ne infilai un altro, più stretto, più ripido, appena segnato, che, se riesci a non perderlo di vista, ti conduce, quando Dio vuole, al Cortaccio. Sono luoghi ove il faggio non cresce più, e nemmeno la betulla, ma soltanto l'abete che è nero, malinconico, e il larice, d'un bel verde chiaro. Sei in alto, sempre più in alto; di quando in quando, da una radura, discerni il fondo della valle e misuri con piacere la strada percorsa. Il terreno si spacca, ogni tanto, in voragini oscure, non larghe, di solito, anzi quasi 6empre strettissime, ma profonde : ne vien su un alito freddo, di morte. L'erba, intorno, è lunga, ma rada; folte invece, le pianticelle di mirtilli. Si cammina così per un pezzo. Poi, d'un tratto, ecco un muro di cinta, ecco tremare, fra gli ultimi larici, il verde d'un prato. E' il Cortaccio,, il regno di Serafina. Quel prato, tutt'altro che piano, ma pure, a destra e a sinistra, assai bello, aveva anch'e9so im mezzo una voragine, meno profonda, forse, di quelle del bosco, ma larga, tanto larga e spaziosa che potevi guardarvi dentro facilmente, senza bisogno di aguzzare gli occhi. Che quello fosse in certo modo il cimitero delle capre, avevo già sentito dire; ma non m'immaginavo di vederlo tutto così ben seminato di ossa d'ogni genere e forma, le une isolate, disperse, le altre ancora congiunte insieme, costole ancora inarcate a figurare la curva del petto e del ventre, teschi con su le corna : uno spavento. Mi tolsi subito di lì, e raggiunsi, in pochi minuti, il poggio sovrastante. Vi sorgevano, l'una accanto all'altra, due costruzioni assai diverse. La prima, piuttosto piccola, t due piani, tutta di pietra, era la casa.; la seconda, assai più grande, col piano superiore di legno, la stalla. Mi diressi verso la casa, a passi sospesi, e, di colpo, udii 'a voce acuta di Serafina gridare a sua padre: — Non mangiarmi tutta la polenta che la devo dare al mio becco ! Mi fermai trasecolato, non sapevo che fare. Il vecchio, come risposta, mugolò qualche cosa; poi, alzatosi con un gemito, si mosse per uscire. Potei dunque vederlo, potei anzi stamparmelo negli occhi, per sempre. Per via di non so che male misterioso, la sua testa scattava continuamente, di qua e di là, come se fosse stato condannato a dire di no, eternamente di no. Aveva i piedi nudi e sporchi, le mani tremanti, il volto coperto d'una barbaocia grigia. Scorgendomi, alzò la testa senza riuscire a tenerla ferma, spalancò la bocca, balbettò una sola parola : — S»rafina ! Allora si fece innanzi lei, pallida, stracciata, scarmigliata, rimandò il padre nell'ombra a sedere, non mi chiese chi fossi, non mi disse buongiorno, e invece m'assalì a bruciapelo con questa domanda : — L'avete incontrato, l'avete incontrato, il mercante di bestiame? Pensate, pensate ! Voleva che gli vendessi le mie capre, le mie care capre! Al suono della sua voce, di dietro la casa, di dietro la stalla, saltarono fuori le famose capre. Non erano come le altre: erano più grandi, più grosse, erano quasi gigantesche. Si muovevano con lentezza, con disdegno; cozzavano fra loro, un po' per gioco, un po' sul serio; agitavano la barba, guardavano di traverso. Mi sorse innanzi, d'un tratto, anche il becco: era magnifico, tutto nero, con un paio di corna alte, arcuate, solenni, e una barba da imperatore: ti capiva che era stato nutrito, oltre che di erba e di fieno, del cibo e del sangue dei Cristiani. Il Padre di Serafina morì al Cortaccio, qualche anno appresso, dopo lunga malattia. Lo portarono in paese, e io lo vidi: composto nella pace eterna, pareva un martire, un santo eremita. Così Serafina rimase sola, proprio sola, al Cortaccio, con le sue capre. Ma, qualche tempo dopo, si diffuse in paese, c Fioi via via in tutta la valle, 'incredibile notizia: «Serafina si sposa». — Con chi, con chi? — Col Nigri ! — Ah, col Nigri ! — Quello lì farà presto a far piazza pulita! — Ma sarà poi vero? — Vedremo, vedremo. — In ogni modo, ci sarà da ridere. Il Nigri era un « trentino • capitato a Scavia quella primavera. Era un bell'uomo, non alto di statura, ma forte e ben proporzionato. Aveva il viso roseo e aperto, due folti baffi castagni sempre accuratamente ravviati, i denti bianchi, uguali, gli occhi neri, e pieni di malizia. Era bravissimo nel suo mestiere, e, perciò, senza ammazzarsi dal lavorare, guadagnava di bei quattrini, e gli piaceva vivere bene, con montanara ricercatezza. Perfino la polenta, egli sapeva farsela a modo suo, osservando cento minutissime regole: il fuoco dev'essere così così; l'acqua non deve bollire più di qualche secondo; alla farina di granturco, conviene mescolare due cucchiaioni di farina di frumento. La sua specialità, poi, era una certa polenta, detta, appunto, dei trentini: una polenta così dura che, alla lunga, dimenandola a dovere, si riduceva in briciole : con la panna, un piatto prelibato, che il Nigri si godeva con orgoglio e voli, .tà, leccandosi i lunghi baffi. Tuttavia, più che d altro, egli era goloso della carne, si vantava di saperla cucinare in cento modi diversi, e, grazie a tanta abilità, mangiava anche le bestie che a Scavia si buttava via: i gatti, i ghiri, gli scoiattoli. «Son bocconi da re — diceva — e voialtri morrete senza neanche sapere che cosa sia la roba buona». Tale era l'uomo che, a quanto dicevano, aveva saputo entrare nelle grazie di Serafina. Infatti, dal giorno, ormai lontano,' ch'egli era salito a lavorare in un bosco presso il Cortaccio, non lo. si era visto più in paeBe. Per qualche tempo, le fantasie si sbizzarrirono intorno a questa lunga assenza: chi l'aveva visto portare a Serafina un cestello di fragole; chi li aveva incontrati tutti e duo, lui e lei, un giorno di festa, lungo un sentiero, sull'alta montagna, presso al cielo. Infine, una certa domenica, il Nigri comparve in paese : lustro come un gallo. Vestito dei suoi abiti migliori, gli occhi più maliziosi che mai, i baffi che gli facevano sotto il naso due onde dai riflessi d'oro, un cappello di velluto nero ornato d'una penna di fagiano, si attirava gli occhi di tutti. « Lo sposo, 10 sposo! », sussurravano donne e ragazze intorno. Lui, però, non badava a nulila e a nessuno; ravvolto nel gruppetto dei suoi compaesani, ne era, naturalmente, l'anima, 11 capo; parlava, rideva, lasciava che la penna dL fagiano ondeggiasse qua e là. Peccato che, quella stessa sera, con l'aiuto del cielo e del vino, le sue oneste intenzioni gli scappassero di bocca. Fu all'osteria ; -sempre in mezzo ai suoi compagni, e a qualche operaio del paese. Per un bel po', bevi e bevi, il Nigri aveva parlato di questo e di quello, del bello e del brutto tempo, come «e niente fosse : ma alla fine, stuzzicato abilmente da due o tre compari, finì coUJammettere la verità. — Sì, e vero: mi sposo. La Serafina s'immagina che lo faccia per lei, mal io lo faccio per la roba. E poi, è ben tempo che trovi terra ferma anch'io, per la santa malora. Sposato che sarò, e padrone del Cortaccio, e di tutto, comincerò a fare la festa a quelle capracce che Serafina ha ingrassato apposta per me. Finita la prima, ne accopperò -un'al tra ; finita la seconda, un'altra ancora; e così, mangiando sempre carne di capraccia, passerò con la mia Serafina anni felici. — E ci inviterai qualche volta? — Se vi inviterò I Tutti, vi inviterò. Anzi, la prima capraccia, la voglio mangiare insieme con voi, la voglio 1 Questi bei discorsi furono riportati a Serafina. La poveretta ne fu ferita a morte. Un torto fatto personalmente a lei, via; in qualche modo ci si sarebbe potuta rassegnare; ma toccarle le capre, questo poi no. Con l'aiuto di un parente,'.riuscì in breve a levarsi il Nigri di tra i piedi, e non lo volle più vedere. Quando, sempre di rado, scendeva in paese, e incontrava un'amica, una conoscente, usava dire: — Quel maledetto mostro lì, non lo sposo proprio, non lo sposo a nessun patto, non lo sposerei nemmeno se fosse tutto d'oro #come le galline del Signore. In quel frattempo, io lasciai Scavia, e vissi lontano, per anni. Quando potei finalmente tornarci, chiesi notizie di Serafina. — E' morta — mi risposero. — AI Cortaccio? — Non proprio lassù, come avrebbe voluto, ma alla Cappella Alta, mentre la trasportavano in paese. I suoi ultimi anni furono tristi. S'era ammalata, ma non aveva mai voluto lasciare le sue capre, aveva sudato sangue per loro, s'era perfino ridotta a mendicare, a rubare. Quando proprio non ne potò più, si mise a letto, si lasciò visitare dal medico, ma si oppose violentemente all'ordine suo dì trasportarla in paese. «Voglio morire qui — diceva — dove son morti mio padre e mia madre». Il giorno dopo, vanno su quattro o cinque uomini, con una barella, per prenderla, e sulle prime non la trovano più: s'era asserragliata al piano di sopra ; sulla ribalta della bòtola, aveva trascinato un ciocco di faggio ; giaceva su un mucchio di foglie, in un canto. Forti dell'ordine ricevuto, gli uomini la levarono di lassù che strillava come un'aquila, la calarono al piano di sotto, la deposero sulla barella, si mossero per uscire. Allora cftsa trovò ancora la forza di alzarsi a sedere, e s'aggrappò con le mani, e con le unghie, agli stipiti di casa sua. «Voglio morire qui — gridava — dove son morti mio padre e mia madre ». Ma gli uomini erano più forti, la strapparono anche di lì, si avviarono lentamente giù pel sentiero. Le capre erano già accorse al grido della padrona ; quando videro che essa se ne andava, non poterono fare a meno di seguirla, ancora una volta, e saltarono giù pel prato, pel bosco. Gli uomini non volevano, le prendevano a zollate, a sassate, abbaiavano, le inseguivano por un buon tratto: sempre invano: le capre, tornavano, le capre non volevano lasciare Serafina. Alla Cappella Alta, il piccolo corteo si fermò, dovette fermarsi: Serafina rantolava, moriva. Fu deposta innanzi alla Cappella, innanzi a quella Madonna, sai, che ha un fiore in mano. Le capre sopraggiunsero anch'esse, correndo, e non furono più allontanate; ora ben giusto, infine, che assistessero in morte colei che era sempre vissuta con loro, per loro; di quando in quando, l'una o l'altra belava, sommessamente, come interrogando. Serafina non rispondeva più, non lo chiamava più per nome: moriva, era morta. Le capre la accompagnarono, senza più contrasti, 1 fino in paese; a lasciarle fajre, l'avrebbero accompagnata fino al camposanto. Giuseppe Zoppi

Persone citate: Giuseppe Zoppi, Nigri