Era l'alba del 16 Dicembre

Era l'alba del 16 Dicembre L'epica gesta del "Tagliamento,, fra il Don e il Donez Era l'alba del 16 Dicembre Il 63° Battaglione al comando di un seniore consigliere nazionale e sessantenne - Dalla quota Olimpo alla quota 201 dove non c'era che terra gelata - Gli attacchi a valanga dei sovietici sempre infranti j molta L Quando quelli del ragliamento ricevettero l'ordine di andare di rinforzo ad un reggimento della Pasubio, erano scesi allora alla base di Getreide dopo i combattimenti al caposaldo di Ogolev. Stavano provvedendo all' accertamento delle perdite subite e relative segnalazioni, all'inquadramento e ripartizione dei complementi, alla ricognizione del materiale e delle armi. Ad Ogolev, avevano combattuto duro per due giorni: VII e il 12 dicembre. Il caposaldo era stato preso, perduto e ripreso. Come sempre, ì legionàri del gruppo Battaglioni "M„ Taghamento erano venuti a trovarsi di fronte ad un nemico quattro o cinque volte superiore e come sempre gli avevano tenuto testa. Più volte, non bastando le armi automatiche ed i moschetti a tenerlo indietro, avevano dovuto ricorrere alle bombe a mano ed ai pugnali. Due giornate epiche, in breve. Tanto che il gen. Zingales dava loro nove medaglie d'argento sul campo, dodici di bronzo e trentatre croci di guerra. Le perdite erano state sensibili, ma, scendendo a Getreide, i legionari non si illudevano di andarvi a godere un lungo riposo. Bisognava, anzi, che facessero in fretta a mettersi in efficienza. I russi avrebbero attaccato di nuovo e presto. Lo aveva detto il console Golardo, il nuovo comandante del gruppo. « Siamo solo agli inizi. 1 russi non la molleranno tanto presto ! >. La grande offensiva invernale sovietica, difatti, era incominciata. In realtà, essa era scattata fin dal 7 novembre, anniversario della rivoluzione del 1917. Ma, in un primo tempo, limitandosi ad attacchi sporadici, e, per cosi dire, d'assaggio, che gravitarono, per lo più, nel corridoio fra il Don ed il Volga, alle spalle degli attaccanti di Stalingrado, e nella grande ansa del Don. La valanga aveva preso a rotolare VII dicembre. Aveva un fronte di quasi 150 chilometri, esattamente da Serafimovic, ad oltre Butuschar, fin quasi sotto Rossoch. Si calcolava che i russi disponessero su questo fronte di oltre 2000 carri, di 10-12 divisioni motorizzate e di 20-25 divisioni di fanterìa. La tattica sovietica era la solita : una violenta, poderosa pressione in massa per mezzo delle fanterie a cui avrebbe dovuto seguire il peso decisivo delle divisioni motorizzate e dei carri non appena il fronte fosse stato spezzato. La zona del «cappello frigio» Ma, al primo urto, il fronte antibolscevico non s'era spezzato. L'arco della linea si fletteva qua e là, via non accennava a cedere. Con tutte quel le forze che avevano ammas sato, era logico che i russi in sistesscro. E questo i legionari del Tagliamento lo sapeva no quando partirono per il caposaldo Olimpo. Quello di Ogolev non era stato che un combattimento iniziale. Il pri mo di una serie. E, difatti, si erano appena sistemati sul ca posaldo Olimpo che i russi at laccavano nuovamente su tut to il fronte. La pressione era particolarmente forte nella cosidetta « zona del cappello frigio sul Don », wn'onduZazione con un cucuzzolo un pochino ripiegato innanzi sì che pareva, visto da lontano e con molta buona volontà, al co ! pricapo dei Giacobini e dei 1 Sanculotti al tempo della rivoluzione francese Era l'alba del 16 dicembre. Un'alba incerta e squallida con un forte vento che sollevava la neve e la faceva tur binare. Il Don appariva a trat ti ed era come una lunga ben da grigia, senza riflessi. Mot ti reparti sovietici dovevano averlo attraversato nella notte, ma altri continuavano ad attraversarlo a schiere compatte che camminavano sul ghiaccio a passo di marcia. I nostri cannoni li lardellavano con sventole furiose e precise, ma quelli si ricomponevano subito e venivano sempre avanti. Non si curavano di accelerare il passo e manco di frazionarsi. Venivano avanti fitti e lenti come spinti da una forza fatale ed erano incapaci di arrestarsi ed erano incapaci di sciogliersi. Sembravano un animale scuro e gigantesco che strisciasse sull'asfalto. E il Don gelato aveva il colore grìgio ed opaco dell'asfalto. La loro artiglieria batteva sui capisaldi senza respiro. Enormi zaytipilli di terra sprizzavano ovunque e su tutta la Iblea dei capisaldi era distesa un' immane cortina di fumo. Con quell'uragano di fuoco, credevano di aprire la strada alle fanterie. Ma, una volta sotto, i fucilieri russi si trovavano sempre davanti degli uomini decisi a non cedere. Che li attendevano fra i rottami Idei capisaldi, nelle voragini delle granate^ nei buchi frettolosamente scavati nella neve. E> come se tutto quell'uragano di fuoco non fosse passato. Alle otto, una compagnia del 63° battaglione Tagliamenta veniva chiamata à riconquistare il caposaldo X. Sotto l'incalzare della valanga, i capisaldi di estrema destra prima e successivamente quelh di estrema sinistra erano stati sommersi e le conseguenti infiltrazioni facevano delineare il pericolo di accerchiamento. Occorreva allontanare a tutti i costi simile pericolo. I legionari conquistarono il caposaldo di siati-1 ciò. Era ridotto ad un cumulo informe di rottami frammisti ad armi, a blocchi di terra gelata, a lastre di ghiaccio, a tralicci e a travi in un caos pauroso. Non serviva più a nulla come caposaldo. Ma di lì si impediva che i russi scivolassero giù alle spalle dei difensori della «zona del cappello frìgio ». La pipa e la situazione Per ore ed ore, sul caposaldo X e sul caposaldo Olimpo quelli del 63 ressero ad un'impressionante vicenda di attacchi e contrattacchi. I battaglioni russi correvano a sbattere di testa contro le muraglie dei due capisaldi — muraglie fatte di cuori tranquilli e di muscoli saldi —, le coprivano di sangue, vi si infrangevano contro, ma ritornavano di nuovo e sempre con violenza maggiore. Il comandante del battaglione, seniore Mezzetti, era ovunque dove c'era un'incrijiatitro per ripararla, un contrattacco da organizzare, un gruppo di russi da eliminare. Aveva- il mo¬ schetto mitragliatore in mano e spesso l'adoperava come clava. E non fumava più. Aveva messo in tasca la pipa, quella mattina. Segno che la situazione era grave. Perchè egli se la levava appena per mangiare. Era la sua caratteristica la pipa in bocca. I legionari l'avevano visto arrivare al battaglione tre mesi prima, alto, secco di volto e di corpo, con gli occhi gioviali e con la pipa in bocca. Non era più giovane. Certo, sessantanni doveva averli passati. Ma i suoi movimenu erano sciolti e il passo svelto. Da bersagliere. E, difatti, nell'altra guerra era stato bersagliere. Ma adesso, fra i bersaglieri non l'avevano più voluto. O, per essere più precisi, non avevano voluto dargli un comando di pi ima lutea perchè aveva più di sessant'unnì. E i limiti d'età sono i limiti d'età. Perciò, s'era arruolato volontario fra le Camicie nere, disposto, se del caso, a fare la Camicia nera semplice pur di andare in linea ed in Russia. Una volta in Russia, vista l'età e la carica — Mezzetti era consigliere nazionale — gli avevano parlato di un posto al comando. Che se poi insisteva, l'avrebbero fatto ufficiale di collegamento. Ma lui tant'aveva brigato e fatto che aveva finito per ottenere il comando d'un battaglione e, per di più, d'un battaglione del Tagliamento, l'unico gruppo della milizia dal labaro decorato di medaglia d'oro. Mezzetti era entusiasta dell'incarico e dei suoi uomini. Diceva che fra i legionari ed i bersaglieri non vi trovava differenza. Gente svelta e decisa. Sempre pronta a scattare.

Persone citate: Mezzetti, Zingales

Luoghi citati: Russia, Stalingrado