Terreno infernale

Terreno infernale Terreno infernale Verso le 12 di quel giorno,— dall'alba il combattimento non aveva avuto un attimo di sosta — vi fu sul caposaldo Olimpo un lungo silenzio. Non l'infrangersi d'una granata, non il biivido d'una mitragliatrice e nemmeno un colpo isolato di moschetto. Che cos'era accadutof Che tutto fosse finito .* Che il battaglione fosse stato travolto? Il console Galardo mandò un porta-ordini a vedere. Che ritornò dopo un'ora con un biglietto del seniore Mezzetti. « Stiamo bene. Sono i russi che non ne possono-più. Per me, sono sicuro di tenere tutta la giornata ». Ma il compito del 63 sull'Olimpo e sutl'X era finito. Perchè una nuova Hnea era stata apprestata nel frattempo. Mezzetti poteva ritirarsi. La nuova linea correva su quota 201, una lunga ondulazione che, vista da lontano, poteva rassomigliare ad un coccodrillo accovacciato. I legionari del Tagliamento vi trovarono un reggimento tedesco con aliquote di artiglieria e pezzi anticarro. Si allinearono alla sua destra. Per resistete ai russi ed al freddo, ci sarebbero voluti dei trinceramenti solidi e profondi. Ma sulla 201 non vi era niente, se non della neve, del ghiaccio e della terra gelata. Nessun terreno al mondo risente delle stagioni come quello russo. D'estate, è una polvere simiZe ad una farina che stagna in aria come la nebbia ed entra dappertutto. Peggio che in Marmarica. Poi, d'autunno si cambia in una vasta colata di fango. Un mare nero di lava. Poi, con l'inverno, la lava si raggruma, si indurisce, diventa una roccia dura che i picconi non riescono ad intaccare e che ci vorrebbero le perforatrici e mettervi dentro la dinamite. Formicaio senza fine / russi non tardarono a rovesciarsi contro la quota 201. Le prime pattuglie vennero su dai valloncelli di fronte come le avanguardie di un formicaio in marcia. Vi erano degli uomini con gabbani bianchi, ma i più esibivano i regolamentari cappotti sovietici bigi a venature violacee. Quelli dai gabbani bianchi dovevano essere delle truppe scelte o bene addestrate. Dimostravano di conoscere gli elementi rudimentali dell'arte d'attacco perchè avanzavano a sbalzi e sapevano piegarsi a terra al momento opportuno. Gli altri avanzavano in piedi, a testa china, a gambe larghe, senza vedere nè dove andavano nè chi incontravano, cercando soltanto di stare affiancati. I legionari, impressero subito il più veloce ritmo all'alterna vicenda del caricare e dello scaricare. Stavano rannicchiati dietro a muriccioli di neve e di ghiaccio. Se li erano fatti coi pugnali e con le mani quei muriccioli, ma più che una protezione erano un'illusione. Le prime pattuglie sovietiche vennero ributtate nei valloncelli. Ma questi continuarono a vomitare uomini su uomini come se fossero i nidi del formicaio. E il formicaio non aveva fine. Più se ne uccideva e più ne venivano fuori. La storia durò cinque giorni. Gli anziani, quelli che erano stati con Mittica, dicevano che era come in agosto a Ceboratevski e a Bolschoi. Ma allora c'era il sole. Un caldo da morire. La calura si condensava in una bruma talmente spessa e fitta che sembrava una tela grigia tesa sulle teste per impedire all'aria di circolare. Si aveva l'impressione di respirare a vuoto. Ma, perlomeno, le notti erano fresche. Adesso, nò di giorno nè di nott"., si respirava. Perchè, oltre a quelli dei russi, si aveva un altro attacco da sostenere, un attacco senza fracasso e senza fiamme, ma ugualmente atroce, quello del freddo. Come reagire al freddo, come resistervi in quei luoghi ed in quelle condizioni, senza una casa, senza una gallerìa, senza manco una trincea ? / legionari non potevano gridare chi va là al freddo, al freddo che legava loro gli arti, glieli immobilizzava e rattrappiva, al freddo così intenso che V acciaio dei fucili bruciava la pelle delle dita e le mitragliatrici si incantavano. E allora, si doveva smettere di sparare per portarle indietro a sgelare sovra il fuoco. Eppure, per cinque giorni, quei legionari all'addiaccio di giorno e di notte seppero resistere ai russi ed al freddo. Sparpagliati sulla neve, zitti, essi attendevano l'attacco dei due grandi nemici. Per il freddo, cercavano di tenere gli arti in continuo movimento con una specie di ginnastica a terra; per i russi, stavano attenti che non capitassero sorprese. Potevano attaccare da un momento all'altro, non avevano ore fisse, come si dice che avessero gli inglesi in Africa e.attaccavano nei modi più diversi. A volte con un preludio di grande orchestra, a volte con un breve martellamento di mortai, a volte cosi, senza dir niente. E questo, di preferenza, quando c'era la nebbia o di notte. Si vedevano allora, a qualche decina di metri, le prime pattuglie che sembravano venissero a curiosare. Poi, tutta la valanga in un frastuono di armi e di grida forsennate. E ad ogni attacco la neve si copriva di morti. L'ordine di Mosca I legionari non avevano davanti che dei morti. Uno qui, un altro là. E poi dieci o dodici, l'uno su l'altro, a mucchi, quasi che fossero caduti tutti insieme come una catasta di mattoni. Gli era che su quella quota non esisteva un appiglio, un fosso, un'ondulazione, dietro cui celarsi o ripararsi. Tutto era liscio e spoglio. Non vi erano per i russi che i compagni caduti. E dei compagni caduti ogni sovietico cercava di farsene un riparo, uno scudo, fino a che cadeva une lui e su di lui cadevano queh. che seguivano, l'uno sull'altro a mucchi, come i mattoni. Man mano che i giorni sfilavano via, gli attacchi aumentavano in numero e furore. I sovietici avevano bisogno di passate. E presto. Da mesi, essi avevano impostato su quell'offensiva le loro speranze e la loro tattica. Durante l'estate del '42 difatti, la gente di Mosca non aveva più ripetuto l'errore del '41. Nel '41, dopo la battaglia delle frontiere, davanti all'incalzante avanzata germanica, il comando moscovita aveva cercato di applicare una tattica alla Kutuzov, ma una tattica — come direi — rimodernata, adattata ai tempi nostri. Sapete chi fu Kutuzov: il generale russo che si ritirò davanti a Napoleone, tutto distruggendo nella sua ritirata. Siccome, però, un esercito motorizzato come quello tedesco e logisticamente attrezzato in modo perfetto poteva ridersi del vuoto e del deserto, l'alto comando sovietico aveva pensato di ritirarsi applicando, si, quella particolare strategìa russa della terra bruciata onde attrarre nell'interno del paese l'avversario, ma di ren dere nello stesso tempo la marcia di quest'avversario il più difficile possibile, di renderla lunga ed estenuante, di insidiarne le retrovie con partigiani e paracadutisti, di logorarne in breve le forze e di dissanguarlo al massimo. Di qui, i contrattacchi continui e le continue insidie nei mesi di agosto, settembte, ottobre 'il, di qui l'azione ostinata delle retroguardie, di qui le sacche, il cui vero scopo era di ritardare la marcia tedesca. Questa tattica, certo, costava perdite numerose. Ma al comando sovietico poco importavano le perdite. Anche nella prò porzione di tre ad uno — si pensava a Mosca —, di quattrr ad uno nei confronti dell'esercito tedesco, la superiorità in uomini sarebbe sempre rimasta ai russi ed essa avrebbe avuto il suo peso nella stagione invernale. In realtà, la proporzione delle perdite deve essere stata superiore. Calcoli precisi nessuno è capace a farli, ma non è esagerato affermare che fu perlomeno di otto russi contro un tedesco. Si che la pri¬ ma offensiva invernale sovietica altro non fu che il corollario sfortunato della moderna strategia della « terra bruciata ». Essa falU, perchè la sproporzione delle perdite nelle battaglie dell'estate e dell'autunno '41 fece d'inverno sentire il suo peso e perchè gli uomini richiamati sotto le armi — sta le classi giovani (11-18 anni), come le classi anziane (35-45 anni) non poterono essere apprestate in tempo o comunque non in grado di affrontare l'esercito germanico. Nel '42, dopo la disastrosa battaglia di Charkov che gli ingoiava quasi tutta la massa di manovra e d'urto preparata durante l'inverno, che cosa doveva fare il comando moscovita davanti all'offensiva di Von Bockf Resistere appativa diffìcile. Ritirarsi e ripetere la tattica alla Kutuzov riveduta e corretta come nell'estate e nell'autunno '41 era ugualmente difficile, perché il comando russo non disponeva più di un esercito corazzato al completo a perchè l'usura delle riserve nelle sacche ritardatrici s'era dimostrata troppo grave. E quindi col rischio di trovarsi nuovamente in inverno senza forze sufficienti. Il comando sovietico, perciò, decideva di ritirarsi puramente e semplicemente, di riportare al di là del Don il massimo delle forze possibili, di forre sui Don la sua linea di resistenza, e di attendere l'inverno. Con l'inverno, l'offensiva, come si è detto, era incominciata,. Ma non riusciva ad ingranare, non andava avanti. E si doveva andare avanti. Perche, altrimenti, l'inverno finiva, veniva il disgelo. E allora t Ma la Russia aveva molti uomini. Aveva il numero. È il comando russo impostò tutta la sua tattica sul numero. Perciò, le divisioni sfiancate vennero ritirate e sostituite con unità fresche. In un settore d'attacco dove prima operava un battaglione, ne furono immessi due, tre ed anche quattro. Era la tattica del numero, la tattica a valanga. Non si badava a nulla, pur di passare. E la valanga passò. Ma come gli alpini più a nord, come i fanti della Torino più a sud, \ legionari della Tagliamento, abbrancati a quota 201, con una trinceretta di neve che era più un'illusione che una protezione, non vennero travolti. Paolo Zappa

Persone citate: Galardo, Kutuzov, Mezzetti, Mittica, Paolo Zappa

Luoghi citati: Africa, Mosca, Russia