"Da Roma discendiamo e romana e la nostra lingua,,

"Da Roma discendiamo e romana e la nostra lingua,, LATINITA' ROMENA "Da Roma discendiamo e romana e la nostra lingua,, Il popolo romeno, nato dalla romanizzazione della Dacia conquistata da Traiano nel momento nel quale massima era la forza di espansione spirituale dell' Impero romano, sempre ebbe viva nel cuore la propria nobile discendenza e di essa attestò altamente di fronte al mondo la fierezza chiamandosi nei secoli romanità ninniti. Questa cosciente fierezza gli permise di conservare, nel lungo millennio delle invasioni barbariche e della soggezione a popoli di altra stirpe, la tradizione delle origini romane e la lingua, la struttura Interna della quale, nonostante le Inevitabili infiltrazioni straniere, è tuttora neolatina. Il viaggio del pastore Popolo di pastori e di contadini, espresse la coscienza della propria latinità nei cariti popolari, mantenne alcune caratteristiche della propria romanità anche nelle tradizioni, negli usi e nei costumi, in tutto il territorio abitato, dalle montagne del Maramures fino alla Macedonia, al Pindo, alla Meglenia, dalle pianure fertili delle Crisana fino a quelle assolate della Transnistria. E questi canti, espressi nella armoniosa lingua romena, che risuonarono per secoli dappertutto ove batteva un cuore romeno, assieme con le tradizioni, gli usi e i costumi, mantennero viva la coscienza della discendenza romana fino a che nei tardi secoli del rinascimento romeno 1 cronisti sentirono il bisogno di mettere per iscritto, questa fede, quasi a testimoniarla di fronte agli stranieri. Nel secolo XVII Grlgore Urechie scriveva: « De. la Rim ne tragem ai cu a ìor cuvinte «i-i amesteat aratiti », da Roma discendiamo e di parole romane è mista la nostra 'ingua. Miron Costin,' poco dopo, oltre ad affermare la discendenza del suo popolo da Roma scriveva che « cine r.'i fast In Italia sa vada pri Italienii. sa-i iu-aminte, nui va freniti mai mare dovada sa creata cimi un neam sànt cu Moldovenii » e cioè: « chi I è stato in Italia e ha visto | gli Italiani si ricordi che non occorre altra prova per credere che essi sono un solo popolo con i Romeni di Moldavia ». Nel secolo XVIII l'oviamo altri due studiosi assertori dell'origine romana del popolo romeno, non più semplici cronisti ma veri storici, il boiaro Constantin Cantacuzino già studente a Padova^ la cui Università da poco più di un mese si adorna di un di lui busto donato dall'Accademia Romena e 11 principe di Moldavia Dimitre Cantemir, scienziato di fa- 1 ! I | 1 ma mondiale e socio con Voltaire dell'Accademia di Berlino, il quale affermava non solo l'origine romana del suo popolo -ma asseriva anche, con ragione, che nessuna cir- costanza aveva mai potuto ! allontanarlo dalle terre conquistate dalle legioni di Traiano. Gli inizi del secolo XIX ve- I dono sorgere in Transilvania ; la scuola latinista, che sostenne con Samuil Clain, George Sincai e Petru Maior l'idea della continuità roma- 1 na nel territorio dell'antica Dacia Traianea e 11 ritorno della lingua romena alla scrittura latina con l'abbandono dell' alfabeto cirillico: per merito di questa scuola il concetto della continuità, che viveva di un vita larvale nella coscienza del popolo, divenne nozione comune. Dopo la metà del secolo, Ion Eliade Radulescu. con i canoni della sua scuola italianista, arrivò a vedere nell'italiano e nel romeno due dialetti della stessa lingua e si spinse fino a indicare ai proprii compatrioti l'italiano come modello da copiare per le future possibilità di espressione scientifica del romeno. Nello stesso torno di tempo è il viaggio a Roma di un semplice pastore romeno che, avuto notizia della Colonna Traiana, fece la strada a piedi dalla Romania alla Città eterna e venne trovato sfinito, ma felice, ai piedi della Colonna, definita dagli storici come l'atto di nascita del popolo romeno. Amore di terra lontana Dalla metà del secolo scorso ad oggi non vi è storico romeno che non abbia portato il proprio contributo alla conoscenza delle origini romane del suo popolo e dei problemi a queste connessi; ! basterà citare l'Onciul, il Tocilescu, l'Iorga. il Bratianu, il Daicovicin. Ma nel loro amore 1 romeni vennero nei secoli scorsi a cercarci anche in Italia. Il pretendente al trono di Valacchia Petru Cercel, sulla fine del secolo XVI viene in Italia e si rende tanto padrone della lingua da scrivere in italiano una poesia riportata dal noto umanista Stefano • Guazzo; a Padova, come si è già detto, studiava nel 1667-68 lo Stolnic Constantin Cantacuzino e nei secoli successivi studenti, i cui nomi sarebbe troppo lungo elencare, vengono a compiere i loro studi nelle Università d'Italia. A cosi intenso ardore di fierezza per le origini romane del popolo romeno, a tanto costante amore per l'Italia, rivelatosi anche con l'influsso italiano in Valacchia nell'epoca di Constantin-Voda Bràncoveanu (1688-1714) con quello del Metastasio sul poeti Vacaresti, con la bella fortuna del teatro alfieriano in Romania, con quella di tutta la letteratura italiana dall'epoca del romanticismo fino ad oggi, l'Italia rispose nei secoli con altrettanto ardorè di ricerche e di evangelizzazione e con pari amore. I contatti che Venezia e Genova ebbero con le terre romene fino dal secoli del morente medioevo furono continuati da medici, architetti, ingegneri, appaltatori, decoratori, orafi e stampatori, ma soprattutto dagli umili frati del più Italiano dei santi, San Francesco, che la Congregazione di Propaganda Fide inviava in Valacchia e Moldavia. Di questi frati, fra i tanti si potrebbero citare per XV i nomi di un Franciscus de Sancto Leonardo, ' di un Giacomo Cavalli e un Giovanni da Civitavecchia, per il XVI di Bernardo Querini, per il XVII di Gerolamo Arsengo, Marco Bandinl, Vito Piluzzio da Vignanello, per il XVIII Amelio da Foggia, autori questi due ultimi di un catechismo in romeno e di una raccolta di prediche In latino e romeno. Gli altri frati sono tanti che è impossibile ricordarli anche solo in parte. Nomi soltanto? No; basti pensare a tutta l'opera di evangelizzazione cattolica e di italianità che si cela dietro essi e che scende attraverso i secoli fino a noi. Alla letteratura italiana attinse, la letteratura popolare romena alcuni dei suoi libri preferiti, come il Fior di Virtù, il Fiore dei Filosofi. il Fisiologo, il Bertoldo e, indirettamente VBrotocrito, eccetera. Se l'influsso italiano sulla letteratura colta non fu grande su quella romena, soprattutto per ragioni politiche, l'Italia, - Amore di terra lontana * fu uno dei temi preferiti dal romanticismo in poi; basterà citare per il tempo passato 11 sonetto a Venezia di Eminescu, le poesie dell'Alecsandré e quelle dello Zamfirescu. Dall'avvento del fascismo in Italia poeti letterati e studiosi romeni, pur in un clima politico a noi sfavorevole fino all'arrivo al potere del Maresciallo Antonescu, si rivolsero con maggiore preoccupazione e ansia d'amore verso l'Italia e ne studiarono l'arte la poe- secoli XIV e ' ''""" sta. la coltura, le forme della civiltà. Anche qui pochi nomi fra i tanti: primeggia fra tutti dopo la morte di N. Iorga, l'Eccellenza Alex Marcii e poi N. Davldescu, Al. Cioranescu. I, Gr. Perietianu. Gh. Bratianu, ecc. Questa in succinto la rassegna dell'amore dei romeni per Roma e dei contatti culturali italo-romeni. Mario Ruffini [|I i• l; Alla luce dei riflettori, dei bombardieri dell'Asse si prepara la per un'azione partenza notturna