II 14 gennaio nel Vallo del Don di Ernesto Quadrone
II 14 gennaio nel Vallo del Don PAGINE DI STORIA SCRITTE PAOLI ALPINI II 14 gennaio nel Vallo del Don Il diario del trincerista • Le Penne Nere cambiano d'umore • Il cammello Ciribin del conducente Venin • Alle diciassette precise si aprì il fuoco sulle schieramento... C'è qualcosa in aria che non ve L'Alpino scrive il suo diario che cresce ogni giorno di volume e che, insieme al portafogli e a tutte le lettere ricevute, gli fa un gnocco dn una parte della giubba, come aves- se un tumore di cui non può^'■ 'nè vuole disfarsene Non c'è Alpino che non abbia un gnocco in un fianco, una funicella, un coltello, un moccolo e un pezzo di pane in una delle tasche dei pantaloni; e nell'altra il fazzoletto che gli esce e pende fuori. A cosa gli servano le cattacele ormai sbiadite, e ingiallite e rosicchiale ai- margini non lo sa; eppure le tira fuori dieci volte al giorno e le scorre attentamente grattandosi la testa perchè i poveri scritti più non gli dicono che staccate parole appena frusciatiti, piti leggere del volo di un'ape. E lui, con esse confondendosi e nei loto smarriti suoni perdendosi, scambia il ritratto con l'immagine Sacra e'ia lettera con il diario; ma tanto fa lo stesso, che sono proprietà del suo prezioso e segreto patrimonio spirituale e amoroso. Tutta la sua vita se la porta in tasca Tutta la sua vita passata e presente egli se la porta in lasca; vita, minima, pur rap presentando il suo mondo quando vuol guardarci denirojse lo lega ad un bottone coni lo spago, lo affetta col coltel-'lo e, se è notte, lo illumina coli moccolo Se a veder quella poca roba gli prende la melanconia e si asciuga le mani nel fazzoletto perchè l'Alpino piange con le mani e non con gli occhi; quando le tiene immobili, chiuse sulle ginocchia è segno che dentro gli piange il cuore. Il dolore paralizza l'uomo delle grandi fatiche fisiche; l'espressione della sofferenza, dei forti e dei semplici, è nella immobilità. Forse ha imparato dagli alberi che, sotto ai cieli tristi, fingono la parvenza di un martirio quasi di carne e sangue, legati e prigionieri della terra. Come l'albero, che vive disunito, dagli altri quasi ontoso di non poter muovere la propria ombra oltre a quella disegnata dal suo fogliame, così l'uomo, quello legato alla terra, allorché lo pungono imjprowisi dolori, non mai pronati e fino a quel momento considerati cose di deboli donne, si lega a se stesso e, appartato dagli altri, precisamente come l'albero si immobilizza nella sua notte, strin- gendosi le ginocchia con II mani, dure noccherule e ferme come di legno. Ma per lui. queste «finezze » non esistono che nel gesto esteriore; non le sa, nè sa- pendole scenderebbe all'ingan no dell'analisi, la morfina dei deboti e dei filosofi. Si accontenta dunque di ri- leggere le sconnesse parole che gli narrano il suo passato e, sbagliandosi, prega, davanti al ritratto della sua donna e\ bacia l'immagine saera come, fosse quella della madre o della moglie o della figlia e: persino della fidanzata. Ma fa tutto lo stesso; lui non conosce In metafisica del dolore e dell' nuore e neppure l'architettura razionale dei sentimenti umani. La sofferenza dell'uomo di trincea è veramente come talune sovrumane sofferenze o malattie che, sorgendo dalla madre terra, si attaccano malignamente a tutto ciò che dàlia terra tenta alzarsi per germogliare un po' più in alto, in una più ridente libertà di cielo; tentativi congeniti a qualsiasi naturale evoluzione e ai quali, persino l'aria fa largo, aprendosi dolcemente ad accogliere le fioriture dei segreti disegni per la nascita dei quali si predispongono le radici di ogni genere di vita.\Tutti hanno notato che le voci della natura si intonano alle voci interiori dei senti-l menti' umani. Al cuore triste] si ri/iuta l'allegra canzone del ^ vento e anche i quieti azzurri] del cielo ingfigiano attorno ali vergine stelo ilei narciso che,\per l'occhio velato di lacrime,.diventando nero e pesante si, abbassa nel fungo. \ Per l'uomo di trincea questei osservazioni, pur così sempli-'ci, sono storie che. come itnajvolta si contava, valle a con-\tare al Keisere che luì ci crederà. L'alpino, dunque, scrive le stentate parale del suo diario che poi, procedendo i giorni dopo i giorni, non aleranno più significato alcuno perchè, quello che è slato è stato, e corre via, dietro le spalle. Ma l'alpino non pertanto' seguita a scrivere; come seri- vano tutti i combattenti; quel-, li chiusi nei compartimenti-stagni dei bastimenti; quelli disseminati nelle trincee; quel-, li che trasvolano, come stelle, filanti, dentro le carlinghe de-'gli aeroplani; lineili scossonati\dai sobbalzi dei carri armati; quelli vestiti dì bianco che ffi-jrano tra i letti delle corsie di ospedale; quelli della Sussistenza, che si bruciano la pelle delle braccia davanti ai forni da campo; quelli che, nelle baracche dei Comandi, quadrettano le carte topografiche à per i tiri dei grossi calibri; quelli che nelle cabine della radio acchiappano il ronzio di cento parole al minuto... Tutti i combattenti si consolano sulle pagine dei taccuini del diario. Poi le buttano via, o le perdono, o si vergognano di quel certo stato d'animo provato in questa o in quella circostanza; oppure non le sanno più leggere o, alla peggio, se le sono portate, insieme sottoterra. « Se avessi voluto \m\ fanavn Vamnvnaa \\ ml lucevo laiUOlOSa» l II diario più patetico, più ] inutile, meno ~orrisponàente l ^Ua verità è quello dell'Alpino, ] che a coglierlo nell'attimo in lieni, soffiando come un bue, lo \scrive, tirando la penna come .un paio di buoi attaccati alla , fune, è di una semplicità tan \ to commovente. ei (Naturalmente le stesse co'se le direi per il fante — eh, jbuon fante della Cosseria che \adesso, reduce éilla Russia, dai un così ulto esempio delle lue pazienti, edificanti virtù. Oh, gloriosa Cosseria che parti ancora e porterai per sempre, sulla tua buona pelle italiana, l'impronta nobilmente stampata da colui che ti formò in terra di Liguria, l'asceta ' combattente Pinna Pintor ripeto, le stesse cose le direi , per il fante, per tutti i fanti, -se qui non si trattasse degli Alpini della Cuneense), , L'Alpino dice bagnando stil, la lingua la punta della ma'tita che «non d<ì>: « Sconcio\ne di un conducente, imbosca rone uno volta al giorno, quanjdo tagli la corda'per portarmi e questo poco di pagnotta, dimmi un po', costa dicono quelli là dei Comandi ». « Chiedilo al mulo, tu che nella trincea, quando vuoi, vai dal medico e ti dai lungo, ma se io marco visita tu tiri il cinghoine... ». I muli non ci sono mica, so no restati in parte ad A...MiehstovBavvusgSfpddrsmmgpzqmsaandrètrd10dlisscddrvo1ndove c'è il Comando della Divisione Cuneense, in parte sono più indietro, nelle stalle delle ìsbe e hanno i denti lunghi come il pelo che, di fa mo e freddo, hanno doppia razione. I conducenti arrivano alle trincee del Don sui cumions o anche sulle slitte. L'Alpino che scainbocchia il diario, con le mani impacciate dai guanti e le « idee » renitenti, che la sua testa è come una scatola di carne congelata, ha finalmente scritto pagine al fogliei'tino sotto la data di. quel giorno: « 14 Gennaio 1941. Vallo del Don. I marusky ronfano dall'altra parte del fiume e non si fanno vedere. Non fa ancora freddo. Fino adesso l'inverno è come da noi. Ieri se avessi voluto mi facevo l'amorosa; una bella « ciocia » che voleva la mia fascia di lana. Può star fresca. Noi Alpini, anche per niente, se allughiamo un dito, la donna ce la troviamo. Gli ufficiali invece dicono che devono mantenere il decoro e le trattano da lontano, Il conducente Venin invece di un mulo ha un cammello con la gobba, ld chiama Ciribin e dice che se lo porta a casa. Vedere se 11 tenente delle salmerle glielo lascia. Sono sempre Insieme e guai a andargli vicino che Venin dice che il cammello conosce soltanto lui e gli vuole bene come un figlio. Adesso Venin ha messo un muso come Ciribin e anche gli occhi, che sembrano castagne ancora nel riccio e dice che se lui si alCiribin si mette n a à r o i I lontana, piangere. Quando gli ordina ! « baracca, baracca » il cam ; niello fa come il carro arma to che perde prima le ruote 1 davanti e poi quelle di dietro e : diventa rotondo e senza gamjbe come un mucchio di sab bia. Mangiamo sempre carne, '-. Il capitano compera un bue :poi noi lo ammazziamo e la mensa è come un albergo che j le cotolette ce le danno quan 1 do vogliamo. Ma non ne abibiamo più voglia. Io e 1 miei 1 compagni daremo tutta la ;carne di un bue per l'insalata. 'Forse in primavera, dicono i che qui viene anche l'insalata, l'erba e il grano come da noi... 'Sono le quattro, è arrivato li generale Battisti che viene 'utti 1 giorni a vederci e ci !tratta come figli. Gli ufficiali s000 tutti delle nostre parti...», p E qui finisce il diario scritIto dall'Alpino butterato» e che mi ha regalato insieme ud 1 una fotografia. Fotografia iri!rissima, forse l'unica fotograi/ia esìstente; il documento l «ottico» del giorno quindi ci gennaio. Sul piccolo foto\gramma ingrandito in Italia *> vedono gli Alpini del Cor,po d'Armata distcri sulla de Istra del Don. Sono già usci' ti dalle trincee. L'obiettivo si i mmsmsutmcuecvptasinszvccdtsdtrqmninpnqdaduvdlosspsl'Il generale nelle trincee laperto alle ore diciassette pre¬ 'cise sulla indimenticabile vi lsione della colonna degli Al|pint che, sotto ni fuoco dei russi, ordinati come su una immensa piazzi/ d'armi, usso- Ultamente indifferenti ai pro- Nne upmsugmtagfavevialsualsecaallesuvacighlaMgrdcicilagitucococosa Me prése, a ripiegamento ulti- iettili delle grosse artiglierie hanno preso, da una parte, uno schieramento di combattimento, e dall'altra, iniziano il movimento di ripiegamento. TI battaglione Dronero e il Borgo San Dalmazzo, insieme al Ceva, al Mondavi e al Pieve di Teoo (per la seconda volta questo battaglione dà un esempio di eroismo che resterà nella storia dei Battaglioni alpini, come quello del Seoonào e quello della Julia, fregiato di medaglia d'oro; laprima in Albania 'e la seconda appunto qui, nella sacca del Don) vanno in linea e i reparti più avanzati hanno già sopportato l'urto di forze nemiche venti volte numericamente superiori. Ma vedremo e diremo in seguito come si sia svolto il ripiegamento e in quali condizioni. Per adesso chiudiamo questa lunga parentesi affermando che gli Alpini hanno superato tutto quanto finora avevano fatto e che già ben li avevi meritati dell'ammirazione e della devota gratitudine della Patria. Il generale Battisti, il pomeriggio del quattordici gennaio è nelle trincee della Cuneense. L'Alpino che scriveva attentamente le pagine del diario che abbiamo riportato fedelmente, chiude il tacciano e 10 ripone nella tasca interna della giubba, fra le altre reliquie.' « Chi mi vuol capire mi capisca » Ufficiali ed Alpini che, stretti intorno al generale, stanno ad ascoltarlo, sono ancora ben lontani dal pensiero di quello che poi, a brevissima distanza di ore, dovrà accadere e che è già segnato nell'avversa pagina del nero destino ormai incombente. Quelli che 11 hanno veduti testimonieranno, ammirati, del loro valore. Le fotografie che sono sta ^màio, da ufficiali alleati, ci mostreranno quali i segni lasciati impressi, e profondamente incisi a ferro e fuoco sui reduci, protagonisti degli undici combattimenti compiuti nella marcia quasi inuerosimile e incredibile di ottocento chilometri, percorsi a piedi, su una- distesa di neve farinosa entro cui si affondava fino alla coscia, sempre sferzati dal vento e tormentati dalla temperatura che, improvvisamente, era discesa dai venticinque ai quaranta gradi sotto zero. fatto ciò cheli onerale os-lutto ciò cne a generate os lserva ha ai suoi occhi e al suo intuito, una tale espressione di sicurezza, di consapevole forza materiale e morale, che dovrebbe rendergli tranquilli anche i brevi momenti di riposo che si concede. Eppure, anche se il polso dei suoi Alpini continua a battere con lo stesso pacato ritmo sotto le mani dei Comandanti di plotone, i più vicini alla truppa, si indovina che c'è qualcosa che non va... Chi conosce l'Alpino sa come questi sappia acchiappare nell'aria vuota, j voli di quelle invisibili farfalline che sono le parole pronunciate da nessuno ma appena pensate da qualcuno che è lontano, fuori dal cerchio della loro vita. L'Alpino non parla e non ascolta, eppure ascolta tutto e dice tutto. Il calcio tirato da un conducente dentro una gavetta che pure non gli aveva data nessun pretesto per quello sfogo, che potrebbe anche sembrare un semplice gesto di spensierata impulsività, ha un suo significato. Chi mi vuol capire — dice l'Alpino — mi capisca. Nostalgia della l'OCCÌaJnelle distese nevose Quelli della Julia, che paiono fatti di materia dolomitica e che, a vederli di notte, con un carico sulle spalle fanno pensare ad una casa che si muova, non hanno più la consueta, metodica pacatezza nel gesto, nelle parole, e specialmente nelle canzoni che cantano in coro... Talvolta, uno di questi giganti, stufo di quei corridoi di fango dentro ai quali si muove a disagio, oppresso dalla visione dell'immensa pianura alla monotonìa della quale il suo sguardo, abituato com'è alle contemplazioni vertiginose del Pelino e dcll'Antekto, le cattedrali della sua terra, gli altari delta sua religione e delle sue preghiere, non può assuefarsi, senza patirne, scavalca la trincea e alza le braccia e raspa l'aria con le unghie come volesse dar la scalata al cielo. L'alpino delle Tofane, della Marmolada, del Sella, del gruppo del Brenta, di Cortina, di San Martino, del Catenaccio e di tutte le altre punte cime creste pareti castelli della gì onde famiglia dolomitica nlhdctrgià della sua roccia; le sue rft-1 btu net vose e agili e quindi contrastanti con la mole del corpo bilanciato sui muscoli come sulla matematica preci¬ sane del pensiero, si coiif?afl-|snsun gono su quello che capita a portata di mano, come sui sognati appigli della roccia. L'alpino delle Dolomiti, da qualche giorno freme e fermenta, come preso da un improvviso e incontenibile desiderio di ascensione e di evasione. E i comandanti dei plotoncini hanno notato che non cantano più con lo stesso impeto e la stessa spensieratezza. Scalatori e rocciatori stanno, per abitudine, seduti sui grovigli delle cu de inutili. « Oh, ce biel, oh ce biel fantatis... ». Lascia, lascia in pace le belle ragazze che, a quest'ora, in bianco e nero, vestile proprio come le rondini, scivolano veloci attorno alle baite costruite con giganteschi tronchi, vecchi tronchi, amatesi patriarchi, ben stretti al cuore delle famiglie; il cuore di fuoco che, fiammeggiando, arde ai centro del tinello, sotto la cappa che potrebbe accogliete cento persone attorno ad una polenta per cento becche, tanto che, per mestarla, c'è persino un marchingegno di leve corde e catene... Lascia, tu furlan, le belle « fatatìs », belle e scontrose come i fiati della notte, quelli che crescono fra le roepie e che al tramonto si apiono verso ai pr'-fili gitasi umani delle tue Dolomiti. Chiudi il becco e guarda e osserva, e vigila oltre al ciglio della trincea che hai mai Iellata con i pugni, tant'è docile ^passiva e sorniona. Guardati, vedetta di roccia; guardati i fianchi e le spalle. L'alpino della Tridentina, che ha tutt'altro spirito, tutl'altra anima e tutt'altta tradizione, ha cambiato modo di essere, prcpiio come quelli della Julia, ma in altra maniera. . Per smuoverli non basta il cannone La sua vera natura di «ciacolone » tenuta fino allora in rispetto da una specie di educazione nativa, da qualche giorno è venuta fuori, come esplodendo e rivelandosi in una foga e in una furia oratoria sempre bonacctona spiritosa e faceta ma inccutenibiZe. Oli ufficiali conoscendo il valore di questi uomini che hanno nel sangue la dolcezza dei paesaggi veneti, li lasciano dire trattandoli di «serve-» come usa nel linguaggio alpino. E quelli non se ne adontano, anzi, quasi quasi, quel- c0™»™ "« l[e pp)me ncrg u crgKe g n j?_ (limino, rome non l'avessero mai udito, come una rivelazioneidel loro nuovo stato d'animo e modo di essere. essenziàl- Alpini, questi, mente da posizione, che si scavano tane con la velocità dei tassi, ove si adattano dimagrando come lupi. Quelli del « due » sono un po' come quelli del « quarto », un tantino più facili e docili, un tantino più curiosi di quanto succede anche fuori d:illa trincea e che, dopo una settimana, considerandola come lor casa, con la stessa gelosia la difendono . A smuoveili dai loro posti non basta il cannone ni il carro armato: ci vuole la barella che li porti via. Il generale, ritto sul ciglio della trincea, ha intorno a sè il tenente colonnello Arenanti, già Prefetto de La Spezia, volontario di guarà e di cui si dovranno, nel futuro, cantare le gesta, se agli err.i, come ai tempi omerici, la storia ha il sacrosanto dovere di dedicare le auree cronache; il maggiore Rosselli, comandante il battaglione Borgo San Dalmazzo; il maggiore Trovato che comanda il Mondavi: il ^ljon™J,"'''g^.i„1Jn comandante del secondo Reggimento al- pini e il comandante del Pieve di Teca del quale, in questo momento, purtroppo mi sfugge il nome ma che, di tale dimenticanza, farò poi doverosa ammenda. Ernesto Quadrone Lo schieramento degli « scarponi » sulle nevi del Don.
Persone citate: Battisti, Mondavi, Rosselli
Luoghi citati: A., Albania, Borgo San Dalmazzo, Cortina, Dronero, Italia, La Spezia, Liguria, Russia
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