L'alfiere di Ferdinando II

L'alfiere di Ferdinando II I "MILLE,, VISTI DALL'ALTRA PARTE L'alfiere di Ferdinando II Personaggi nel tramonto del regno borbonico: sacerdoti e camorristi, notabili di provincia e ufficiali della guardia, donne "alla Belgioioso,, e fanciulle fresche come nella penombra di un parlatorio d'educandato... Ancora una riabilitazione storica? Mi ponevo questa domanda, leggendo sulla copertina di questo « Alfiere » di Curio Alianello l'avvertimento che nel romanzo la spedizione dei Mille « è veduta dall'altra parte ;>. E' vero che il nome deireditore_ Einaudi è una garanzia di severità verso certe mode, secondo le quali i gendarmi del '21 sì travestono da veliti d'avanguardia delle guerre d'indipendenza: ma qui si tratta di romanzo, e al romanzo molte cose sono permesse, da quando Walter Scott si è intenerito sugli ultimi Stuardi, fino ad oggi, che portati via col vento sono arrivati fino a noi gli ultimi fiori deposti sulla tomba della Confederazione sudista. Temevo dunque di Incontrarmi con un alfiere borbonico che fosse una specie di Lohengrin del trono e dell'altare, un campione valoroso e pio di un Reame idilliaco e patriarcale: un idealizzato vandeano del Mezzogiorno, insomma, ornato di tutto l'orpello di lagrime e sospiri del legittimismo di scuola francese. Documento di napoletanità E sarebbe stato perdonabile all'autore di esser caduto in questa tentazione: di tutti gli antichi Stati italiani, il solo durevolmente ricordato, il solo la cui memoria non abbia immediatamente perduto ogni peso sul presente, è stato 11 Regno di Napoli. Con i fucili o con la nostalgia, per un principio o per un'abitudine, mossi a rivendicare una missione europea o fermi all'ombra del campanile paesano, da don José Borjes a 'o Incitino d' 'a ire, gli ultimi borbonici sono stati duri a morire. Ancora nel 1914, Ferdinando II regnava, dorato e stilizzato, mute ormai la lingua sarcastica e la mimica discorsiva, sui vestiboli e sulle sale del circolo legittimista come su una minuscola Città del Vaticano rimastagli in Napoli dall'usurpazione di « colui che detiene e quando appariva il duca Tomacelli, onori particolari lo accoglievano, e le marsine impettite ritrovavano le riverenze di Corte davanti al rappresentante del Conte di Caserta. Questa tenacia nel ricordare non si spiega però con la superiorità civile del vecchio Reame in confronto con gli altri Stati scomparsi e dimenticati, ma soltanto con l'individualità antica del Regno, che era di secoli, mentre granducati e ducati erano di i'eri o di avantieri, e di aspet-| r to cosi dimesso e provinciale, ! seche non scadevano di molto, nloro, a diventare province; ■ ptrarne motivo di esaltazione postuma, togliere quei rimpianti, quelle l'esistenze tutte di sentimento, quel broncio alla storia, a prova che nel Reame le virtù superavano 1 vizi, non sarebbe lecito, e anche in un romanzo darebbe forse fastidio. Carlo Alianello sfugge invece a questo pericolo. La sua arte sicura di romanziere è equilibrata da una coltura pdqe fpptopproFstorica consapevole delle pro-|dprie responsabilità. Certo; in i Pfui si avverte l'amore degli e riptie acideali di una volta, l'ossequio delle leggi di moralità e di onore che ricevevano dalla religione autorità di coerenza e di logica: ma questo amore e, . questo ossequio sono ispirazio-jstne e norma attuale di catto- "lico, non vaghezze fantasiose tedi romantico in esilio nella1 a propria età. Per eternamente1 divalidi che egli consideri que- ; mgli ideali, quando guarda a.1 comondo borbonico che perisce, UnAlianello si accorge che quelli™mondo perisce per averli di-1 *rmonticati, non per essergli ri-I1™masto arcaicamente fedele, nj vilegittimista più «intero» del■ scromanzo, il vecchio barone quLancia, è proprio quello che esvede più chiaro di tutti: « que- costo è un popolo vecchio _| nidice al figlio — le grandi co- j u,n, le grandi virtù, gli idealiIstl si sono logorati fra le marWNon c'è151 se ni in logorati tanti secoli necomcosedella vita. Anzi, caso più raro: era morto perfino quando si moriva in suo nome, giacché chi fra i suoi soldati aveva intelligenza e sensibilità morale non cadeva per lui, ma per la religione o per l'onore, per un ideale di condotta; 11 che, per molti versi, è un morire per conto proprio. Qui è la poesia, la commozione del romanzo di Alianel|lo: nella consapevolezza che più una virtù vergine, da noi ». Il medico liberale, che sbrigativamente sentenzia : « qui è tutta una schifezza », non vede la verità più spietatamente del barone borbonico: la corruzione sotto i galloni di tutte le uniformi, sotto 1 pennacchi di tutte le fe-- luche. Quando la crìtica degli sooppositorl formula la stessa siodiagnosi dello sconforto dei di- sctensori, un regime non è ino- quribondo: 6 già morto. E il Re- lagno di Napoli era intatti già Camorto nell'idea, quando 1 an- cvdirlvieni dei ministeri, la ri- mpetizione delle vecchie formu-icrle, le sentenze del tribunali e cnle parate di Piedigrotta, an- : stcora gli davano Papparenza j[ sem1 comtarisónoli fafabr ! serpeggia e poi stagna nell'a nimo dei suol protagonisti di ■ parte borbonica. Ma è una poesia che ha pure un valore di documento psicologico al quale bisogna fare attenzione, e che è uno degli aspetti mi- fliori del romanzo, per la soria finezza con la quale è presentato al lettore, da sè, per cosi dire, senza che l'autore si faccia Innanzi a interpretarlo. Documento di « napoletanità », per usare la parola adoperata dal collega Fratelli nella sua recensione |deI romanzo; napoletanità che i Per°. nori è soltanto nella luce e nel sole e nel calore e nell'aria di Napoli, evocati In certe pagine e in certi accenni particolarmente felici: ma anche e soprattutto nell'ironia che accompagna sempre ogni ge , . jst0 e. °Snl Parola dei perso "aggi, che vigila su ogni at teggiamento e chiude il varco 1 a °Snl espressione che sappia 1 di retorica, o, se non ha fatto ; mltempo a chiuderglielo le corre appresso per prenderla Un giro, come gli scugnizzi^diei™ al lìPl che ?anJ° ridere, *ronia "?he non e che pudore I1™*»8*» dal buon Z"?™1 viltà antica, meno cinica che scettica. Perfino a Gaeta, quando parrebbe che un po' di esaltazione potrebbero anche concedersela, questi napoleta ni preferiscono cavarsela con u,n* battuta sugli altri o su se stessi: «e poi sono troppo plW? per mutare casacca», dice 51 tenente Franco, a conclusio- ne smorzuta di un bagliore di commozione accesa che per un momento lo ha fatto parlare come più tardi parlerebbe senza sorridere, Cirano. Nell'acqua del Serino u pregio del romanzo non è soltanto nella onestà della vi sione storica. Vere qualità di scrittore sono al servizio di queiia. Esempio, le pagine sul la mensa degli ufficiali dopo Calatafimi, che spiegano il cvo\\0 dell'esercito napoletano meglio di un volume di ricercrie, e intanto divertono, per cne al lettore pare proprio di stare anche a lui a tavola, fra j[ maggiore e il cappellano, a sentire, a vedere quei coni mensali in tunica turchina per 1 quali la storia fa carriera con l'Annuario militare alla mano. Ma di scene così ce n'è tante, con personaggi tutti veri, lutti capaci di muoversi da Isóli: sacerdoti e camorristi, notabili di provincia e ufficiali della guardia, donne che rifanno Cristina di Belgioioso e fanciulle fresche e in penombra come un parlatorio di e<lu- candato; ci passano davanti in una narrazione che talvolta ha una rapidità e una visibilità quasi cinematografiche, pur conservando, ed è un effetto curioso, ispirazione e accenti manzoniani. Alcuni di questi personaggi possono rimanere a far compagnia al lettore an- elie a lettura finita, insieme con certe figure ormai classi- che che la letteratura ha rega-lato alla vita: 11 comandanteRodriguez, mondano, elegan-te, verboso, simpatico fino al momento in cui cominciamo a sentire in lui il disagio di unequivoco; il parroco don Già- cinto, che ha regolato la sua vita con un sapiente concor-dato fra la Provvidenza e laScaramanzia; il sergente Lo-russo, affiliato alla Onorata;Società, buono e magari anche'onesto a modo suo, che era poliil modo di tanti della sua clas- se sociale. 'Un accorto impiego, nel dia- loghi, di costruzioni e modi na- poletani rende più spontanei e!naturali i personaggi e la stes- sa vicenda che li conduce. Strada infida, quella che si allontana dalla bella strada maestra della lingua accademica: ma Alianello ha saputo fer-p marsi a tempo, molto prima di arrivare al punto In cui la spontaneità diventa volgarità,Ie la volgarità artificio, come accade a molti scrittori mo-1 dami francesi o americani.!Alianello ha voluto sciacqua-ire i suoi panni nell'acqua dell Serino, e il risultato è buono per la lingua italiana, mi pa-\re, che ci guadagna In viva- cità senza perderci in dignità.,Insomma, un vero romanzo, Iche l'aggettivo « storico » col-' loca più vicino all'opera dilNlevo che a quella di Dumas,'e ne! quale la storia non sof-lloca, il romanzo e il romanzo|non tradisce la storia. Manlio Lupinacci Quando le trincee diventano rivoli di fango (Trans.)

Persone citate: Carlo Alianello, Cristina Di Belgioioso, Dumas, Einaudi, Esempio, José Borjes, Manlio Lupinacci, Stuardi, Trans, Walter Scott

Luoghi citati: Caserta, Città Del Vaticano, Gaeta, Napoli