Quelli della "Cuneense,, di Ernesto Quadrone

Quelli della "Cuneense,, Quelli della "Cuneense,, Arrivo delle reclute in trincea - Natale sul Don: gli Alpini si comunicano e cantano - L'Alpino che J'ha fatto qualcosa per la Patria „ - Un bel capitano soldati sta formata la massa da cui sono fronteggiati e tenuti in rispetto. I russi temporeggiano da tanti mesi che le tre Divisioni alpine, la Tridentina, la Cuneense e la Julia hanno potuto costruire quasi un t Vallo del Don », senza tante dande, alla buona, con silenziosa perizia. Tre superbe Divisioni Dentro vi sono ormai persino le mense, con i lunghi tavoli ricavati dai tronchi abbattuti nelle lontane foreste; sedie, brande, sgabelli, rastrel. lierc per fucili, mensole per il « bottino » e anche speciali pedane per le sentinelle dei reparti; e poi stufe, rivestimenti per le tane trivellate nella terra, nella neve, e panconi di mescita, cioè vinicole lungo le quali si scatena l'allegria degli alpini. E l'allegria dei vecchi snidati Malinconia dei cappellon... La solita allegria esplosiva, che anche per nulla, o per il minimo pretesto, serpeggia nelle trincee, come una miccia accesa. Ohi, bocia, at piasò le maruske? 71 « bocia », la recluta appena arrivata, non sapendo che la « 7?iarusfca » è la donna russa, quella buona, mite e paziente donna dell'Ucraina trattata dai russi più duramente delle bestie da soma, dice avidamente di si, che gli piace e allora i «vedo» gli tirano un gavettone e gli gridano in coro di stringersela al petto; e i « pare », duri e barbuti, lo investono autorevolmente con le voci stonate, ma tanto melanconiche, fino a che non lo vedono piegare sotto al peso del ridicolo, confuso e pietoso. E intanto cantano per dargli il colpo di grazia: E chilo, a mangia chiel, e chiel a mangia chi-la... e dop ch'a Bón mangiasse a? velilo tanta beni E allora subito appare il cuoco con un mestolo di brodaglia fumante'; e l'investitura prosegue: E chiù, a belva chiel, e chiel a beiva chila, e dop ch'a non beivlisse, as vcnló tanta ben! E la recluta, strabuzzando gli oqchi, è costretta a bere di un sorso il gavettone di brodaglia mentre gli altri, per non lasciarle prendere fiato, la incitano a tracannare fin l'ultima goeda accompagnando la bevuta con il solito giù, giù, giù, giù, che lo aiuta se non lo fa scoppiare. TI « bocia » è cosi battezzato e non dirà mai più che gli piace la « maruska n e va a sedersi vicino al « pai* », il compaesano più vecchio che immediatamente cominda a proteggerlo e gli entra in confidenza chiedendogli di questo e di quello; come sta quella e quell'altra; se lui veduto i suoi « vedo », ii babbo e la mamma; e chi lavora, per lui, la sua terra, e lo tratta come un figlio e lo istruisce e lo guida per la novità delle trincee, presentandolo agli altri che appena lo guardano, ma che subito, a modo loro, lo misurano, lo giudicano e, se son soddisfatti di lui, l'accarezzano con gli occhi rome fosse un agnello. Notte di Natale Le « Katiuske » alzano di tanto in tanto le boccacce di qu'ndici centimetri di diametro e gettano, dascuna, i sei latrati che, accompagnati da un labile ponticello di fuoco, passano, arcandosi, l'acqua e vanno a scoppiare sull'altra sponda, con una risata sguaiata e secca. Il dicembre scorso è passato tanto tranquillo che, la notte di Natale, gli alpini hanno ascoltato la Messa, in pie di, sul ciglio dell'immensa trin. cea, e poi aon discesi nei camminamenti a comunicarsi e quindi hanno cantato la canzone insegnata da un cappellano alpino e, quasi quasi, più alpino di tutti. Una dimenticata e caracanzone, scritta da un autore del quale più nessuno non conosce il nome — o pochi per lo meno — e che i contadini delle Langhe sanno quasi tutti a- memoria, se non con le labbra almeno con il cuore. L'hanno sempre cantata nelle chiese dorate di luce gialla; raccolte in caldo amore, piamente e anche umilmente pen sate ed erette, se si toglie la aulica precisione del nostro melodioso Settecento, sui blandi ondeggiamenti delle colline piemontesi. E' così bella e patetica questa canzone, così soave e dolce che fa venire subito il cuore tenero e religioso e le lacrimeagli occhi. II latino dei suoi versi, poi, è talmente chiarificato in un italiano per tutti, che anche i bimbi capiscono, soltanto dal suono, il significato delle pa role. Laggiù, in Russia, è stata, bene inteso, adattata alla circostanza della trincea, ai pensieri, ai destini e alla vita scarnificata dei combattenti. Quando combatto refulge Maria. Te sempre lo penso — In terra burnisco!» .Soffusa il'iucenso — Murili, fiore di rostt! Quitudo la trincea la mamma Invoco Nel rigor dell'inverno — Tu mi riscaldi [Il cuore. Ob! fiorita la eterno — oh miracolo d'almo re: La canzone è fatta apposta per andare religiosamente sfiorando la neve; e quasi pei davvero, gli alpini vedono nascere dietro al suono festoncini di rose disdolte e sempre più leggere, fino a svaporare nella gelida aria degli sconfinati orizzonti della pianura ucraina. La « Cuneense » che si trova dislocata, su per giù, al centro dello schieramento dei quarantamila Alpini si sente sicura sulle posizioni che occupa. Con un fianco si appoggia alla « Tridentina », che, a sua volta è tutelata, all'estremità deil'ala sinistra, dalle truppe ungheresi; sull'altro la «Julia-» la mette al riparo da qualsiasi eventuale sorpresa. Lettre Divisioni sono unite spiritualmente, come la Santissima Trinità, dai tre rispettiva .Comandanti che formano un solo nodo di infrangibile volontà. Quello che uno dice gli altri due approvano; in quello che uno. fa, gli altri due lo seguono, senza discutere. Sono più che fratelli: sono Alp' '■■ al servizio della Patria e d„ soldati Alpini. Le penne nere fioriscono sulla sponda del Don come una siepe che si muove appena toccata dallo stesso frusciar di vento; e altrettanto solida, in tutti i suoi settori, come un muro irto di vetri. Nessun nemico, per quanto ardito e deciso, non potrebbe neppure tentare il valico senza lasciarci, non soltanto i pantaloni, ma anche la carne je la pelle. La Cuneense fronteggia la dttà di Rossoch e il Comando è al centro, un poco indietro, a Annawka. Il comandante però è sempre in linea. Il l.o è dislocato a TopUo insieme al B.o Reggimento Artiglieria Alpina e il S.o Alpini a Lovacchia. « Papalotto ì Gianasso Fino al quattordici gennaio i russi non hanno mài avuto l'onore di battere gli Alpini e non li batteranno mai, neppure nei tristi mesi successivi. « Giuro sui miei cari morti che il nemico da noi ha sempre preso botte da orbi ». Dirò poi chi mi ha fatto questo solenne giuramento che deve riempire d'orgoglio le penne nere. « La quota Pisello, nome allegro e arbitrario, era stata ripresa, per esempio, da queli della Julia durante quei frangenti che possono sorgere durante le alterne vicende di una . battaglia manovrata, e che però gli Alpini non avevano perduta. ■ Bravi quelli della Julia! — dice il generale Battisti nelle trincee della Cuneense. — Hanno combattuto soltanto a bombe a mano e alla baionetta... Infatti { nemici, come dicano numerosi e commossi testimoni, nelle grinfie di quei giganti delle Dolomiti, « ballavano com-e marionette ». Si era parlato tanto dei russi che tutti li avevano creduti migliori di quanto viceversa non siano. E questo va detto non già per svalutare il nemico, che sarebbe un errore che poi sempre si sconta ma, a cose fatte, per mettere nella loro giusta luce che meritano gli Alpini e l'Artiglieria Alpina delle tre Divisioni e le gesta dei quali, a definirle « epiche », si corre il rischio di cadere in un luogo comune, e in un tranello letterario del quale, i nostri montagnardi, giustamente si vergognerebbero e si offenderebbero. « I russi — dice uno del gruppo — si battono bene fino ai cinquecento metri ma poi, quando i fucili debbono diventar bastoni, si fanno passivi». TI capitano Gianasso, tornato dalla Russia si è installato in un paesello Piemontese quasi sconosciuto, H suo umile Comando occupa una cameretta di una minuscola villa interamente impegnata, a pian terreno, da una di quelle farmade che, aprendosi la porta, a vetri e bacchettine di ferro, subito scatta una tal indiavolata suoneria da riempire come di grilli, la gabbiuzza del retrobottega. Bello e caro questo capitano Gianasso che non conoscono che coll'affettuoso appellativo di « pappalotto ». Ha una barbona che gli arriva fino al cintumne; una fronte intelligente e spaziosa, tagliata nettamente dalle folte sopraciglia sotto le quali si apre la nostalgia celeste di due occhi che certamente brillarono soltanto e sempre di dolcissima luce amorosa. Il naso diritto, un po' carnoso, ma tuttavia quasi classico, riposa su certi baffoni che fanno con la barba, un solo cespuglio fiorito di sorrisi. Gianasso, quando non « c'è da fare », scompare per anni e non ricompare che quando i suoi Alpini vanno alla guerra. Allora è il primo a presentarsi al Centro di mobilitazione, sempre con una divisa nuova fiammante e con fiammeggiante entusiasmo. I vecchi uffidali, generali e colonnelli fanno a chi lo abbraccia prima perchè dicono — ed è vero — che porti fortuna. — Bella fortuna — mi dice — guarda qui che roba! Sto compilando una proposta per la medaglia al valore al mio Alpino C. G. da C. A Grisny, U ventidue gennaio, me lo feriscono ad un braedo. C. alza il braedo che gli pende, rotto da una pallottola di mitragliatrice, e mi dice: « Finalmente qualche cosa l'ho fatto anche io per la Patria... ». Come se non avesse già fatto abbastanza! Come se per la Patria, fino a quel momento, avesse fatto troppo poco, povero ragazzo. « .Mentre alza il braccio a farmelo vedere una seconda sventagliata di proiettili lo raggiunge al fianco sinistro e gli spacca il cuore. Magnifico! Ti dico che è stato magnifico ». Gianasso per un momento china gli occhi a rileggere le prime righe della motivazione che sta faticosamente stendendo. Anche a lui, a Gianasso, par mancanza di umiltà proy <-e per la medaglia un suo soldato... Ernesto Quadrone

Persone citate: Battisti, Gianasso

Luoghi citati: Grisny, Russia, Ucraina