Un merlo e un uomo

Un merlo e un uomo Un merlo e un uomo [Laerte, vecchio amico, mi raccontava di aver .passato l'estate nella sua casa di campagna solo oon un merlo. Sua figlia era andata ai bagni per oonto proprio e quel merlo, libero di svolazzare per la casa, gli era bastato per la compagnia. Laerte non è un uomo svenevole e il fondo, che gli deve essere rimasto, di tenerezza infantile lo copre più che non lo scopra in parole piuttosto crude; volentieri ironizza se stesso e gli altri. All'età che ha è un tipo tra impacciato e scanzonato. Senza colori poetici mi descriveva l'amico merlo che, quando lui ritornava in casa, gli volitava incontro e gli si appollaiava sulla spalla, ma gli faceva anche le sue piccole sporcizie fin sul guanciale. Così descriveva anche la sua casa, che era stata villa al tempo degli avi, ma da poco l'aveva ereditata assai mal ridotta e senza il rapii ale liquido per rimetterla in sesto. Non no sarebbe nemmeno valsa la spesa: ima casa in pianura, senza vista, legata a quella del contadino e alle mosche della concimaia: il contadino lavorava di mala voglia un campo di cattiva terra oon la convinzione di non dover dare al padrone nemmeno una, particella dei magri raccolti. Ma nella vecchia casa slabbrata e aduggiata quel merlo domestico, senza pensieri, sollevava i suoi giorni di solitario contrariato. Poiché Laerte, con vere risorse d'ingegno e sincero bisogno di affetti, ha avuto una vita contraria. E', senza darlo a vedere, umiliato di non essere arrivato dove sarebbe dovuto arrivare; ma non se ne lagna perchè saggiamente attribuisce la 6orte che ci tocca al carattere che abbiamo: il suo, lo riconosce, è stato un carattero passivo, con nervi sensibili ma pigri. Quella di un merlo vispo e agevole era stata la compagnia adatta durante un'estate afosa in una casa malandata, vicino a gente evitabile, compagnia più leggera che di qualunque creatura umana. Laerte è vedovo e piuttosto misogino. Non aveva voluto per casa nemmeno la contadina a fargli le faccende o preparargli qualcosa da mangiare. Nelle chie stanze che occupava con qualche libro — il suo preferito è il ])on Chisciotte, gran libro amaro ma ancora caldo dei sogni uccisi — faceva da sè anche le pulizie. Per cibarsi andava in un'osteria vicina ma per il suo merlo passava ogni giorno dal macellaio a comprare il pezzetto di cuore di cui volentieri si nutrono i merli domestici, e gli preparava il pastoncino quotidiano. L'uccello beccava di gusto e con starnazzamenti scodinzolamenti e chioccolìi mostrava di trovarsi bene con il suo compagno umano. Avrebbe potuto volar via a ritrovare i suoi compagni jieni.. ti e non lo faceva. Laerte sentiva ormai di avere dei doveri come ne avrebbe avuti per una pereona umana, per quel merlo di buon umore. Le persone come noi, anche le più affezionate, hanno più pretese, e di buon umore non sono sempre. Dovendo avere qualcuno sempre vicino, meglio un merlo, che non ci ' contraddice mai. Avrei voluto rimproverare a Laerte un affetto che, a guardarci dentro, dava indizio di misantropia. Ma mi rammentavo di aver voluto molto bene a un merlo anche io, da ragazzo, a sette o otto anni. A quell'età, il bisogno di espansione amorosa che oscuramente comincia, può trovare il suo oggetto anche in un merlo, magari in una stupidissima gallina. Vorrei ritrovare il nome che avevo dato a quel merlo, il quale doveva poi essere una merla perchè non aveva il bel manto morato e il becco giallo dei maschi. Invano aspettavo che, crescendo, annerisse e facesse il verso squillante dei maschi, nel quale la gente di quei luoghi sente queste parole: Bene mio ti vedo. Merlotto o merlotta, volava per la stanza e, a tavola, veniva ad appollaiarsi sulla spalliera della mia sedia. Mi par di risentirne il morbido delle penne quando si acquattava sotto una carezza. A volte si acquattava anche sul piano delle sedie con il pericolo che qualcuno sedendosi lo schiacciasse; ma io vegliavo sulla incolumità del merlo, che in quel tempo mi pareva l'affetto più vivo della mia vita. Ero contento che anche gli altri di casa, i grandi, gli volessero bene, ma esclusivo era il bene che gli volevo io, come a un fratellino o a una sorellina, io ragazzo senza fratelli. Lo avevo anche avvezzato a uscire in giardino, dopo cena, con noi. Era bello allora vederlo fare il merlo in libertà, volare basso da un cespuglio all'altro, saltel¬ lare e chioccolare sull'erba. Ma al momento di andare a letto, bastava ohe lo chiamassi — come lo chiamavo f — perchè rivolasse a me e rientrasse in casa. Ma una brutta sera, mentre il ragazzo seguiva con gli occhi i vispi giuochi dell'amico volatile, da un folto balzò fuori un mostro, un gatto, e gli fu sopra con le zampe crudeli. Accorsi, il felino lasciò la preda, risparì dèmone notturno. Il merlo era ferito a morte, mi agonizzava in mano, era un pugno di penne che si freddavano. Il pianto del fanciullo fu disperato; era la prima morte che veniva a impoverirgli la vita. Come fu che poi quel ragazzo crescendo e anche lui, senza saperlo, incrudelendo, s'intese benissimo non più con gli uccelli ma proprio con i loro maligni nemici, i gatti? Forse perchè la compagnia, discreta e pulita, dei gatti è di minore responsabilità: è comodo aver per amici animali che sanno difendersi da sè. Eppure la preferenza per i gatti, per quanto ci si ragioni sopra: che 30110 belli, che fanno le fusa, che, sen-a ingombrare, anch'essi si affezionano, indica un fondo di perversità, per lo meno di egoismo. E tuttavia un uomo può soffrire anche per un suo gatto che si ammali o rimanga un giorno sotto un camion, povera graziosa bestiola ! Ma chi, come il mio amico Laerte, è ancora capace di affezionarsi a un uccello dimostra un animo più delicato, una gentilezza di cuore non sciupata dagli anni. Così una volta mi commosse un conoscente giapponese, incontrato alla stazione di una città straniera, che, mentre il facchino gli veniva dietro, con le valige. portava da sè una gabbia piena di uccellini. Era un giapponese che aveva un'alta posizione in Europa, un diplomatico. Non era uno dei soliti giapponesi, piccoletti e magri, ma di quelli grandi grossi e panciuti che si vedono nelle loro stampe di lottatoli. Quell'uomo che aveva una posizione sociale in vista e una figura di atleta non si sentiva affatto buffo portando in pubblico una gabbia di uccellini. — Li porto ai miei bambini — mi disse con un sorriso strizzato della faccia ambigua e garbata. Ma Laerte mi avrebbe riso in faccia se, per un merlo che gli aveva fatto compagnia in un momento di solitudine annoiata, avessi fatto le lodi

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