Cli occhi e le orecchie della giustizia"

Cli occhi e le orecchie della giustizia" Cli occhi e le orecchie della giustizia" La formula era suggestiva, ma quanti erróri e quanti drammi dietro di essa! I sensi ingannano per il 65 per cento, mentre l'infedeltà nell'evocazione cresce del 0,33 per cento per ogni giorno. / testimoni sono gli-occhi e le orecchie-della giustizia: la definizione è di Bentham e nel solco della sua formulazione si sono trovati facili motivi di appagamento, come ae la fallibilità umana potesse variare o degradare per effetto della Blmbolica riversione che tocca al processo senso-percettivo del testimòni. Ma non si può dire, davvero, che la giustizia abbia fatto sempre bella figura a giurare nelle percezioni visive ed uditive dei testimoni. Lia statistica degli errori giudiziari è nudrita con drammatica abbondanza dalla fallacia delle percezioni umane, dalla incertezza della testimonianza dei sensi. « E' lui! E' lui! » Sul fondamento apparente o formale della vecchia enunciazione, oggi v'ha chi sostiene che bisognerebbe respingere decisamente dal pretorlo tutti quei testimoni che abbiano orecchie sorde o una vista inadatta a percepire i fatti del mondo. Senoncnè, nel processo penale, nove volte su dieci, la prova per testi è il solo strumento di cut il giudice possa disporre per conoscere la verità, il solo meccanismo che gli sia offerto per l'accertamento della verità giudiziale. E 11 giudice, in ogni caso, non può sce- fliere il testimone ché-vuole, condannato a servirsi del testimone che trova! Di qui l'angoscioso dilemma nel cui alone si agitano tanti drammi angosciosi. A Varsavia — l'episodio rimonta a parecchi anni fa, ma rimane pur sempre di un'attualità drammatica, ammonitrice — viene tradotto in tribunale un giovane svaligiatore di alloggi. Il fatto di cui è imputato si è svolto in pieno giorno ed una teoria di testi è stata mobilitata per suffragare l'accuaa. Il giovane imputato non si discolpa: ha l'aria di abbandonarsi alla sua sorte. Ed ecco, sfilano i testimoni; tra i quali è la portinaia dello stabile in cui il furto è stato compiuto. « E' lui, è lui!» dichiarano, via via, 1 testi non appena compaiono nel pretorio; è lui ■— rindividuo che slede sul banco dei rei — 11 giovanotto che si aggirava nei pressi dello stabile, che è penetrato furtivamente nell'alloggio, che si è dato a fuga precipitosa, a colpo compiuto. L'Imputato non dà segni di emozione, non si agita, non protesta. Lascia che l'ondata accusatoria si scateni ed allorché la sfilata dei testi è conchiusa, accenna a voler parlare. Appare come trasfigurato: 1 suoi occhi sfavillano-di una luce inconsueta: — Sono innocente — egli dice —; il colpevole è un mio compagno di cella che ha aderito a cedermi il posto perchè lo potessi dimostrare alla giustizia quel che valgono le testimonianze... ' Alterazioni e trasformazioni E il giovanotto aggiunge che qualche tempo addietro gli era toccata, una condanna in base a testimonianze false od errate. Disperando di poter ottenere la revisione del processo per le vie normali, era ricorso a quella dimostrazione pratica sulla fallacia delle testimonianze. Il compagno di cella era stato estremamente benevolo, gli aveva ceduto il posto senza farsi sollecitare; quanto agli agenti di custodia, esei non avevano avuto sospetti e l'avevano accompagnato alla porta, affidandolo, con un augurio, ai gendarmi, in luogo dell'altro. Non occorsero accertamenti laboriosi per stabilire che il giovanotto aveva detto la verità. E neppure inchieste macchinose per appurare le circostanze in cui si era compiuto il trucco della sostituzione. In carcere, del resto, riescono, talvolta, ben altri trucchi. . . L'episodio fu divulgato dai psicologici e valse a rinfocolare gli studi intorno al valore della testimonianza, a stimolare le ricerche intorno al processo percettivo dei testimoni. Banditi i vecchi metodi in base ai quali, sapendo a priori il soggetto che avrebbe dovuto deporre, la sua percezione finiva coll'essere sostenuta da una attenzione massima, Claparède si volse agli esperimenti « naturali » di testimonianza, vale a dire agli esperimenti capaci di riunire le condizioni di imprevisto che caratterizzano la testimonianza nella pratica della vita. Ed i risultati furono sorprendenti. A mezzo della sua lezione, Claparède si interrompe e fa distribuire agli studenti del corso di paicologia che egli tiene all'Università di Ginevra un questionario, pregandoli di rispondere. Sono venti domande formulate con estrema chiarezza: « Esiste una finestra interna che dà sul corridoio dell'Università, a sinistra, entrando dalla porta dei bastioni e di fronte alla finestra dell'alloggio del portiere?»; «qual'è il colore delle tende di questa finestra? »; « quanti banchi contiene l'aula magna? », ecc; Gli studenti presenti sono 70, ma 54 appena ritornano il questionario; 16 sono presi da timori e buttano via il foglio, si squagliano. Ma sui 54 soggetti che non battono in ritirata, neppure uno fornisce una testimonianza compiuta ed esatta e 44 negano che esista la finest.ra cui si accenna nella prima domanda. Ootesta finestra esiste (deve esserci per ovvie ragioni di simmetria architettonica) e dinanzi ad essa gli studenti sfilano nel loro andirivieni dal l'Università, ma il fatto che esista o che non esista è privo di interesse per loro. E i testi non si soffermano su quanto non lega il loro interesse. Ma la pioggia delle risposte negative prova, altresì, che il valore di una testimonianza non è proporzionale al numero dei testi e che una debole minoranza può aver ragione contro una forte maggioranza. I risultati sono rivelatori circa il processo psicologico della testimonianza e Claparède insiste. Il giorno della festa dell'Escalade egli riserba ai suoi allievi una grossa sorpresa. Mentre svolge la sua lezione, un individuo lacero e mascherato irrompe nell'aula, gesticolando e pronunciando parole sconnesse. Gli' uscieri lo mettono alla porta e la lezione, dopo qualche istante, riprende. Trascorre una settimana e Claparède, accennando all'episodio, prega gli studenti di passare in laboratorio per dare ragguagli intorno al disturbatore: la polizia se ne interessa... Se ne presentano 25 ap pena, e non tutti con troppa sollecitudine, ma uno solò fornisce dati apprezzabili e, tut tavia, con una fedeltà del 59 per cento soltanto; gli altri ondeggiano fra aggiunte negazioni e trasformazioni (più accentuata fra ìe donne la tendenza alle trasformazioni; più marcata, fra gli uomini, quella di aggiùngere fatti fittizi e, soprattutto, di negare fatti reali) e cinque appena, fra tutti, riconoscono fra le dieci maschere che sono' state riunite in laboratorio quella che il disturbatore portava nel giorno fatale. I guanti del boia Tutto ciò prova, da un lato, che i fatti bizzarri, Insoliti, che dovrebbero colpire di più, non sono quelli che si ricordano di più, come si crede solitamente; dall'altro, attesta che, per grandi che siano le diversità mdividuali, e'sistono certe ten denze generiche che reggono gli spiriti di tutti gli individui e che, per conseguenza, si può realizzare un accordo nell'errore anche fra dei testimoni che agiscono indipendentemente l'uno dall'altro. Quanto alla prova di riconoscimento, l'esperimento dimostra che questa è la più incerta, la più esposta- all'errore. E la riprova di tutto ciò scaturisce da altre esperienze. Listz, cogliendo di sorpresa i suol allievi fa simulare nell'aula un omicidio a pugnalate fra due studenti e subito dopo raduna la scolaresca perchè deponga sul fatto, come potrebbero fare in tribunale. I testi sono sessanta, press'a.-poco della stessa età, tutti di elevata cultura, ma appena dieci ricostruiscono 11 fatto con esattezza, gli altri incorrono in errori di dettaglio, anche grossolani. Ripetuta da Weber fra i componenti della Società psicologica forense di Gottinga, l'esperienza non ottiene risultati diversi: più della metà dei testi danno dettagli inesatti e molti, anche, dettagli immaginari. Da noi, Tovo fa vedere ad un suo allievo un disegno rappresentante un'aggressione. Il giorno dopo lo studente riferisce ad un compagno quello che ha visto, e dopo due giorni ripete il L'imprevedibile ci si schiude dinanzi pieno d'alternative e di misteri; ma è appunto questa indeterminatezza dell'avvenire che dà un significato alla nostra esistenza. Solo l'ignoto e l'incompiuto offrono al nostro volere la possibilità di reali conquiste, e ne sono uno stimolo efficace. Dai nostri sforzi la realtà attende la sua perfezione. Filippo Burzio racconto ad un terzo. Questi ultimi rendono la loro deposizione per iscritto a distanza di due giorni, ed uno di essi, a sua volta, rifa il racconto ad un quarto, che depone dopo qua.ttro giorni. Attraverso le successive deposizioni in confronto con quella del teste oculare, non risulta soltanto ridotta la somma delle circostanze riferite, ma accresciuta largamente l'infedeltà, con l'omissione di fatti veri e l'aggiunta di altri, del tutto immaginari. Il numerò degli aggressori scende da quattro a tre e compare un coltello che nel disegno non figurava... Dopo «vere assistito ad una esecuzione capitale in cui il carnefice calzava i guanti, Gross domanda ai quattro funzionari che hanno presenziato al supplizio di che colore fossero i guanti del boia: neri, grigi, chiari rispondono uno dopo l'altro, ed il quarto sostiene che il carnefice non aveva i guanti. Più complicato l'esperimento di Stern. Per 45 minuti egli fa vedere a 23 persone, giovani e colte, tre quadri, con l'intesa che debbano farne subito la descrizione e poi ripetere il loro racconto a distanza di 5, 15 e 20 giorni. Ebbene, le deposizioni nmediate contengono errori nella proporzione del 7 per cento, quelle successive del 9 e dell'ìl, e gli errori si Infittiscono a misura che passano i fiorni : su 282 deposizioni solo 7 risultano esatte. Ce n'è d'avanzo per legittimare l'atto di accusa che si ' va elaborando contro la testimonianza. Ma l'insieme delle espeilenze non si risolve in una funzione puramente demcilitrice: il coefficiente di utilizzazione che è fornito dalle elaborazioni ape rimentaii è larghissimo e permette di diradare il mistero che circonda il processo psichico di formazione della testimonianza, di scoprirne le incongruenze e le lacune, di lacerare il velo che, a volte, si interpone fra il soggetto e la realtà, viziando irreparabilmente la deposizione, di valu ► ► In una recente ed interessantissima conversazione tenuta alla Radio dal prof. Antonio Bruers, a cura del Centro Nazionale di Propaganda Aeronautica, è stata, una volta di più, esaltata la priorità del pensiero dannunziano nel campo dell'impiego aereo in guerra. Il prof. Bruers ha ricordato come sin dal 1902 Gabriele D'Annunzio esaltasse V arte del volo nel famoso ditirambo dell'Alcyone, Icaro. Ma se nel famoso ditirambo si rivelava la sua ansia al dominio del cielo che poteva esprimersi solo attraverso un sogno poetico, già nel 1909 compiva, a Brescia, i suoi primi voli, e nel 1910 scriveva un romanzo aviatorio (Forse che sì forse che no), e teneva in molte città italiane un discorso dal titolo: Per il dominio del cieli. Dalle cronache dei giornali del tempo, rintracciate appunto dal prof. Bruers, risultano queste parole del Comandante: « Come probabile strumento di guerra il velivolo fu subito visto. E più di ogni dimostrazione di parole giova il sapere che nelle fabbriche di Krupp già si fucinano i cannoni che, trainali da carri blindati, devon prender di mira nel cielo gli aerei nemici. E fervono in tutti i paesi i preparativi delle flottiglie aeree. Cosi negli Stati Uniti e nella Gran Bretagna si formano scuole, corporazioni e Zeghe. E non meno alacremente si prepara la Russia. E la Francia contende il primato a tutte le altre nazioni. «Alla supremazia marittima sta per succedere la supremazia aerea ». E' innegabile il valore di vaticinio di queste parole pronunciate nel 1910, quattr'anni prima dell'inizio della guerra europea. Volontario di guerra a cinquantadue anni D'Annunzio si votò all'arma aerea e, come giustamente disse Bruers, divenne, grazie alle sue eccezionali capacità d'intuizione, un appassionato coViboratore dei tecnici. D'Annunzio sentì veramente, nel modo più passionale e convinto, la necessità di creare reparti d'aerosiluranti. Com'è noto l'idea di utilizzare l'aereo per il lancio di siluri è dovuta ad un italiano, Alessandro Guidoni, nel 1911. tare il grado di relatività proprio delle sensazioni e delle percezioni sensoriali di coloro che erano, chiamati gli occhi e le orecchie della giustizia. Più le frasi che le parole E un sistema completo dì leggi e di deduzioni finiscono col fluire dalle esperienze. Secondo Rossok, la testimonianza del sensi produce un coefficiente di errore del 65 per cento; la vista è il senso superiore, ma anch'esso presenta un valore normale e un aspetto patologico. Vincent scopre che si può riconoscere una persona con vista e luce normali: da 40 a 80 metri se è già conosciuta, da 100 a 150 metri se presenta segni caratteristici, da 28 a 30 se è poco nota e a circa 15 se è stata vista -una volta sola. Per queste stesse ragioni la memoria visiva è più forte della uditiva e Kirkpatrie sostiene che su 10 parole udite se ne ricordiamo 6,85, su 10 parole lette se ne ricordano 6,92; su 10 soggetti presentati se ne- ricordano 8,25. Tuttavia, le frasi si ricordano meglio delle parole, perchè il concetto si fissa più precisamente dei suoni. Ma il processo di fissazione si compie in condizioni fatalmente oscillatorie, mentre, a misura che il tempo passa, si accentua la disgregazione delle immagini, la semplificazione del ricordi, la infedeltà delle testimonianze. Stern e Binet calcolano che l'infedeltà cresca del 2,50 per cento in un intervallo di 5 giorni, del 4,3 in 14, del 6 per cento in 21, con una media di 0,33 al giorno. E, quanto alla certezza del ricordo, la quale dipende dalla forma in cui si impone allo spirito un complesso di fatti, le leggi che scaturiscono dalle esperienze indicano — e può sembrare paradossale — che i testi migliori non sono quelli che appaiono arcislcuri, sono, invece, quelli che sono presi dai dubbi. Francesco Argenta Gabriele d'Annunzio e le siluranti aeree - Il vaticinio del Poeta sul più moderno impiego - Bombe e Vesuvio Il primo tentativo italiano fu realizzato, nell'ottobre '17, contro la flotta austriaca dai .„w„k „ .-,*„,„,<<.; ; „„„« piloti Ridolfi e Zavatti i quali erano coadiuvati dall'osserva tore tenente Pacchiarotti. E il tentativo fu dovuto al l'opera instancabile di D'An nunzio,, il quale suscitò, con parole e lettere, l'interessamento del Commissario dell'Aviazione, del generale Diaz, del Duca d'Aosta, e altri. Tutti gli ostacoli vennero vinti dal Comandante che nel marzo 1918 venne nominato Comandante della 1" Squadriglia Siluranti Aeree. L'origine della Prima Squadriglia delle Siluranti Aeree -— racconta il prof. Bruers — si deve ad un atto di personale, splendido eroismo di Gabriele D'Annunzio. Il 16 gennaio 1916, il Comandante, per un incidente durante un atterraggio, perdeva l'occhio destro, e i medici lo avevano ammonito che, qualora egli avesse raggiunto quote troppo elevate, avrebbe potuto perdere la vista. D'Annunzio sfidò la cecità e il 18 settembre 1916 effettuava un volo a 3000 metri di quota Il pericolo era troppo grave, e D'Annunzio, non volendo rinunciare all'attività) aviatoria scrìsse al colonnello La Polla: « Ti domando di aiutarmi ad ottenere il Comando della Squadriglia di siluranti aeree. Io non posso volare a grandi altezze con la stagione fredda. Le brusche diversità di tensione bulbare sono molto dannose al mio occhio, non ancora interamente cicatrizzato; l'altro può correre pericolo. Perciò io debbo per ora mutare U « più alto e più oltre » in « più busso e più oltre ». Per ben lanciare il siluro contro la nave nemica debbo discendere a meno di quattro metri su l'acqua. L'impresa è dunque adatta alla mia igiene ». Dopo altre lettere che rivelano la fatica e l'entusiasmo nella creazione della nuova specialità aerea, il ZI marzo 1918 scriveva ancora al colonnello La Polla: «La prima

Luoghi citati: Aosta, Brescia, Francia, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Varsavia