Francesco Messina e la realtà

Francesco Messina e la realtà Francesco Messina e la realtà Un occhio puro, sagace, scrutatore. Una mano cauta, sicura, fermissima. Uno spirito libero di programmi intellettuali, di risentimenti polemici. Un'adesione piena, ma rigorosamente confrollata, al motivi plastici di un mondo concreto che resiste a ogni impeto trasfiguratore. Un mestiere eccellente, quale può essere quello di chi, fin dall'infanzia, si è trovato costretto a sfruttare fino in fondo tutte le risorse di una pratica professionale. Basta guardare un solo disegno di Francesco Messina, lo scultore che oggi a 43 anni entra all'Accademia d'Italia a occuparvi il seggio lasciato vuoto da Angelo Zanelli, per capire che tali qualità native o acquisite con tenacia di lavoro lo definiscono per quello che sostanzialmente egli è, malgrado le varie interpretazioni che si vogliano dare dell'opera sua: un realista sulla linea del nostro mi- fliore ottocento, dal Gemito al rentacoste, dal Vela al Rosa, uno statuario il cui appassionato formalismo è uscito incolume tanto dalle insidie pittoricistiche tese alla scultura dall'Impressionismo della fine del secolo scorso, quanto dalla tempesta defortnistica che caratterizzò il principio del nostro. Un realista, diciamo: non un verista alla Duprè o alla Clfariello. Un artista cioè capace di trasferire il dato naturalistico su un piano di intelllggibile universalità e non un copista smanioso di umiliare questa alla sordità di una inerte documentazione. Per lui, infatti, si è parlato di un « realismo di carattere », che sarebbe poi il realismo del gran padre Donatello. So bene che dalla babele dei linguaggi critici odierni simili schemi sono bollati e disprezzati come grettissime limitazioni. Ma occorre pure, certe rare volte, tentare di farsi intendere; e le vecchie parole non sembra no allora poi tanto fruste da non dovere essere più adoperate. Cosi, se noi osserviamo il Giorinie nuotatore modellato dal Messina nel '34 o la ben nota Bianca che è di cinque anni dopo, non possiamo fare a meno di scorgere la coerenza di visione, d'interpretazione e di resa plastica che lega queste opere al celebre Pugnatore (1930) del Museo civico di Torino, coerenza che poi sussiste intatta — con appena qualche modulazione di stile dovuta alla disparità dei soggetti — nello spirituale ritratto del card. Schuster, del 1941. Pensiamo come un Martini, o un Marini, avrebbero trattato questo medesimo tema, e dal confronto il temperamento realistico dello scultore siciliano apparirà evidente: soprattutto per il suo insormontabile rispetto pei caratteri o fisici o morali dei modelli, rispetto che gli vieta di sovrapporre con prepotenza individualistica una propria idea figurativa a quanto gli sta sottocchio e deve diventare vita per un bronzo, un marmo o una cera. Diventar vita, appunto, non copia. Lo sforzo costante del Messina (e non è detto che talora questa sua fatica non lasci qualche scoria nell'opera), il suo valore di artista oggi riconosciuto fra i più seri, se non fra 1 più originali d'Italia, consiste proprio nella dura lotta fra la pesante realtà e il libero estro, aspra contesa che è il segreto dramma di ogni creatura che non abbia tagliato i ponti col mondo fisico. Francesco Messina cammina cosi su un filo di rasoio, equilL brandosi sui due opposti abissi. Le varie versioni dei Pugili, il vivace Galletto, il Ritratto di Luigi Federzoni, il Bambino al mare del 1934, sono per lui, diciamo cosi, l'estrema destra; i11 .Ritratto del poeta Quasimodo (a parte l'abile truccatura della patina), L'Adamo un po' troppo rodiniano del '41, la Dania seduta esposta alla Biennale dell'anno scorso, con lé sue morbidezze e i suoi sfumati, costituiscono l'estrema sinistra. Indecisioni? Diciamo piuttosto un continuo scrutare le proprie possibilità, un continuo vagliare i propri desideri: fino talvolta al compromesso, e perciò all'errore, come l'impacciato Nuotatore del '41, unico tentativo — fallito — del Messina di quella sintesi plastica nella quale eccelle, nei suoi momenti felici e non nelle sue forzature programmatiche, Marino Marini. Uno scultore, dunque, lineare e coerente come pochi. Uno scultore che non ha quasi mai ceduto alle lusinghe della « moda » e che — gran lode SU sia data per questo — non a mai voluto creare quei « casi » e quegli « scandali » che cosi bene si prestano al chiasso intorno a un autore. Egli non ha mai temuto di essere soltanto se stesso; non ha mai avuto paura del favore popolare, dell'applauso di chi magari in lui ammirava qualità che sembravano (e non erano) soltanto esteriori. Prova di forza e di fiducia nelle proprie capacità che non tutti — e tanto meno i cosi detti raffinati — sanno fornire. mar. ber. La chiusura delle cerimonie in onore di San Domenico Bologna, 5 maggio. Nella giornata di domani si concluderanno i solenni riti Èroplziatori in onore di San Domenico, che culmineranno con la traslazione nella tomba-rifugio dei resti del Patriarca. In mattinata il Padre Generale dell'Ordine celebrerà una Messa solenne alla presenza del Cardinale di Bologna, dell'ambasciatore di Spa- gna presso la Santa Sede, del Prefetto di Bologna, in rappresentanza del Governo, dei rappresentanti della Pontificia Accademia delle scienze e della R. Accademia d'Italia. Alle 19 il Padre Generale Gillet dirà il panegirico in onore del Santo, quindi il Cardinale impartirà la benedizione con le reliquie del Fondatore dei Domenicani. Infine il corpodi San Domenico verrà ac-compagnato processionalmen- te nella tomba-rifugio, dove sa. rà tumulata in triplice casta.

Luoghi citati: Bologna, Italia, Torino