I Un ragazzo diverso |

I Un ragazzo diverso | I Un ragazzo diverso | i|jll1ll1llll1lllllltllMll|llllllllllll11IIMI1llllll1llll|ll Il mio amico parlò, disse : — Ero un bambino taciturno, stavo quasi tutta la giornata seduto a un tavolo trastullandomi con un meccano e altri balocchi ingegnosi, con gli occhi abbassati sui balocchi o sul mio piatto, perpetuamente. Non riuscivo a sostenere gli sguardi delle persone, e questo non per ipocrisia o per timidezza come accade in molti bambini, bensì per un senso di terrore che gli occhi dell© persone mi ispiravano. Se mi capitava Hi guardare in faccia un adulto, anche un familiare, prima ancora di distinguerne i lineamenti e rendermi conto della sua fisionomia, gli occhi di costui mi attraevano e sii ogni volto erano sempre gli echi di mia madre morta clic incontravo, si rinnovava il tc-rore provato il giorno della su*1, morte. Rivedevo il volto trasfigurato di mia madre che mi cercava, delirando, per la casa, ed io ero nascosto nel vano fra il muro 6 il comò : essa, gridava cercandomi. Eravamo rimasti soli lei ed 10 (vedendola assopita l'infermiera ne aveva approfittato per uscire a sbrigare non 60 quale faccenda), io ero vicino al suo letto e la contemplavo, compreso di essere io i a vegliarla. D'improvviso essa si destò gettando un grido, coi capelli disciolti e la lunga camicia bianca lasciò il letto; agitava le mani, gli occhi spalancati neri profondi luminosi, eppure sembravano non vedermi ; mi passò dinnanzi urlando il mio nome e quello di mio padre. Emetteva dei gridi come di richiamo, diceva: «Il bambino», e chiamando mio padre: a Mario, il bambino», diceva. Percorse la casa gridando, io ero rifugiato ne vano fra il muro e il comò, terrorizzato. Essa fu in camera di nuovo, barcollava, con le braccia protese dinnanzi a se, la voce sembrava spengerleei in gola. Poi cadde, rovesciò una sedia cadendo, rimase supina, a braccia aperte, senza più voce; i suoi occhi che mi parvero enormi immobili neri mi avevano finalmente scoperto nel mio rifugio, troppo tardi, e non v'era più luce in quel suo sguardo, i suoi occhi estatici neri paurosi mi fissavano. Trascorsi dai cinque ai dieci anni della mia infanzia in quest-incubo, senza poter guardare in faccia le persone, riconoscevo i congiunti dalla voce dagli indumenti, 11 mondo delle creature aveva assunto una dimensione terrificante, senza volti, con mani e voci che avevano un'autorità su di me. Mio padre costretto lontano dal suo lavoro piangeva tutte le volte che veniva a trovarmi: di lui m'impauriva anche la voce, e il sentirlo chiamare per nome dai parenti, lo stesso nome che mia madie aveva ripetuto nel delirio. Egli fa ceva in modo che restassimo soli in una stanza, mi carezzava in silenzio baciandomi sui capelli. I parenti che mi custodivano si adoperavano per farmi fare amicizia coi miei coetanei, ma io mi trovavo impacciato in mezzo a costoro, essi m'invitavano a giochi per i quali mi ritenevo incapace ; mi piaceva osservarli giocare seduto in disparte, come se vsuirdsdvvsguvrEtspteqiurccptttdgslistessero rappresentando, allo-1 ra mi divertivo. Passavo gioì- nate intere indaffarato attorno al mio meccano ; se la stagione era buona portavo la mia seggiolina fuori al bal- r ì li » i cone, stavo per delle ore cosi seduto guardando il cielo, ed cra con un senso di liberazione che lo facevo, c erano delle nubi bianche che io ac- lo sguardo • compagnavo con nel loro muoversi disfarsi e ricomporsi nell'azzurro del cielo. I medici avevano consigliato ai miei parenti di evitarmi emozioni; tutto in mia presenza aveva un atteggiamento riservato, le stesse vo ci e mani che mi comandavano erano leziose e leggere : io avvertivo questo, infastidito; non avevo più desideri da esprimere sapendo che sarei stato esaudito; costruivo e svitavo ogni volta pezzo per pezzo la gru del mio meo-1Ino scnzaVù gioia, come un !lavoro che mi fosse stato ini-1posto. !Una zia giovane, con le mani bianche e lunghe, una voce simpatica, mi conduceva spesso a passeggio; essa era particolarmente buona con me, mi trattava come seio non fossi malato, rimpro verandomi a volte e subito dopo carezzandomi. In quelle passeggiate per la città, al sole, nei giardini, lungo il fiume, con la zia, consistevano i miei rari momenti di felicità; mi sentivo libero, nasceva in me una confidenza , j. che non conoscevo: mi stac-cavo dalla mano della zia ecorrevo avanti, ero io a par lare a interessarla. Canimi nandole accanto, azzardavo •Jzare gli occhi verso il suo o i a l i ò . i , , n a i n o i ^ |IIIIIHI|lli||M|1|||||||||||||||||||||||||||t||||||||^ volto 6e la immaginavo distratta ; sentivo di affrontare una gran prova, e vincevo: il suo volto non mi dava paura, i suoi capelli erano biondi (c'era del profumo sulla sua persona), così guardandola un senso di fiducia ritrovata, di allegria, mi pervadeva. Devo a quella zia, a un suo gesto impulsivo, la mia guarigione. TTn pomeriggio, durante una delle solite passeggiate, volevo staccarmi da lei, correre come mi ero abituato. Eravamo in una strada di traffico ed essa non volle lasciarmi andare temendo dei pericoli. To mi ribellai, protestando, insistevo. Finché essa si fermò, adirata ; in quell'istante volli guardarla in volto e vidi nei suoi occhi una luce cattiva; contemporaneamente la sua mano mi colpì Milla guancia, la sua voce disse : « Ba6ta con i capricci ». Avvenne una scossa tremenda dentro di me, un terrore mai provato tanto forte, quegli occhi che mi guardavano — e il colpo sulla mi;, guancia, come se mi uccidesse ; persi la conoscenza. limili iiiiiiiniiiiiiiiiiii i iiiiiiiiiiiiii La sonda sonora per la ricerca delle schegge: un altoparlante avverte con uno speciale suono ogni volta che la punta esplorante dell'apparecchio si trova in corrispondenza di parti metalliche nascoste nei tessuti. Ecco un ferito di guerra che esamina la scheggia trovata nel suo cranio per mezzo di questo nuovo celere sistema adottato in Germania.

Luoghi citati: Germania