L'indomabile spirito dei nostri prigionieri

L'indomabile spirito dei nostri prigionieri L'indomabile spirito dei nostri prigionieri Nè minacce nè lusinghe valgono a piegare il fiero patriottismo dei nostri soldati nei campi di concentraménto indiani X, 4 maggio. 11 colonnello Vincenzo Ossoli è un meridionale al mille permUle. Siamo seduti su un let- tino dell'ospedale, cameratescamente fianco a fianco. Quando parla gesticola, muove tutti i muscoli del viso, si agita. Deve essere un soldato meraviglioso, uno di quei comandanti che riescono a prendere il cuore dei loro uomini e ad impadronirsene e si fanno rispettare e amare principalmente dando esempio di coraggio e di valore. Ritorna dalla prigionia. Ha passato in India lunghi mesi e mi risponde con prontezza alla domanda che gli rivolgo circa il contegno dei nostri ufficiali e dei nostri soldati. Ci siamo fatti rispettare —■ II morale delle truppe e degli ufficiali — afferma con un gesto risoluto e tassativo — è stato superiore ad ogni elogio. Ci siamo fatti rispettare per il contegno che abbiamo tenuto. Quando mi hanno chiamato per comandare un campo ho accettato, ma ho detto dal primo momento che mi avrebbero dovuto-coricedere tutto quello-che'ci 'si doveva fare. E me l'hanno dato. Menti e parla, il viso asciutto, magro, olivastro acquista un aspetto energico e risoluto. Ma come passa a parlare dei suoi soldati s'intenerisce. Mi racconta cento episodi che confermano il patriottismo dei prigionieri tutti uniti, solidali sempre, animati inestinguibilmente dal più grande coraggio, desiderosi solamente di mostrarsi forti di fronte al nemico. Ha uno scatto d'indignazione aspra quando ricorda l'odioso e ostentato disprezzo che gli inglesi mostravano verso gli italiani. Ma aggiunge subito che quelli con i quali ha avuto a che fare sono stati co stretti a ricredersi. Gli italiani hanno tenuto duro. Hanno mantenuto anche durante la prigionia intatta tutta la loro fierezza. Hanno risposto al tentativo di propaganda nemica, con un disprezzo cento volte più sdegnoso di quello ostentato dai britanni. Non hanno piatitoi^non 'si-sonorìamentati, hanno sopportato con dignità tutti i disagi, hanno specialmente dimostrato tutti di essere uniti nella sventura. Ora mi racconta quello che è stato fatto per ovviare agli inconvenienti dell'alimentazione. Le lunghe marce svoltesi per centinaia di chilometri avevano in principio sfinito i prigionieri. Scarpe e indumenti cadevano a pezzi, i piedi dolevano, e la tristezza della prigionia influiva notevolmente sulle forze fisiche. D'altra parte non si mangiavano che pessimi legumi secchi, duri, di orribile gusto: bisognava dare vitamine all'organismo. Ed ecco sorgere in ogni campo un orto. Il clima si prestava, l'acqua c'era e giù con i badili e i picconi a dissodare la terra, a prepararla, a sistemarla. Ben presto si videro i buoni risultati. Tutto quello che poteva attecchire fu piantato e aurato con ogni amore, e da allora in poi non mancarono la verdura, legumi freschi, gli ortaggi. Era vinto il pericolo delle malattie che possono in sorgere quando l'organismo manca di vitamina. Si ottenne anche dopo lunghe insistenze che fossero aperti spacci nei campi. Si poterono così" acquistare le piccole oose che occorrevano ad ognuno. Lo strozzinaggio dei venditori naturalmente non eb be limiti, ma era qualche cosa, di meglio che niente. E le giornate si aprivano e si chiudevano con il Saluto al Re e al Duce, gridato quando si poteva, mormorato nel fondo di una capanna quando non era possibile fare altrimenti. Occorre tener presente che questo atto di devozione e di fede avrebbe anche potuto condurre ad incidenti pericolosi. Ma nessuno arretrò mai di fronte al rischio e tutti conservarono intatto quello stesso coraggio che avevano sempre dimostrato di fronte alle av versità, in ogni evenienza. Il nemico non ebbe mai la possibilità di spezzare questa solidarietà operante, questa fusione degli spiriti protesi verso il desiderio della lìbera zìone e della vittoria. Orgoglio di razza te ri eri, si po na i c ia ahi lca no osi i ea re lo i o da erino di o a ehi Non vi furono mai nè debolezze nè transazioni. Allorché qualcuno era privato dei cibi e dell'acqua, mangiava e beve va come non mai. Gli altri si privavano di una parte e an che di tutta la loro razione per sovvenire i colpiti. Ora mi circondano cinque subalterni: il tenente Arnaldo Rossi, il tenente Enrico Pa sonetti, il sottotenente pilota Amelio Peri, il tenente Carlo Soresi, il sottotenente Carlo Malfetti. Giovanissimi tutti esuberanti di vita, qualcuno sopporta senza mostrare il benché minimo abbattimento l'evidente grave minorazione fisica. Parlano in coro e mi raccontano anche essi ,'in mon do di episodi, uno più bello e più meraviglioso dell'altro, documentabili con infiniti ricordi. Ecco la storia degli arti artificiali. C'è in India una fabbrica di arti artificiali e furono concessi ai prigionieri che ne avevano bisogno i « pezzi » necessari. Ma grande fu la meraviglia di tutti i militari allorché si accorsero che que i. >sti arti erano intonati al co More scuro della pelle degli in di9eni. Tutti ravvisarono in 'Mnella coloratone un'offesa ì alla rnz~"- a Sh arti artificiali non ebbero buona accoglienza. Gli inglesi mostrarono di essere meravigliati per questa sensibilità cosi acuta dei nostri soldati, ma capirono che i prigionieri andavano anche rispettati sotto questo aspetto. Ora mi parlano in coro dei campi sportivi. Gli inglesi si sono vantati di aver fornito ai prigionieri quanto era necessario per l'esercizio degli sport: calcio, palla al cesto, pallacorda. Niente di vero. I prigionieri, i campi sportivi gli attrezzi di giuoco se li sono fatti da sè, utilizzando le materie prime più disparate con una genialità, una, pazienza, una tenacia da sbalordire ed i modesti svaghi che questi impianti di fortuna offrono se li sono procurati con durissime fatiche. Sette o otto mesi di lavoro per spianare, levigare, attrezzare un campo di giuoco, e anche questa volta il nemico è rimasto stupito per la genialità dei nostri uomini, che hanno saputo sopperire a tutte -le. deficienze 'evincere tutte le difficoltà mediante ritrovati ingegnosissimi. Pretese inumane La. nota dominante nella vita dei noeti i prigionieri di guerra è costituita dalla solidarietà' più aperta e affettuosa che riunisce tutti nella sventura. Sono infiniti i casi che mi vengono accennati, nei quali ognuno ha fatto tutti i possibili sacrifici per lenire al camerata una sofferenza, per risparmiargli una pena, per consolargli un dolore. Un episodio quanto mai significativo mi è stato raccontato. Occorreva trasferirsi da un campo • all'altro. Nel contingente erano degli ammalati in stato di grave debolezza. Gh inglesi non ammettevano ragione. Dovevan partire tutti. Fu fatto loro notare che questo non era possibile. Insistettero. E onora tutti ì prigionieri, come un sol uomo, pur sapendo che avrebbero potuto andare incontro^ asecere misu- re, decisero di non muoversi fino a quando fosse stata riconosciuta l'infermità dei camerati ammalati. Ci fu ancora della resistenza. Furono minacciate rappresaglie e punizioni, ma alla fine la solidarietà ebbe ragione e più accurate e più coscienziose visite mediche condussero a un giudizio equanime al riguardo dei sofferenti, ai quali furono date le giuste facilitazioni: l'amore dei fratelli aveva loro risparmiato disagi che forse sarebbero anche riusciti fatali. E si discorre, si discorre ancora e sempre della vita di laggiù. Il- ricordo di quelli che sono rimasti affiora di tanto in tanto e vela di mestizia il volto dei reduci. Ognuno di essi, ritornando, ha avuto la confidenza di imo, due, cinque, dieci camerati, e ha recato con sè impresse nel cuore e nella memoria commissioni da eseguire per conto di quelli che sono laggiù. Ognuno di questi giovanotti spensierati deve consolate dei congiunti che attendono, portare loro una paiola dì fede e di coragr gio del caro lontano, consegnare un oggettino pieno di poesìa e di significazione che dia a coloro che attendono il ritorno dei parenti una sensazione viva del ricordo che quelli lontani serbano dell'attesa nella quale 'vivono. Ricordo del Duca E scherzando, ognuno di essi mi dice che non riesce a prevedere quando potià godere di un po' di riposo, perchè ognuno deve recarsi in nove o dieci città e deve visitare altrettante famiglie di prigionieri. E in ogni casa dovrà essere ripetuto il racconto delle incende tristi e dovrà essere illustrata la vita nei campi. Ma d'altro canto essi pensano quanta gioia e quanta sejejittà potrà venire alle famiglie di coloro che sono rimasti dalla voce di questi che riflette il cuore del prigioniero, e si accingono ad assolvere il tenero mandato con devozione e con diligenza. E' il tramonto. Nella corsia entrano gli ultimi raggi del sole. Intorno alle tavole ora tutti tacciono. Qualcuno ha rievocato il saluto della partenza. Sono rimasti più di mezz'ora con il braccio levato a salutare da lontano coloro che partivano, e guardavano senza batter ciglio, senza profferire una parola, senza una protesta, perchè sentivano che il nemico scrutava i loro volti e che nessun segno di debolezza bisognava dare. Ricordano l'eroica fine del Duca d'Aosta: tutti i prigionieri sentirono per la morte dell'eroe il più grande dolore. E dal giorno della sua scomparsa la devozione che nutrivano per Amedeo di Aosta si ti amutò in una venerazione religiosa. Simbolo del sacrificio, il Duca restò nel cuore di coloro che hanno avuto la tristezza di subire la prigrionla, l'espressione più bella delle virtù della gente italiana. A lui in ogni traversia si rivolge il pensiero dei prigionieri e il suo esempio conforta, tonifica, anima. Roberto Bel tra ni

Persone citate: Amelio Peri, Arnaldo Rossi, Carlo Malfetti, Carlo Soresi, Duce, Enrico Pa, Vincenzo Ossoli

Luoghi citati: Aosta, India