| Il gatto magro | nT

| Il gatto magro | nT | Il gatto magro | nT g |nillllMIMtllllllMIIIIIIIIIIIIIIIIIIItllllllllllllllMIIIIMIIIIIIIIIIJIIIIIItlllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllItlllllIlT Gabardi, il concertista famoso la cui faccia badiale oggi s'imporpora allegramente di lambnisco, ci ha raccontato di quando, trent'anni .fa, era pallido, magro, e vestiva di nero: ' ■ — L'abito nero, data la professione, è la gola cosa che abbia conservato di quel tempo. Quanto al pallore e alla, magrezza, non dovrà sembrarvi vanteria se vi dirò che non dispiacevano alle giovinette: le ricche giovinette della città a cui davo lezioni di solfeggio. Tutte le signorine di questa terra sono state innamorate del loro maestro di piano. O per dire più esattamente, hanno creduto d'esserlo. Se di rado si^ sono fermate, sempre si sono voltato alla Mia-povertà, alla sua melanconia; e sopratutto a quel vestito nero che sembra, ai loro occhi, la nobilitazione dell'aspetto desolato, il decoroso motivo d'essere così pallido e così magro. E' l'illusione d'un giorno: ora lo so. Ma quale fanciulla non l'ha subita? Aggiungete, ancora, il potere unitivo della musica. Dirò meglio, del solfeggio musicale. C'è in quelle lunghe, lente, interminabili scale diatoniche un'aspirazione continua e mai raggiunta d'infinito, una così snervante e sfinente tristezza che l'amore, irresistibilmente, viene con sò. Ora delle mani di giovani che le percorrano, insieme, sulla tastiera, finiscono per incontrarsi. E gosì io ho stretto, un giorno, le mani della signorina Valeria. L'avventura è tutta qui. «La sventura venne poi. Venne subito, da quel primo bacio che ci demmo dietro il Manuale dello Czerny, confusi i suoi riccioli lievi ai miei capelli lunghi contro la «scala ascendente i di un esercizio in la maggiori. Ella subito si ricompose. Io ero rimasto stordito, annichilito come da una percossa. Chi dirà mai la vera sensazione, cioè la vera sofferenza d'un primo bacio? E' corno entrare in un turbine, crollare sotto una vertigine. Tutto in noi trema e si perde. Lo Czerny, nella confusione, era caduto squadernandosi sulla tastiera. In silenzio, sempre vacillando, io lo raccolsi rimettendolo alla rovescia sul leggio. Ricordandosi della mamma nella stanza accanto, ella riprese da capo l'esercizio: questa volta, senza sbagliare una nota. E come il mio tacere pareva denunciarmi, fu lei a pronunciare, disinvolta: — La maggiore. Tre diesi» in chiave, non è vero? «Continuando la lezione, cercai ancora di afferrare le dolci mani che rincorrevano sul cembalo, a loro volta, un motivo affliggente come un pianto di malato. Non mi riuscì di ghermirle più. Io ero come impazzito. Allo smarrimento iniziale era venuto succedendo una sorta di furore che, ora me n'accorgevo, un po' attirava uri po' sgomentava la mia allieva. A vent'anni noi uomini siamo tutti, in amore, imprudenti così; e così tutte avvedute, viceversa, le donne a diciassette. E' forse Ja ragione per cui i giovani fra loro, piacendosi quasi sempre, non s'intendono quasi mai, rassegnandosi il ra gazzo allo donne sui trenta, le fanciulle agli anziani di treuta cinque. Ciò che m'aveva dissen nato, in quella stretta, era una carezza d abbandono delle sue mani nei miei capelli ; mentre le . labbra appena m'avevano accennato la loro freschezza, lasciandomi un sapore che m'era parso di rosa bianca. Ed ora questo profumo, forse solo immaginario, mi perseguitava. Volevo risentirlo ad ogni costo. Non facevo che richiederlo, goffamente, interrompendo il solfeggio con ogni pretesto. Per quietarmi mi sussurrò, ella stessa, un appun tamento. Mi trovassi la sera dopo, alle sette, in quel viottolo del giardino pubblico che confi na col pareo privato d'una villa. Il luogo è segreto e ombroso, fa vorito perciò dai passerotti ; < già vi avevo incontrato, un giorno, Valeria con la mamma, mentre insieme sorridevano a quel l'amorino che sta a guardia, co me sapete, d'un arco stemmato nel mezzo del muro divisorio, scortando le sue freccie contro passeri che non se ne danno per inteso. Non mancassi, alle sette in punto, presso l'amorino di terracotta. «L'inverno stava per finire: ma siccome, a quell'ora, era an cora buio, così dovetti trovare la statuetta a tentoni. Puntualissima, ella capitò quasi allo stesso momento.. Risoluta, come d'abi tudine, non esitò d'un pasto nel venirmi incontro. Ci vedeva dunque anche all'oscuro, la signorina Valeria? Oh, com'era bella così nell'ombra, brillandole denti, odorandole i capelli ! Au cora me la presi, temerario, fra le braccia; ma, inabile come seni pre, non seppi capire come que st'altro suo bacio fosse stato trop po pronto per essere naturale ; come per l'appunto fosse smen tito da ogni mancanza d'impac oio. Questo bacio che a me era parto frettoloso d'incominciare, era invece impaziente di finire « s'io avessi compreso le paro] che seguirono, quel primo con vegno sarebbe indubbiamente stato l'ultimo. Ma che si può ca pire, di queste cose, a vent'an edcnsmelrmcpmmamamlmsmmsivpsuvfstsrdi? " U a e essa mi parlò dei suoi doveri, della sua mamma; dei pericoli che avremmo incontrato continuando la relazione, della necessità quindi d'interromperla, dimenticando il momento in cui ci eravamo dimenticati. Così disse la signorina Valeria. Era una repugnanza. Io.la.credetti un timore. Era una decisione. Io la credetti un'esitazione. Ella comprese il mio equivoco ; e, un momento ch'ebbe fissi gli occhi nei miei, le vidi un'espressione così avversa che. finalmente, m'intimidì. Dai miei capelli, quei capelli che il giorno prima ella aveva pure carezzato intensamente, il suo sguardo discese alla faccia smorta, al corpo denutrito; e, già fatto duro nell'esame della persona, divenne durissimo fermandosi all'abito; quel mio povero vestito nero, segnato qua e là di rammendi e d'allumacature. Ora col suo sguardo senza parole la giovinetta aveva indicato, denunziato la mia povertà': quella stessa povertà che forse, per un momento, le era piaciuta; che la spaventava, pee le repelleva al pensiero di subirla, come io avevo detto in un momento d'ebbrezza, tutta la vita. Di rapirla e di sposarla, infatti, avevo parlato dopo quel secondo bacio, cadendole romanzescamente ai piedi* sotto l'arco toso del Cupido di. terracotta : e subito, la giovinetta, voltandomi "e spalle'per non compromettersi oltremodo, o per non vedermi ridicolo, mi aveva obbligato a Izarmi. Di rossore in rossore, ora io non trovavo più ardimenti, e nemmeno parole. Non mi insci di strapparle, a fatica, che a promessa d'un secondo appuntamento per l'indomani. Ma come il sì che mi disse fu quasi fuggendo via, non ebbi neppure '1 coraggio d'accompagnarla al'uscita del giardino, Avremmo ancora dovuto trovarci, la sera dopo, per le sette. Sapendola così puntuale, per quanto avesse nevicato e nevicasse tuttora, mi recai al convegno con mezz'ora d'anticipo. Sui nudi rami stel"ati di gelo non un passero si fa ceva sentire; mentre l'amorino di cotto, ingobbito dalla neve co me un pulcinella, e con un naso finto di ghiaccioli, nascondeva la sua faretra in un doppio' strato d'ovatta. M'era d'intorno un si lenzio molle, non avrei saputo dire se di pace o di morte: « molto mi stupii che dal'muro divisorio saltasse giù, unico segno di vita, un gattino magro, nero, non altro ravvivato nell'andare senza rumore che dalla riga del l'iride splendente. Dallo sgomen to che lo prese nel vedermi, capii ch'era selvatico, e che non errava per amore ma per fame. Stecchito com'era, infatti, il mi ciò mostrava anche nel passo scomposto ed apprensivo, il bisogno che lo sospingeva ; eppure anche nel suo sguardo era quella coscienza della solitudine, triste superba nello stesso tempo, ch'è nello sguardo di tutti i va gaboudi, uomini od animali, i che subito mi commosse, Io mi rovavo in quel particolare stato d'affettuosità che dà l'attesa di una donna, e non ebbi requie finche non ebbi richiamato l'errabondo à me, con tutte le voci e tutti gli atti adescatori che mi riuscì di trovare: teneramente, pazientemente, affrontando ogni sua paura e riluttanza con l'ansia prima, con la gioia poi di poterne avere ragione. E gli occhi luminosi finalmente mi si accostarono — quegli occhi che diventano buoni, come sapete, solo nei gatti sventurati — e il passo felpato, e il nasino freddo: il quale cominciò a strofinarsi si mio, in un fiuto ch'era già un bacio. Allora io me lo prssi fra 10 braccia, e su quelle vertebre contate, lungo il pelo nero che già tramutava il tremito di freddo in vibrazione d'amore, prolungai una carezza esitante, insieme, ed insistente, simile a quella che la mia allieva m'aveva prodigato due giorni prima sui capelli. Ripetevo quella carezza ad occhi chiusi, immaginandomi d'essere Valeria, e di trasfondere nell'essere- miserando la stessa beatitudine ch'essa mi aveva dato. Levò ancora l'animale 11 muso verso di me, e nel suo sguardo, che aveva conosciuto sino allora soltanto la fame, il gelo e lo spavento del più forte, vidi espandersi come una smarrita meraviglia, mentre un ronfo di piacere s'univa al battito del cuore, che ora sentivo palpitare, sino a farmi male, traverso le costole scarnite. Ma allora, improvvisamente mi ricordai del convegno ; e come un campanile ebbe annunziato le sette, ributtai il gatto sulla neve, quasi non potessi ammettere, per causa sua, un solo istante di .ritardo; quasi anzi fosse sua colpa, se Valeria non era ancora giunta all'istante preciso. Cinque, dieci, venti minuti passarono, angosciosamente, così. Valeria non veniva. Valeria non sarebbe venuta. Ora finalmente, ricordando, capivo le sue parole e la ripulsa che m'avevano significato. Ella sdegnava l'amante povero. Povero ed ingenuo, povero ed incapace. Sdegnava l'uomo triste, e magro, e vestito di nero, a cui aveva ceduto per un momento le labbra, ma a cui certo s Aerei nemici di «corta apr SIHIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII CACCIA AI SOMMEVISSUTA SOTTO E SOPRA siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

Persone citate: Cupido, Gabardi, Povero