Breue storia di "Gigi tre Osei,,

Breue storia di "Gigi tre Osei,, Breue storia di "Gigi tre Osei,, e di un gruppo di intrepidi cacciatori (DA UNO DEI NOSTRI INVIATI) Aeroporto di..., marzo. L'emblema assunto da questo 150" gruppo da caccia, che gli aviatori portano con orgoglio sul petto, ri- carnato sulla tuta di volò, e che egualmente dipinto sulla carlinga ^'n„ < }°™ apparecchi, reca in campo azzurro cielo tre bianchi uccelli stilizzati ad ali spiegate. tre gabbiani, forse, e del pari stilizzata una palma; e reca da lato una scritta piuttosto sibillina per i.profani: «Gigi tre osai». L'emblema, di cui vi racconterò la storia, è originato in realtà da uno scherzo tra camerati del gruppo: perchè in guerra si può anche scherzare; e tra i piloti cacciatori in specie, tra questi baldanzosi arditi dell'aviazione perdura franca e vivace una tradizione di spensierata allegria. L'impulsivo ardimento giovanile che li contraddistingue, prorompe nelle soste dei voli, e tra Vuna e l'altra azione di combattimento, e si sfrena in una clamorosa gaiezza fiorita copiosamente di facezie e frizzi e ourle. Somere in linai dal prìncipe dalia guerra io abbattuto, salvandosi col para cadute; il capitano Nicola Magal di; il sottotenente Ernesto Trevisi. 'n entrava in guerra il io giugno 1940 sul fronte occideri tate, comandato dall'allora mag ai°re Rolando fratelli, oggi colonnello. In seguito venwa trasferito suì fronte ugreco: e ne assumeva il comando il maggiore Antonio V. che '° conserva tuttora. Sul fron- te areco e sul fronte jugoslavo, e , nelJe operazioni Ai polizia nei Balcani occidentali, il gruppo fu impiegato fino al dicembre 1941 ver 13 ininterrotti mesi. E aveva iiiliiliilliiiiiiiiiiiiiiviiiiMiiniiiiiiiuluiiii'iiiilitllliiiQuesto 150" gruppo caccia, che é stato sempre in linea dal principio della guerra, ha combattuto aspramente il più spesso in condizioni di inferiorità di mezzi e numerica rispetto all'avversario, e ha dato cosi, necessariamente e gloriosamente, un più largo tribù-' to di sangue. Trenta piloti morti o dispersi sui vari fronti della guerra e 19 feriti. E in testa ai morti sono le tre medaglie d'oro alla memoria: il capitano Giorgio Graffar, quello che già aveva difeso Torino contro un'incursione nemica gettandosi con l'aeroplano contro l'avversario, e,, dopo aver- Fronte tunisino: si «lamina il nemico nelle recenti operazion meritato alla propria insegna la medaglia, d'argento al valore con questa motivazione: « Combattendo In volo su nemico agguerrito, e portando il piombo e il fuoco delle sue armi a terra sui campi di volo e su Ogni apprestamento nemico, in sei mesi di lotta aspra violenta sanguinosa senza riposo, e superando difficoltà di ogni genere, 1 suoi equipaggi scrivevano pagine di gloria nei cieli di Grecia e di Albania. Mai domi dai più gravi sacrifici, contribuivano in maniera decisiva alla vittoria delle armi d'Italia. — Cieli di Grecia e Jugoslavia, 28 ottobre 1940-4 aprile 1941 ». • Nel dicembre del 1941 il gruppo veniva trasferito in Libia, nella località di El Merduma, precisamente sul confine tra la Trtpolitania e la Cirenaica. E su quel fronte debuttò col combattimento aereo di El Agedabìa, l'8 gennaio del 191,2, contro forze nemiche abbondantemente superiori, e senza perdite proprie, abbattendo due Curtiss. Dopo venne una serie di azioni contrastatissime. {I gruppo mitraglia le formazioni nemiche a terra e combatte in aria con quei suoi Macchi 200. La reazione contraerea del nemico era tremenda, la sua superiorità in aria era evidente. Ma non è questo che potesse ammorsare lo ■ spirito combattivo dei nostri cacciatori. In quell'azione su Agedabia, dell'S gennaio 1942, su 18 nostri apparecchi impegnati 17 rientravano colpiti dal fuoco avversario. Il vittorioso scontro di Bir Haohsim Il li febbraio grosso combattimento su Bir el Hacheim. Erano due formazioni del gruppo: e Vuna doveva mitragliare al suolo e l'altra faceva la scorta. Quel giorno comparvero per la prima volta nel cielo della Libia i Curtiss P 46 e i Klttywack, armati del cannoncino da SO millimetri; ma i nostri non si lasciarono impressionare, e li ricacciarono validamente. La propaganda avversaria, sempre ampollosa, sempre esagerata, sempre falsa, dichiarò addirittura tutti i nostri apparecchi abbattuti. In verità noi avevamo perduto semplicemente tré apparecchi. Tra questi, disgraziatamente, era stato abbattuto il tenente iiiMiiiHiniiiiMiMiiiiMiiiiiiuiiiiiiiiiniiiiiliiiiiiniiiiiii materiale bellico catturato al i,' (R. G. Luce - Boravtaii)., pericolo va segnalato, al momento giusto, per evitare svolte pericolose. E il momento giusto, a nostro parere, è questo. Nessuno vieta ai giovani di individuare gli artisti e i non-artisti, " nessuno vuol impedire ai giovani di riconoscere in Betti, o in chicchessia, uh maestro; li esortiamo soltanto a non attardarsi nel compiacimento oltre il necessario, se non vogliono diventar vecchi senza esser stati mai giovani; li invitiamo a far di testa loro se vogliono veramente lasciar traccia della propria personalità. Betti, come ogni vero artista, si difende da sè, con la sua opera, dinanzi al pubblico e, se occorre, contro il pubblico. Non c'è bisogno di dimostrazioni più o meno clamorose per Imporlo; si rischia di ottenere l'effetto contrario. E, appena appena la sua prossima commedia ne mostri il fianco, Betti se ne accorgerà. Lasciamo stare dunque tutte queste storie, e diversivi e ripicchi, e ritorniamo sulla dritta via. E ora due parole in persona prima a Turi Vastle. Tu sai, mio carissimo, quanto io ti stimi e ti ami, e quanta fede io abbia nel tuo talento e nella tua sensibilità; ebbene, Vasi le mio, finiscila con gli esperimenti e con gli assaggi, smettila di startene con i tuoi pochissimi camerati di autentico valore ai margini del teatro, buttatici dentro, buttatevici dentro, e avvenga che può. Dovete lottare dal di dentro, non dal di fuori, con le opere, col sangue vostro. Questo ormai potete farlo. Avete la Compagnia nazionale, potete parlare — e qualcuno di voi ha già parlato (e saputo parlare) — direttamente col pubblico, potete dimostrare quello che valete e che serbate, sia pure in germe, per domani; avanti, dunque, opere fatti e realizzazioni: non c'è miglior polemica della creazione, del fatto artistico raggiunto, dell'opera viva. Se è vero che a tavola non s'invecchia mai, è ugualmente vero che a teatro s'invec^ chia presto. Non vedete quanti malvivi ci slamo ? — e dico ci siamo perchè non s'offenda nessuno. Che aspettate? Il tempo che perdete è prezioso. Rischiate d'invecchiare chiacchierando ancora sul come e sul perchè il Tizio è artista e il Calo non lo è, questo 10 è per un terzo e quello per tre quinti, la tale opera racchiude e nasconde la più alta poesia, la talaltra è tutta prosacela. Si, va bene, ma non sfiancatevi, per carità, lmesercltazioni di tal genere; avete ben altro da fare. E l'anno venturo, in cartellone, commedie di Vasile, dì Fabbri, di Fulchignonl, di Pinelll, di Testori, ecc. ecc. Forza, ragazzi. * * * *** Paola Borboni realizzerà tra breve 11 suo sogno d'arte: la formazione di un' complesso che mena In scena soltanto opere di Pirandello. I.a compagnia dovrebbe riunirsi ai primi daprue. „ Maurizio Nicolis di Bobilant. Di lui è da citare una precedente fortunatissima avventura in Albania, che gli aveva valso la 'medaglia d'argento al valore. Egli si era levato dal campo di Coriza per scortare un R. 37 in missione di ricognizione. E avvista tre bombardieri nemici che volavano verso Coriza per bombardare il campo. Lascia per un momento il suo servizio di scorta, e si avventa contro i tre bombardieri e li abbatte uno dopo l'altro, in cospetto di tutti i compagni di quel campo di Coriza. La motivazione della medaglia d'argento al valore sembra derivare da un esempio di Giulio Cesare o di Tacito, ecco: *In volo di scorta a un nostro ' ricognitore attaccava e abbatteva da solo tre apparecchi nemici. — Coriza, 15 novembre 'io ». La propaganda avversaria, dicevo, dichiarò per quell'azione del 14 febbraio 1942 tutti abbattuti i nostri apparecchi. Ma se ne accorsero i nemici che il 150" gruppo era ben' vivo, quando meno di due settimane dopo, il 28 febbraio, una formazione ài 18 nostri Macchi 200, al comando delio stesso comandante del gruppo, piombava su El Ademt il campo detta caccia nemica, e lo coglieva di sorpresa bombardando spezzettando e mitragliando. Dovevano quei nostri, subito dopo l'azione di sorpresa, tornare direttamente al proprio campo. Ma avvistarono in quei pressi ogni ben di Dio, come si esprime un pilota. Raggruppamenti di uomini, tende, carri armati e automezzi. E allora di comune, concorde iniziativa, si disposero ■ a pettine, e più a mitragliare e spezzonare, pia. Riprendiamo il bollettino del 1° marzo 1942: sono 18 velivoli nemici distrutti al suolo, 10 automezzi incendiati e 40 danneggiati, postazioni di contraerea, baraccamenti, depositi di munizioni e di carburante efficacemente mitragliati. E con opportuno accorgimento i nostri riuscivano ancora a sfuggire al contrattacco della caccia nemica. Poi è l'8 'marzo. Una formazione del gruppo, comandata dal capitano L. M., scorta 12 Stukas, in condizioni di più, grave inferiorità del nemico (uno contro tre) e inferiorità di potenza di apparecchi, /'nostri si involano per salvare gli Stuka. E qui bastano le cifre: dei nostri dieci cacciatori non rientrarono in campo che tre, ma gli Stuka furono salvi, chi rientrarono e indenni. La scorta aveva adempiuto il suo ufficio fino all'estremo sacrificio. E uno ancora rientrava il giorno dopo, atterrato fuori dalle nostre Imee e scampato ardimentosamente alla prigionia. Il tenente B. L. aveva affrontato il nemico da solo in volo, quando quello tentava l'inseguimento. Un altro era scappato attraversando impavido lo stesso nugolo di aerei nemici. A raccontare particolareggiatamente queste imprese Ve da sentirsi rizzar» i capelli sulla front» e a riempire pagine di giornale. S'.il 21 marzo. Il gruppo ero a Martuba a sud-est di Derno., Sul mezzogiorno una esplosione; poi un'altra. Bombe 1 Ma nessun apparecchio è stato avvistato: Cannonate f Jf» come mai gli inglesi sono arrivati cosi vicino t Qualcuno dei nostri si leva |n volo, e scoprono nei pressi, a 6-7 chilometri, ima poderosa colonna nemica, che si era insinuata nel nostro schieramento. Dall'una del pomeriggio fino a tarda sera il nostro gruppo bombarda, spezzona, mitraglia il nemico. Le artiglierie e i trecento automezzi che il nemico aveva portato avanti, sono maciullati. Forse soltanto una trentina di automezzi, e forse nemmeno, poterono scampare quando sopravvenne la notte. Poi il gruppo andò a difendere Bengasi. E furono nuove imprese e furono nuovi olocausti. Ma furono anche nuove vittorie pur duramente conquistate. Un'eroica falangi di gloriosi caduti Ai gruppo si ricordano fra gli altri il sergente maggiore Mario Angeloni da Roma, medaglia d'argento alla memoria; e il serpente maggiore Renato Zandonai, da Trento. Era questi un atletico campione di patta a volo. Lo chiamano durante una partita; lascia la palla e parte per un mitragliamento a volo radente. Non è più tornato. E il tenente ing. Lorenzo Clerici da Milano, volontario ventisettenne. Fu colpito durante un bombar damento aereo del campo. Ebbe stroncato un braccio da una scheggia. Disse a quei che l'attorniavano con stoica fermezza: scioglietemi la cinghia dei pantaloni, legatemi il braccio vicino alla spalla. Più stretto, più stretto. Si teneva con l'altra mano il braccio quasi staccato. Moriva tre giorni dopo all'ospedale. Ma vi ho promesso la storia dell'emblema di questo 150" gruppo. Il sottotenente pilota Luigi Caneppele, da Trento, arrivava a questo gruppo alla vigiliti della guerra per il servizio di prima nomina e ostentava sul braccio un distintivo con quei tre uccelli, come ho descritto sopra. Era campione del Guf di Milano per il volo a vela; laureato in ingegneria. Tre sono i brevetti — come mi hanno informato — per il volo a vela : a) il distintivo con un uccello; b) il distintivo con due uccelli; c) 3 uccelli, che è la supremazia. Caneppele\ campione aveva i tre uccelli. E subito al gruppo lo soprannominarono nel suo dialetto : « Gigi tre osei ». Nei gruppo egli era e restava « Gigi tre osei*. Combattè sul fronte occidentale; combattè sul fronte greco e jugoslavo. Bravissimo. Poi lo mandarono ai trasporti aerei in un aeroporto della Puglia. Un giorno capitano a quell'aeroporto i suoi compagni del 150» gruppo, che si trasferivano dall'Albania in Libia. Caneppele ncn esita : parto con voi. Ai camerati di Caneppele non gli par vero che « Gigi tre osei » parta con loro. C'è libero l'apparecchio di Nicolis di Robilant, perchè il pilota è ammalato. E Caneppele parte con ?nello e va in Libia a combattere. I tenente Caneppele cadeva nel cielo di Benina in Cirenaica il 1" febbraio del '42 : il suo orologio da polso era fermo fatalmente alle ore 13. E Nicolis di Robilant dipingeva, sul proprio apparecchio, in memoria dell'eroico compagHo, quell'emblema dei tre stilizzati gabbiani, detta palma stilizzata in campo azzurro di cielo e con la scritta rievocativa: c Gipi tte osei >. Cosi è diventato l'emblema del gruppo: 150° gruppo caccia: « Gigi tre osei ». Mario Basti