Lezione di Donatello

Lezione di Donatello Lezione di Donatello Si direbbe che le illuminanti venti pagine di Emilio Cecchi su Donatello siano state scritte proprio per condurre adagio adagio, con elegante malizia, il lettore all'inattesa « moralità » di tutto quanto quell'esame critico acutissimo: «Da così ingente complesso d'opere ed insegnamenti, cosa potrà deriva^ re l'arte d'oggi che, insieme al segreto delle proprie tradizioni, si sforza di riacquistare qualcosa dell'antica grandezza?». E' noto l'aneddoto di Donatello, invitato dai consoli dei calzolai a stimare una statua di San Filippo per Or San Michele, della quale, per se, già aveva pattuito commissione; e prezzo abbandonandone tuttavia in se guito l'esecuzione a Nanni di Banco. Guarda, e stabilisce un compenso maggiore: c Questo buon uomo non è nell'arte quello che sono io, e dura nel lavorare molto più fatica di me ; però siete forzati, come uomini giusti che mi parete, pagarlo del tempo che v'ha speso». Giudizio onesto, umanissimo: che valuta l'arte non solo come dono, ma come lavoro, costanza, probità, tempo e fatica di perfezione, forza morale; e se il genio lampeggia (che è caso abnorme) dia poi i suoi frutti soltanto attraverso'coteata fermezza. Or ecco il Cecchi desumere dal bell'aneddoto un ammonimento ai contemporanei : «Imparare ad avere più e più fede nell'operare che nel discettare; nel tempo e nella fatica, più che nelle polemiche e nei programmi». Che sarebbe grande acquisto per noi tutti se Donatello, ergendosi nostro giudice quale eroe e custode d'una tradizione che non dobbiamo offendere nè facendocene schia vi nè a lei ribellandoci, po tesse, per quanto produciamo oggi, ripetere: «Il buon uomo non c nell'arte quello che sono io. Ha fatto però quel che ha potuto. Tenetegli conto del tempo e dell'amore che vTia messo». Certo, per valutare, simile lode converrebbe sapersi fare umili più di quel che da anni non si sia abituati, e non consenta la stessa retorica ufficiale Bei primati artistici assunti a imperativi, anche sopra la storia; e ricordare che quando tutti si alzano in punta di piedi per parer grandi, è nè più nè meno che se tu,tti stessero con le piante in terra: come del resto avveniva alla folla intorno alla casa del Vicario di Provvisione. Il primo atto d'umiltàsarebbe allora smetterla di gridare 10 io; e tornare ad aprir gli occhi sul mondo circostante, visibile tangibile misurabile secondo un intelletto universale. (Forse n'andrebbe in giro meno estro e gusto; s'avrebbe in compenso un solido linguaggio per dir bene e chiaro le non molte cose che l'artista non sommo ha da dire per riuscir persuasivo e toccante). Chi guardi le due statue di profeti del duomo di Firenze, scolpite da Donatello sui vent'anni e riprodotte in questo saggio (il secondo dei nuovi « Quaderni d'arte » dell'editore Tumminelli, diretti dal Cecchi medesimo) ; e poi, alla tavola seguente, il San Giovanni Evangelista senza il quale non avremmo il Mose di Michelangelo; e subito dopo il San Giorgio, prodigioso d'energia nel rigore del suo appiombo di massa e di linee ; capisce che il passaggio da quegli schemi — ancor cristallizzati in un'idea figurativa di acquisto — a tanta autonomia e varietà di vita, fu possibile solo per l'intensità d'una visione che strappava al vero tutti gli elementi per la trasfigurazione individuale. E che dir poi di quell'avvicendarsi e scontrarsi e soverchiarsi e recedere, come antagonisti nell'unità d'un dramma, della classicità e del romanticismo donatélliani, onde nello straripar dell'uno sui bassorilievi del Santo, è proprio l'altra che riappare, suprema, col Gattamelata? Questi, come tutti gli altri « anacronismi » donatélliani che 11 Wolfflin ha notato quali anticipazioni addirittura secolari di problemi plastici, non nascono che da una vorace, instancabile scoperta della vita. Cioè del vero: di quello che è vero non per me o per te, microcosmi incomunicabili^ ma per una pluralità moralmente solidale e intellettualmente collaborante. . Solitudine spirituale è n triste destino che minaccia l'esistenza. L'arte sola è in grado di correggerlo. Perchè rifiutare l'unico linguaggio possibile al reci proco intendersi degli uomini, e isolarci sempre più, fino all'odio, fino alla strage ? E a chi poi gridasse ai pericoli, artisticamente sofferti e culturalmente superati , del « verismo »,—basterebbe rispondere che questo è copia, materia morta; mentre il vero ,è ispirazione, creazione sempre rinnovata. Dice benissimo il Cecchi: che il solo ed unico metodo dell'arte, immutabile ed eterno benché continuamente tradito e dimenticato, è il metodo di tornare a interpretare il vero: di ritrovare, dalle basi, «sul vero, un nuovo vitale rapporto fra la natura, gli affetti « la loro espressione artistica». In questo ritrovamento è il segreto d'ogni classicità, che non si coinarsctunofuprmnibasunocustnndtotolegnsaL si voglia confondere (ma sono confusioni ormai chiarite) con un intento imitativo di derivazione archeologica, o ridurre a una scolastica, benché convinta, lettura di testi. Già il Berenson notò che la gloria di Donatello fu aver osato essere arcaico per proprio conto,' senza aver visto i marmi del Partenone, i frontoni di Egina e di Olimpia, nè i bassorilievi delfici. Nota oggi-il suo traduttore che «Donatello non è un umanista». Non lo è perchè all'umanismo culturale-oppone la Dua asciutta struttura-, d'operaio e d'artigia» no, la sua «febbrile fatica manuale», «la immensità di cose dell'anima che egli aveva capi to» per poterci dare il « portentoso indovinello "formato di bel lezza puerile e ferina » dell'angiolo-mostro del Bargello. Oppone soprattutto la sua cupida, insaziabile introspezione psicologi¬ A proposito def'moH

Persone citate: Berenson, Cecchi, Emilio Cecchi, Tumminelli