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( Aìlodoì-aia. a Pesta ( ( Aìlodoì-aia. a Pesta ( ~iTm 11111 m111 rmn m i rm m 11m im11m; rr11 rtm 11111 m n11 n11111 m r Fuori della stazione incontrarti-1 Tno don Luigi Petrillo; accom- ppagnava un carretto con stoffe e csi recava a venderle in una certa | i casa slabbrata del villaggio fuori della muraglia greca. Ci disse d'avviarci al posto di ristoro, sarebbe venuto subito, intanto guardassimo la strada, ci regalava tutta la sua bellezza, come benvenuto. Rise della sua ingenua magnificenza di cittadino del luogo. Così è da queste parti, che al forestiero donano come primo dono gk incanti del paesaggio. Meraviglia della prospettiva dalla linea ferroviaria alla provinciale, traverso la Porta Sirena a grande arco compiuto, di pietra levigata. Anche questo cardine dell'architettura antica di cui i romani pareva avessero il segreto, l'arco pieno sostenuto dal suo proprio peso e dalla pietra di serraglio centrale, viene dai costruttori dorici. Ricordai questa osservazione di tanti anni fa quando fui a Pesto con Amedeo Majuri, per la prima volta, e allora egli dirigeva gli 6cavi delle mura fortificate e della parte romana della città. ì Il rettilineo di Porta Marina lastricato di pietra larga, consunta, riporta il pensiero alle più malinconiche e fascinose oro dell'Appia Antica tra Cecilia Metella e le Tombe. I pini qui sono più belli, neri, aerei: le capigliature di fumo sottile ; l'odore ne scende come una invisibile pioggia magica, amara. La Casina di caccia del tempo di Ee Ferdinando, con le sue colombaie e gli spiazzi ove passeggiano nobili pavoni empie l'aria secolare. I monti di Capaccio, il Soprano di forme giganti, distese, maestre; il Sottano vivo e isolato come una persona fanno più gloriosamente deserta e venerabile la pianura. In fondo s'arriccia e spumeggia un mare lanoso. Pioveva e pioverà poi tutto il tempo con brevi schiarite sui Templi, quasi illuminazioni di favore per lo spettacolo. Ci mettemmo per la via maestra tra la zona monumentale e la piana. Qualche ca6a la fiancheggia c sulle soglie, borghesi in stivali si intrattenevano, affollandosi alla porta del tabaccaio che è, nei paesi di bonifica, il ritrovo mondano. In un biroccio ritornammo poi alla stazione a ritirare i bagagli e rifeci così l'incantevole via della Porta Sirena. Cercammo don Luigi Petrillo in faccende nella sua bottega a smaltire le stoffe, addentrandoci nel villaggio costrutto in faccia alla muraglia dalla parte di settentrione, e così io vidi come fosse Pesto moderna ; bassa fila di bicocche tirate su coi frammenti della pietra greca, usando talvolta interi massi della muraglia, architravi e pezzi architettonici che danno un I imbro di più grave miseria aile costruzioni del tempo nostro. Si parlamentò e progettò per andare alla posta delle anitre quella sera stessa ma era già tardi e mancava un sicuro mezzo di trasporto ; Petrillo gran mastro di questa caccia era troppo preso nei suoi negozi, noi troppo stan chi. Rimesso tutto al domani mattina rientrammo al posto di ristoro e di qui, e dalla strada mentre mi vi recavo potetti.guardare a sazietà la piana dei Templi e i loro colori e l'eternità dei colonnati e la maggior bellezza ch'essi bevono dalla solitudine della sera. Dal paese extra muro» si mi sura d'un sol colpo d'occhio la prospettiva della muraglia greca che, dritta, s'allontana nella pianura sino alla linea ferroviaria e oltre, ed è quella meglio conservata coi suoi passaggi interni, le sue postierle, i cammini di ron da, le torri quadrate. Talune di queste torri ripristinate portano in cima colombaje gremite di voli, altre levano ancora gli antichi appiombo mostrandosi nella originaria altezza e potenza. L'occhio nostro che oggi vede dall'alto degli aeroplani spazi immensi e nei cristalli dei telescopi profondità dell'infinito, poco è colpito dinnanzi a queste città e mura, piccole secondo il nostro metro ma al tempo loro imponenti. Nel paese, misuravo con lo sguardo una muraglia provandomi a immaginare di scalarla armato d'un pesante scudo, d'un elmo crinito, d'una corazza, cosciali, schinieri, spada e quanto portava un guerriero antico. Mi pareva impossibile e doveva essere così. La muraglia greca opponeva un ostacolo insormontabile all'assalto nemico. La tecnica della costruzione di mura difensive domina tutta l'arte militare ellenica e spiega la storia degli assedi che a cominciar da quello di Troja non terminavano altro che per fame o tradimento o, mirabile ritrovato drammatico del Cavallo omerico, per astuzie che permettevano di valicare le infrangibili mura. I romani inventarono poi la mina, sistema di scavare alle fondamenta le muraglie connesse pel solo peso dei blocchi faccia contro faccia e farle crollare sopra i vuoti. Ma l'età greca ignora questo espediente forse troppo faticoso ai suoi volubili eroi. L'indomani ero fuori per tempo "he l'alba spaccava le nuvole La^6e gravide di pioggia fredda. fcesapgsllpdltdupolltsvctscrlmclsgtaengiscvptnqddmPsmbmssnrclpcevrstrPRdttpsrrqtp I ì ( 11m111111 f1111mi m m1111 f 11 [ 1111111111111111rli11rm1111rm 11111 rt Tirava vento dal mare e i Tem-I pli non ancora usciti dal sonno covavano ombre aggrumate sotto i peristili, tra le colonne, sui|frontoni. Ombre occupavano i Icardini e i decumani della città ed io avrei voluto piuttosto passeggiare per quelle strade che avviarmi alla stazione per l'appuntamento. Certo è pericoloso cadere nelle grinfie delle rovine, soavi e mostruose come le sirene. E' diffìcile tuttavia resistere a talune delle loro solitudini ove s'avverte per magia l'entità inafferrabile del tempo, come una acqua solenne, un mare senz'onde ; il tempo d'etere, dolce e mortale definito < inesistente, simile ad una verità geometrica. Tempo privo di dimensioni e padrone di ogni dimensione, specchio dell'infinito, ragione della vita, della morte, dell'immortalità. Il tempo penetra le pietre di Pesto scavandole e nei « pezzi • di travertino giallo scorgevo le occh.aie vuote, come le grotte aperte dal mare che esso rosica incessantemente, mangiando così continenti. Tutta la città è corrosa dal tempo e i Templi vi galleggiano lasciandosi portare come barche arenate ; marciando coi mille piedi delle colonne nella 6ua invisibile distesa e a noi sfugge questo moto a noi, ciechi Io guardavo nella mattinata gelida tra pioggia e vento i quat tro Templi dorati volte le spalle al mare bianco e quasi usciti da esso, camminare contro la catena dei monti di Capaccio, immaginandomi come tra mille 6ecoli il passo d'insetto dei colonnati superata la pianura portasse la città con le sue mura e piazze e vie ai piedi dell'Appennino e poi ne iniziasse la scalata e in altri mille secoli potesse trovare finalmente riposo sulla cima di quei monti, contro il fondo livido del cielo, ove, com'è destino dei Templi dorici, formare finalmente un'acropoli, * * i o o e . Alla stazione trovammo don Peppe Centanni e i cani. Que st'erano due bestie magre, affamate, spaurite di razza setter, se ben ricordo, incatenate crudelmente e tenute per una mano sola dal vecchio. Magro come i suoi cani, alto pallido, Centanni ne mostrava una settantina, ma robusti e flessibili anni di cacciatore temprato alle marcie, alle intemperie, alle veglie, alle poste, ai digiuni. Subito cominciò a parlare alla maniera aperta e ossigenata dei cacciatori e trovò l'aria chiusa, il vento da mare e la pioggia sfavorevoli alle nostre speranze. Si scartò il pantano rimettendolo a sera, pel rientro delle anitre, e s'uscì tutti (intanto era arrivato don Luigi Petrillo) per tentare le allodole. Ritornammo verso i Templi; i discorsi di quei cacciatori mi interessavano assai ed io ero diviso tra l'ascoltarli e l'osservare la piana che andava assumendo aspetti cangianti. Ora dal cielo scattava improvviso un fascio di raggi, ora dalla marina un chiarore livido poneva nel fondo del quadro una luce dolorosa. Tutto attorno alla città la pioggia batteva sulle rose delle siepi, lavava i rocchi di colonna, avvivava le muraglie e le trabeazioni, schiarendo la carne dorata del travertino, cantando nei vuoti delle celle, lucidando le gradinate; e più in là la città romana s'incupiva rabbiosa sotto la furia dell'acqua. Poco dopo uscimmo dal posto di ristoro e pei pantani e per i pascoli andammo a caccia di allodole. La pioggia ricacciava greggi e mandrie dall'aperto dei prati verso le cascine e i pagliai. S'udivano nel divino concerto piovano le voci dei bufalari gridare alle bestie e schioccare i loro nomi: «Eh! Eh! Abissina, Eh ! Eh ! Nanninella • (apostrofavano soltanto le femmine che si ponessero alla testa e tirassero con autorità matriarcale le famiglie al riparo) ; vaghi campani di arieti, abbaiare di cani, e si vedevano piccoli pastori, come in una fotografia sfocata, andare dietro le migranti groppe bianche, avvolti nei mantelli sotto le loro ombrella verdi. Gli uccelli rigavano, veloci, la pioggia e le allodole si levavano dai pascoli anch'esse in cerca di riparo, rifugiandosi oltre la mu raglia greca negli anfratti della pietra, dentro le postierle e :' cammini e i vani aperti nei se coli dai crolli e dai terremoti. Poco sparammo in quell'acqua e inutilmente ; don Luigi Petrillo si allontanò e scomparve lungo un fiumetto di bonifica inseguendo un piviere, il mio compagno ed io continuammo, aiutati da don Peppe Centanni, piuttosto sollecito dei nostri colpi che dei suoi propri. A poco a poco la pioggia calmò e i voli dei passeri, dei pettirossi, delle capinere tornarono sugli aperti prati; vi ricomparvero pure i greggi e i piccoli pastori si accodarono a noi interessati dei fucili, delle cartuocie vuote favoleggiando di luoghi lì presso ove una sola schioppettata avrebbe ucciso decine d'allodole. Allodole infatti si posarono sull'erba accanto alle pecore o per beccarne il fimo o per cogliere granelli sparsi o, a me parve, per mettersi al riparo dai colpi a terra. » ! 111 mi i i i i11 i 11( iri 1 m m i m 11111111 n 1111111 n 111117 Tuttavia. i greggi nel loro moto ondoso le spaventavano ed esse se n'andavano nell'aria, così noi dal basso a puntarle e sparar pallini che giunti a segno le pre cipitavano giù come foglie da un albero. Così a poco a poco mi penetrava il gusto del cacciatore a me non cacciatore, assai nuovo. E' forse tutto nel vedere la caduta dell'uccello dall'alto della sua strada aerea ; vederlo piombare arrotolato nel suo piumaggio sanguinoso, ridiventar terrestre, vendicato al dominio della legge di gravità. Quell'istante che il volo s'interrompe e l'animale cade e l'occhio del cacciatore beve l'attimo della caduta, forma la sua segreta voluttà e l'inebria c lo trasforma, riportandolo fuori del tempo della civiltà dei secoli che gli hanno insegnato a non uccidere; ridonandolo al domi¬

Luoghi citati: Capaccio, Casina