Uomini perfetti

Uomini perfetti Uomini perfetti Dei cristiani e del cristianesimo Luciano parla nella Morte eli Peregrino, che è un libello in forma di lettera a un amico di nome Cronio. Ma non sarà questo Cronio un nome inventato e nel suo significato di «antico» e di «sacro a Crono» un simbolo che per contrasto vuole meglio determinare la transitorietà delle religioni di cui si parla nel Peregrino, cristianesimo compreso? Questa è una ipotesi e può essere sbagliata, ma alle ipotesi npn si vuole rinunciare anche se sbagliate, che sono la ricchezza del nostro pensare e il vento che al mare del nostro pensare dà movimento e vita. La Morte di Peregrino è una violenta, spietata satira dell'impostura. La quale però nella figura di Peregrino, il vecchio cinico che volontariamente muore sul rogo per « documentare » la propria spiritualità, si gonfia di tanto drammatismo da raggiungere una specie di tetra grandezza. 'Perchè così crudelmente infierire contro Peregrino, e altrove contro Alessandro «falso profeta», e altrove ancora contro gli altri spacciatori di profezie e mercanti d'illusioni? Dispiace la mancanza di pietà in tutto il mondo antico, e noialtri che da tanti secoli viviamo nel caldo della pietà, non riusciamo a capire come uomini così civili pe raltro e alti di senno potessero vivere privati di questo sentimento che è la più sottile e profonda ragione dell'umana convivenza. Dispiace la mancanza di pietà nell'Omero dell'Iliade, in quegli automatici guerreggiatori che vivono più nel ferro delle loro armature che nelle fibre della loro carne ; ma in Luciano la mancanza di pietà nonché dispiacere sorprende, in uomo cui la pratica del pensare e l'esercizio dell'ironia ix>prattutto avrebbero dovuto ispirare q insegnare la pietà; perchò l'ironia — e qui io parlo anche per ine e lo dico alle orecchie fini '■— l'ironia è una forma di amore indiretto: è l'amore più pudico, l'amore più geloso. Luciano parla del cristianesimo con quella stupida sicurezza di giudizio che si ha per la cosa che si sa per sentito dire, ma ne si conosce profondamente nè si capisce tanto meno. Parla della «mirabile sapienza dei Cristiani» e dei loro «sacerdoti e dottori », il che dimostra qual conoscenza generica e superficiale egli aveva del cristianesimo. E come poteva Luciano conoscere il cristianesimo? Luciano è uomo della fitte, e il cristiane' simo in quel tempo era un co. minciamento avvolto ancora di oscurità: un avvenire. In quel tempo i cristiani stessi non ca pivano il cristianesimo, non capivano loro stessi, ma sentivano appena, e molto oscuramente ancora l'amore che è nel cristianesimo. E forse nemmeno l'amore che è nel cristianesimo sentivano i cristiani di allora, tanto diverso appare a noi cristiani estremi il cristianesimo dei pri mi cristiana. E perchè era uomo della fine Luciano era uomo perfetto, liberato dalla «materia» dei sentimenti, puro di storia, mondo di divenire. Di cristianesimo possiamo parlare noi con cognizione di causa, siccome Luciano parlava con perfetta cognizione di causa della paga nità. L'uomo arriva alla per-' fezione quando nulla più lo lega all'ambiente nel quale vive, nè più è implicato nelle cose del suo tempo e sta veramente sopra le cose come un dio. Non è questa forse la ragione dell'odio che Luciano suscito intorno a sè? Questa sua sufficienza? Questa sua libertà — questa sua indi pendenza in mezzo agli schiavi ? Si ha amore, si ha simpatia, si ha compassione (prego considera re «simpatia» e «compassione» con etimologica mente) per Tuo nio superiore sì, ma immerso an cora fino alla gola al pari degli uomini comuni dentro la mate ria della vita : si ha amore, si ha simpatia, si ha compassione per Eschilo, per Dante, per Do6toiewski, per il Beethoven «infangato» dell'Appassionata, della Patetica. L'uomo ama l'uomo che lotta e che soffre. Gli uomini si amano tra loro attraverso la sofferenza. L'uomo vuole pa rita di condizione tra sè e gli altri, almeno nel razionameuto della sofferenza; non per spirita di giustizia — l'equità è la più astratta delle astrazioni e non è possibile (provatevi) parlare di giustizia senza un minimo di montatura — ma perchè la' sofferenza del prossimo dà a credere che il prossimo si è addossato parte della nostra sofferenza, la quale diversamente starebbe tutta sulle nostre spalle. Questa la ragione pure perchè con tanta ingenuità e ignorando in fondo la natura di ciò che chiedono, gli uomini co mimi chiedono agli uomini men tali di essere umani: che vuol dire prendersi addosso il dolore degli altri uomini, e lo scrittore in fondo, a richiesta del pubblico, dovrebbe essere un alleviatore di pene, una specie di uomo-sa lineria. E quale effetto d'altra parte, quale irritante effetto, quale odio, quale invidia vedere tra uomini gravati ciascu no della propria soma, un uo mo che apparentemente non porta peso sulle spalle, non è immerso nel travaglio della vita, non soffre ma vive sulla- superficie (non si considera «allo-ra» se questo vivere sulla superficie è stato conquistato e magari dolorosamente) e respira libero, e si guarda attorno tranquillo, e giudica « senza'partecipare della sofferenza comune», ossia un. Luciano, un Voltaire. Chi assicura però che costoro non hanno peso di sofferenza sulle spalle e dunque non sono umani? Una grande sofferenza è in questi uomini, più dissimulata, più pudica ma più lancinante pure, e forse maggiore della massiccia e patente sofferenza degli altri ; ed è di avere occhi per il passato, occhi chiarissimi, occhi lucidissimi, occhi lungimirantissimi •— quel passato che essi hanno superato e in vetta al quale si stanno come il conquistatore sulla vetta della conquistata posizione — ma di non avere occhi per l'avvenire e di essere ciechi a, quello «che ci aspetta». A un solo patto si acquista perfezione: rinunciando al divenire e accettando la condizione di un piccolo dio: di un dio senza domani. Perfetto era Luciano e per qualità di mente e per posizione storica, poiché egli era salito alla 6orrìma di tutto quanto ave va pensato e operato il mondo antico ; siccome perfetto era Voltaire perche egli pure era salito a sua volta alla somma di tutto quanto aveva pensato e operato il Rinascimento e le sue propaggini ; siccome perfetti ci sentiamo noi perchè noi pure per parte nostra siamo saliti alla somma di quanto hanno pensato e operato i ' tempi successivi al 1793, ossia tutto il così-ricco, e fecondo, e complesso Ottocento. Ma mi s'intenda bene: «perfetto» non è poi una condizione di privilegio da attirarci addosso l'invidia e Votilo,** per di più la-derisione che tocca ai millantatori : perfetto è chi viene a trovarsi alla fine di un periodo storico durante il quale tutti quanti gli uomini hanno operato in una maniera presso che concorde e sono stati guidati dagli stessi principii, e sono stati attratti dagli stessi ideali; e sa vedere il panorama di questo periodo storico, e sa tirare le somme dei suoi vari addendi, e sa trarre profitto dagli insegnamenti che esso periodo dà. Ilche Giara Calamai in « Sorelle Materassi » Lia nota di giovedì scorso ha avuto un seguito: un ampio scritto di Sabino D'Acunto che vorremmo pubblicare integralmente se lo spazio lo concedesse. ,11 problema dei rapporti fra interprete e personaggio e regia è certo appassionante; e il D'Acunto, pienamente concordando con quanto , qui si scrisse, ancora lo amplia. Propone dapprima un'equazione, la quale stabilirebbe i rapporti intercorrenti fra personaggio e interprete simili a quelli esistenti fra soggettista e regista. L'equazione può essere accettata: subordinando Sarò il primo binomio al secondo. rel senso che tutti i problemi dipendenti da personaggio e interprete sono già in nuce nel soggetto: quando il regista accetta quel determinato soggetto, già ne appaiono alla sua intuizione qua li ne dovranno essere i suoi personaggi, e quali difficoltà egli dovrà poi far superare agli interpreti perché quei personaggi diventino una cinematografica realtà. Il D'Acunto, come si è accennato, amplia poi il problema consìaerando le relazioni fra soggettista e regista; e auspicandone un sempre più intimo accordo, fino a fa<r diventare le due persone una sola. Ciò è già accaduto, se pure eccezionalmente; ma con quasi sempre eccezionali risultati, eccellenti e convincenti. Si potrebbe ancora una volta citare il venerando e annoso parallelo fra librettista e musicista; e, anche per quello, non si potrebbe certo stabilire una regola. Piuttosto, tornerebbe opportuno il ricordo di scrittori, anche celebrati, che si dichiaravano privi di «fantasia», e sovente se ne angustiavano; e per i loro racconti e i loro romanzi frugavano accanitamente cronache e cronache, dalle più antiche alle ■ più recenti, onde trovarne congeniali «soggetti». Perchè il vero problema è tutto nell'animo con il quale il regista respinge o accoglie un determinato spunto. Se quel regista è un uomo della tecnica e del mestiere, e di quelli soltanto, su per giù un soggetto, per lui, varrà un altro, pur che gli offra una vicenda folta di casi e di.sorprese (o presunta falci: se quel regista è invece un artista, e deve allora seguire il suo teviperamento, saranno da

Persone citate: Beethoven, D'acunto, La Morte, Peregrino, Sabino D'acunto