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fiati* è* daa&ù ahJCJUJbejbtLt fiati* è* daa&ù ahJCJUJbejbtLt Fora proprio perchè l'architettura, in questa necessaria stasi del costruire, riposa come azion pratica, forse proprio per questo più d'un architetto sente il bisogno di tirare i remi in barca per fare il punto della navigazione. Dove va, cosa fa, a che tende, quali risultati definitivi ha dato questa benedetta architettura -1 d'oggi > tanto lodata propugnata discussa ? Strano: tre architetti, di tendenze moderne se pur di gusti diversissimi, si guardano intorno, pensano all'avvenire, a quando, finita la guerra, ci sarà da superare una formidabile crisi edilizia e da affrontare il grave problema di riedificare interi quartieri cittadini, e tutti e tre — costruttori insigni, tecnici espertissimi, teorici valenti — giungono press'a poco alla stessa conclusione: nel ventennio della 'battaglia più viva per l'architettura moderna, per l'architettura nuova, per l'architettura funzionale, sono sorti degli orribili edifici. Ha scritto Marcello Piacentini: «Che l'architettura delle case di abitazione come si costruiscono oggi non soddisfi nessuno, è cosa ormai accertata 1. Ha scritto Gio Ponti : « Noi abbiamo oggi simultaneamente della buona architettura ed una edilizia stupida». Ha scritto Enrico Del Debbio, il quale può anche parlare a nome del Sindacato Architetti : «Chi'ha osservato lo svilupparsi sempre crescente dei nuovi quartieri ed ha analizzato il modo di costruire edifici e di tagliare strade, deve essere cer' tamente convinto che mai nel tempo trascorso si era verificato un fenomeno così desolante nei confronti dell'armonia, nei rap porti ambientali e dell'estetica delle città». Parole dure, parole severissime; alle quali s'aggiunge la condanna senza appello pronunziata da 6. U. Arata nel suo recente volume Costruzioni e prò getti: «Le realizzazioni purtrop • po sono rare ; e pochi sono coloro che hanno saputo contenere la nuova architettura nel grande quadro delle concezioni architettoniche vere e proprie : mentre è innumerevole la schiera degli abborracciatori d'occasione e grandissima la profluvio dei dilettanti profittatori che puntano e giuocano sulla dabbenaggine dei più ». Insomma, nel suo complesso, un triste panorama quello che ci presenta l'architettura moderna. Fi' un vero e proprio mea ..culpa? No. Se oggi si fa della brutta architettura la colpa non è degli architetti. L'hanno dichiarato Piacentini, Ponti, Del Debbio, e conviene inchinarsi alla loro autorità. Noi però continuiamo a vedere in giro, per le vie e per le piazze, sn pei colli e lungo le riviere, delle cose orrende, e domandiamo: ÌSo la colpa non è degli architetti, sarà forse della architettura? — con ciò intendendo distinguere : non dei singoli architetti che obbediscono a un determinato stile, ma d'uua architettura in genere che è la espressione di quello stile? Nep•• pur questo. La colpa è, per Piacentini, dell'epoca, del tempo in cui viviamo, del peso, del predominio che oggi hanno le masse. Per Ponti e per Del Dsbbio la colpa è dell'edilizia, cioè dei correnti e quasi sempre incapaci «fornitori» di edifici. In un caso e nell'altro gli architetti autentici (quelli, in definitiva, che in tutte le età hanno improntato il gusto e stabilito il livello artietico di una data architettura; quelli che, nel caso nostro, hanno creato gli esempi — per quanto limitati di numero possano essere — da cui dovrebbe derivare un'attuale bellezza architettonica, diffusa e duratura) sonò al di sopra della mischia come d'ogni sospetto, rari signori in una banda di screanzati. Il «distinguo» vi persuade? L'alibi vi convince? Che cosa si poteva noi fare — noi architetti che sappiamo il fat to nostro — contro la paurosa marea dei pessimi costruttori anonimi e degli speculatori, non contenuta certo dall'incompetenza degli uffici tecnici? domanda angosciato il Ponti. Noi abbiamo alzato edifici eccellenti, alberghi, cliniche, aeroporti, stadi, case popolari, case signorili, palazzi scolastici, palazzi per uffici, colonie, padiglioni per mostre, ville ospedali, portino essi le firme di Piacentini o di Pagano, di Muzio o di Ridolfi, di Libera o di Michelucci, di Moretti o di Vietti.. Abbiamo fornito degli edificitipo ai quali si sarebbe dovuto guardare come a modelli. La cattiva edilizia invece non ci ha seguiti : « così il novantacinque per cento delle costruzioni moderne ignobile. Quante case di' Muzio a Milano? Quattro o cinque. Quan te di Ridolfi a Roma? Due. In un punto — continua il Ponti noi architetti abbiamo mancato • dobbiamo coraggiosamente confessarlo: abbiamo mancato non di intervento personale, ma di intervento scolasticamente costruttivo ; abbiamo dato opere ed esempi, e non abbiamo saputo dare quei canoni e quelle leggi che soccorressero la massa dell'edilizia. N Ecco: Gio. Ponti ha ragione capto volte ragione, d'accusare la edilizia di troppi misfatti, e di rigrnoalrichEarcadadochgidilede■ Fgiungnziceaedsutadqacha m«XntanvMticimntrce dlifiatRsdunSPdtpscgrlpbpssdplrsnficsnatBscmapccrqflmmcralztsnv o e o e i i » ? — a a o , e zi i di to teer a n n o nn di oed to gi ee la di riconoscere che un'assistenza programmatica e culturale, non meno che tecnica, ha fatto difetto alla maggior parte dei costruttori. Tutto sta nell'accordarsi in che consista questa a assistenza ». Egli afferma: «Ai costruttori la architettura antica dava testi, canoni' formali e dimensionali, dava una scuola, una disciplina: donde quello standard >che si chiama stile»; e lamenta che oggi quei testi e quei canoni non disciplinino, adatti al nostro stile, gli sviluppi enormi del moderno costruire., ■ Davvero? Per un Alberti o un Filarete, un Francesco di Giorgio Martini o un Fra Giocondo, un Cesariano o un Serlio, un Vignoli, un Palladio, uno Scamozzi, fra il Quattrocento e il Seicento ; per alcuni trattati De re aedificatoria o Detti cinque ordini, quante dozzine di volumi sull'architettura moderna, minutamente documentati e stupendamente illustrati, sono usciti in questo ventennio? Dove, per gli antichi, le riviste mensili, da Architettura a Casabella, da Domus Moderne Bau/ormen, da Stile a L'architecture vivante, avidamente sfogliate dagli architetti «provveduti»? Dove, nel secolo XV o XVI, un Ponti ad ammonire, a consigliare, ad incitare tanto efficacemente dalle colonne di un grande quotidiano ? Certo l'architettura antica dava testi canoni scuola disciplina. Ma è proprio persuaso Gio Ponti che non li fornisse anzitutto con esempi stilisticamente tanto imperiosi che il gusto universale non poteva sottrarvisi, e che i trattati stessi finivano a codificare quello stile nato da potenti e originali fantasie? Praticacela, d'accordo, i nove decimi dell'edilizia attuale, nelle mani dei goffi orecchianti gli ottimi modelli accennati dal Ponti : volgare imitazione, e quindi degenerazione. Resta tuttavia il dubbio se non sia più facile imitare lo spigolo d'incontro fra un nudo muro e un tetto piatto, che non il cornicione del Cronaca di Palazzo Strozzi. Ci sembra che lo stesso Piacentini aiuti tal dubbio quando scrive: «Anche nell'Ottocento le case' erano tutte basate su partiti stereotipati, su false-righe supinamente seguite, ma la necessità di saper disegnare e; bugne e finestre e cornicioni e paraste obbligava quasi ' sempre l'intervento dell'architetto. Ecco perchè la via dell'Ottocento, pur banale e incolore, è pur sempre più corretta e inoffensiva ». Disegno? E "se alla parola sostituissimo fantasia, o almeno tentativo di fantasia? Ma se l'architettura moderna può aver talora amaramente deluso chi ne attendeva un rifiorire dei secoli d'oro, la colpa — secondo Marcello Piacentini — non è soltanto dell'edilizia insufficiente: è soprattutto della necessità di dover servire masse sempre più vaste d'uomini che non possono più vivere (nè se ne accontenterebbero) come i contemporanei di Michelozzo del Bernini. Sapete a che cosa corrisponde, come cubo abitabile, il così detto più bel palazzo del mondo, Palazzo Farnese, che, alto circa trenta metri, ha tre piani e trentotto finestre? A un casone moderno d'otto piani con centotrentaciuque finestre. Il paragone è del Piacentini stesso ; il quale si domanda «che cosa può fare un povero architetto al quale viene commesso un casone » simile. Non c'è da invocare Bramante nè Sangallo — egli assicura — : «farebbero brutta figura pure loro»". Non contestiamo: anche se, per numero di finestre le Procuratie Vecchie non scher zano ; anche se non tutta l'archi tettura moderna è fatta di «casoni », ma pur di case d'abitazione non più grandi, poniamo, di Palazzo Rucellai, di ville non più vaste della Rotonda, di mercati non più spaziosi della Loggia di Mercato Nuovo, d'edifici pubblici non più capaci del Palazzo Pretorio di Lucca. Il fatto è — sostiene l'ideatore della Piazza di Brescia e della Città Universitaria — che il segreto per' rendere accettàbile l'edilizia d'oggi va ricercato nella nuovissima disciplina che si chiama Urbanistica, che «racchiude e include ogni altra disciplina, dall'etica all'estetica, dala politica alla sociologia, dal-' l'igiene alla funzionalità, dall'economia alla tecnica ». Non più, dunque, l'edificio considerato in sè; ma il quartiere; e domani, forse, addirittura la città. Non iù la stretta strada antica dove palazzi signorili s'allineavano come quadri famosi d'una principesca galleria, ma quartieri ariosi, luminosissimi, comodi, pratici, economici, ricchi di viali giardini campi-di gioco, belli per il loro stesso tracciato, «dove l'è dificio non sia che un fattore nel quadro generale, come fattori sono pure gli alberi, le piante, i fiori, gli orti, le fontane». Noi dovremo perciò abituarci a questo trapasso dall'unità al complesso, a «non vedere ed esaminare un edificio come un'opera a se stante, e giudicarne i suoi intrinseci meriti o condannarlo per i demeriti; ma ad abbracciare il d(erevadbdreve«duchtesegre chl'fanmCrpcodtrmsavilfichimedpsapcqGvdsaaCcltvruntUdccsdgrltuvfldr

Luoghi citati: Brescia, Lucca, Milano, Roma