| L'orgoglio di Leonora

| L'orgoglio di Leonora | L'orgoglio di Leonora ritmo con un suo estro contenuto, ora l'ima ora l'altra delle scarpette, che deformi e malconce mostravano tuttavia i segni d'uii'antica verniciatura di coppale. Tutta l'atmosfera, da più giorni, era fradicia e stillante come umido sotterraneo e del cielo non era rimasto più neanche il ricordo. J/eonora si moveva tra il fango con la stessa disinvoltura con cui una ballerina avrebbe fatto i suoi paspi d'approccio sulle tavole asciutte d'un palcoscenico, tra i fasci mobili dei riflettori. Ma dimenticava ogni tanto di stendere la mano ai passanti, per guardarsi le punte delle sue scarpe. E mi da quelle sue scarpette le venivano alla calda fantasia mille sogni di dama, più ricchi di luce e di morbidezza di tutte le vetrine a cui il suo avido sguardo, in quei pellegrinaggi elemosinanti, s'era fermato: mobili, stoffe di lusso, abiti e biancheria leggeri come nuvolette e vistosi come cieli di seta colorati, borse o valige, e quelle automobili fiammanti di vernice, in cui le donne, vestite con quei tali abiti e in mezzo a que le valige, si adagiano per lunghi incantevoli viaggi. Leonora girava ancora per le strade, sebbene sapesse ch'era tempo di ritornar a casa: la picchiavano, se ritardava. Ma quella mattina ella sognava e aveva meno voglia ancora degli altri giorni di rientrare nel suo tugurio; preferiva il fango, le strade appiccicose, la pioggerella che, attraverso gli stracci leggeri, le bagnava la pelle e la intirizziva.! Anche i soldi raggranellati erano pociii; nessun fortunato in-1 contro aveva fatto quella mattina, nessuno le aveva messo in mano pezzi d'una lira o di due. Anche per questo magro «lavoro» l'avrebbero picchiata. Più d'una volta Leonora era fuggita; e le balenava di fuggire anche quel giorno, ma la tratteneva il disgusto di capitare, come sempre, nelle mani dei questurini che la riconsegnavano a sua madre. A un passo elegante che fece, rialzandosi con molta grazia lo strascico, si sentì prenderò per le spalle e fermare. — Sei qua, monella? Gli occhi neri di Leonora si levarono di scatto, tempestosi verso la persona che l'aveva arrestata nei suoi sogni danzanti. «Chi t'ha chiesto nulla?», volle rimbeccare sdegnosa; ma il folgorlo dei suoi occhi si mitiga di colpo e le mie labbra sorrisero con dolcezza. — Non siete partita, signora? — Sì, ma sono anche ritornata. E tu? Come hai fatto in così poco tempo a ridurti di nuovo tutta stracciona? Leonora, piegando le labbra sorridenti a una smorfia di sdegno, rispose : — Mia madre ha venduto i vestiti. La giovine signora oon cui la piccola mendicante parlava, era una donna di molta eleganza, sobria e originale. 1 capelli fulvi, di sotto al tocco capriccioso, facevano viva aureola intorno a una faccia più simpatica che bella, aperta ai sentimenti generosi, e mobilissima d'espressione. — Ma i capelli, che t'avevo raccomandato di pettinare ogni mattina? E il visuccio, te lo sei lavato? — Oh, Signora, venite, venite a vedere a casa mia., se si può fare come voi credete. Siamo in sette, in una stanza che 6erve per tutto e l'acqua bisogna andarla a prendere e non c'è posto nean- -che-pcr respirare. E poi busse, 6apete, guardate qui. Leonora tirò su una manica, e il braccino nudo apparve pieno di lividi e ammaccature. — E vedeste la schiena ! — Ma subito ridendo e passando a un tono volubile, sollevò un piede: — Guardate le belle scarpette che ho ! — Quasi volesse farsi perdonare i capelli arruffati, il viso sporco e l'abito a sbrendoli. — Ma sono due volte il tuo piedino. Chi te l'ha date? Leonora abbassò il viso e tacque : era offesa ; non poteva sopportare che si disprezzassero le sue scarpe. Ora vedeva, sì. ch'erano più grandi del suo piede, ma anche i suoi sogni erano svaniti. Quella donna, che in quel momento ella odiava, le aveva rapito cou l'indifferenza di poche parole cattive il calore che le scaldava il petto. Ora sentiva freddo, l'umidità dell'aria le penetrava nelle ossa : capiva che doveva ritornar a casa, nel suo maledetto tugurio. Un improvviso morso sotto il cuore l'avvertì che aveva fame. — Vuoi venire con me, Leonora? Scommetto che non hai ancora mangiato; sei così pallida. Ti sei arrabbiata, perchè ti ho detto che non ini piacevano le tue scarpe? Vieni, andiamo a comperare un paio di scarpino adatte per te e poi voglio rifarti tutta nuova. La donna con quella sua voce calda affascinava Leonora. Fu così che Leonora a fuggì», quel o-iorno, sotto un riparo sicuro: non temeva di cader più nelle mani dei questurini ; sarebbe stata protetta dalla signora, dalla bella e ricca signora. Un sole cOectllrtpfdlrdlfdbsmbssnsI^onora, salvando dal fango il islembo più lungo della sottanajdsbrindellata, avanzava in ~ Miiitlititl>rriiiiiiiiiiiiiiii»iiiiitillllilil>llllliliiitlil]ilil iatiiillllaililltllliilltliiiiitajilliililiiiaiiiiitjiiiiiiiiiiitii»iti caute, quando s'avviò al fianco ter mano della sua protettrice. Ora danzava davvero; il sogno era realtà; tutte le vetrine che conosceva, le parvero sue, a portata dei suoi desideri. * * — Leonora, vieni qua; saluta la Tilde. Ma Leonora dura, ferma nell'angolo tra porta e porta, non rispondeva. La Tilde se ne andò gaiamente, dopo aver baciato la zia, e passando vicino a Leonora fece finta di non accorgersi di lei ne del suo rancore. Leonora le spulò sull'abito. Quando furono sole e la signora gridò: nsono stanca di te e dei tuoi capricci », Leonora con la testa caparbiamente china si fece avanti. Nei quindici giorni da che si trovava in casa della benefattrice, era diventata all'aspetto un'altra: nessuno avrebbe potuto riconoscere in lei la monella tredicenne che vagabondava elemosinando per le strade. Eppure dentro quei vestiti per bene il corpicino di Leonora sembrava mortificato « di sotto ai capelli pettinati e lisci rihasevasplendido di felicità raggiava jil dagli occhi della piccola mcndi chdenipuvogimsfnonchcaletochsudoufipscstbsam DALL'EPISTOLARIO MAZZINIANO Adelaide Mameli Zoagli I na A marchesa Adelaide Zoagli, flo- I re delicato e gentile, discenden fc te da due fra le più nobili antiche famiglie genovesi, quella dei Lomellini e dei Zoagli, e soprattutto nota per aver dato vita all'aedo del nostro Risorgimento Goffredo Mameli e per i suoi alti sensi patriottici. Nessuno mai sospettò quanto la sua vita fu cosparsa di triboli e con quale animo ella sopportò le sventure da cui fu colpita, senza mal lasciar trapelare le cause di una si grande infelicità. Nel lontano 1927, dettando la vita del suo glorioso figliolo, mi sembrò opportuno accennare soltanto discretamente alle sue disavventure matrimoniali; riserbo che fu allora anche male interpretato, tanto sembrò straordinario quanto le accadde; e incredibile sembrerebbe in verità, se ciò che avvenne non fosse provato da una inconfutabile documentazione che, facendoci penetrare nella sua vita intima ce la fa ammirare ed amare di più. Sposò un nobile... A soli dodici anni la marchesina Adelina (come era chiamata dai suoi famigliari) ebbe la ventura di essere conosciuta ed amata da un coetaneo e compagno di giuochi e di ricambiarne la simpatia; ad esso rimase poi legata per tutta la vita da un purissimo affetto, che temperò l'acerbità delle sue sventure. Questo piccolo compagno era Giuseppe M'azzini, jil quale nel 1854 nelle Memorie:dettate ad un patriota toscano, Piero Cironi a lei accennò con le seguenti parole: « Non v'è un amore nella mia infanzia. Ebbi delle frenesie per la madre di Goffredo Mameli, e quando si maritò ne sentii sdegno, nel quale si mescolava anche un po' di spirito di partito, perché sposava un nobile ». Il nobile era il luogotenente di marina Giorgio Mameli dei Mannelli di nobiltà cagliaritana molto recente, sposato da Adele sul finire del 1S25. Il discreto accenno del Mazzini a questa simpatia di ragazzo, indusse Federico Donaver nella vita da lui scritta su; Genovese ad affermare: «La mar-, chesina Adele ebbe le sue frene-\ sie. Erano coetanei, si conobbero fanciulli e i-i fu certo fra loro un po' d'amoietto, non so se corrisposto dalla marchesina. Sebbene egli parli solo di frenesie, io suppongo che il Mazzini sentisse qualcosa di più per quella giovinetta, se è vero quanto scrisse nelle sue Memorie al Cironi, che piovo sdegno quando ella andò sposa al marchese (slr) Giorgio Mameli. Io penso che il giovane avvocato (recte: studente) amasse alloia la signora Adelaide e vagheggiasse nel suo cuore di sposarla; poiché nell'intimo della sua anima egli accarezzava l'ideale di una famiglia propria, di una sposa adorata, delle bionde testine di bimbi; onde lo sdegno di saperla d'altri. ria risentita. IE' questa la gratitudine clic hai per chi ti fa del bene? Così: selvatica, cattiva... — continua- va a rimproverarla la signora, eonora itiii»iiiii<iiiiitfiiiiiiliiiriiiiitiiitiiiiiiiifiii*iiiiiiiiiii»T il suo visuccio pulito aveva un'ache non sapeva però trattener del tutto il riso, nel vedersi ve- nir avanti la bambina nò com-1punta nò imbarazzata, ma coljvolto oscuro e pieno di lampeg giaiiienti, che di momento in mo jmento poteva drizzarsi in uno sfogo di gelosia. Da qualche giorno ella era sopraffatta dalle scenate ili gelosia della bambina, chela seccavano e la divertivano. I— Voi m'avete presa per un capriccio. Non è vero che mi vo-jleto bene — esclamò ad un trat- to Leonora, con la testa sempre china, ma rialzando le palpebre sugli occhi esasperati e guardati-'do la signora di sotto in su con;un fuoco d'odio. La signora fu colpita dal significato di quello parole; era troppo intelligente per non sentirsi scoperta davanti a se stessa dalla straordinaria intuizione della bambina. Ma volle portare all'esasperazione l'animo di questa. — E allora, perchè rimani con me, in questa casa? Leonora drizzò il viso e con

Persone citate: Adelaide Mameli, Federico Donaver, Giorgio Mameli, Goffredo Mameli, Mameli, Mazzini, Piero Cironi, Signora

Luoghi citati: Zoagli