Quando si cenava alle cinque... di Antonio Antonucci

Quando si cenava alle cinque... Quando si cenava alle cinque... Tredici a tavola Ai tempi del Raiberti si cenava alle cinque: aristocrazia, burocrazia, possidenti, negozianti, professionisti, artisti erano tutti d'accordo nel fare economia di luce artificiale — « gas, idrogene liquido, stearina, rispettabile cera > o miserabile sego —, i negozi chiudevano alle quattro e la gente dabbene poteva coricarsi ad un'ora onesta, con la digestione avvenuta, seguendo all'incirca il corso del sole per balzar fuori dalle coperte. Secondo l'Oriente religioso filosofico o magico, sarebbe questo uno dei pilastri su i quali riposa la felicita umana, e non è vero per niente: anche ai tempi del Raiberti la felicità era una fiammella incerta e di carattere personale, e chi non poteva meglio si amareggiava con ubbie, fino ad accusare la strada del Sempione di avere « spalancato ai venti fred- Ui> un'« orrìbile nnestraccia> che i metteva a soqquadro le stagioni Moltissimi, poi, soffrivano per < la moderna architettura senza scopo nè carattere >, dalle « facciate piene di eleganze frivole e assurde >. Quei "d allora soffrivano inoltre il freddo perchè a « parlare di stufe sotterranee diramanti vene calorifere a un'intera casa è come discorrer di costumi cinesi > ma noi sappiamo, per esperienza diretta, che l'infelicità umana può anche dipendere dal riscaldamento centrale. A parte i rivolgimenti politici di carattere territoriale, c'era poi una paura matta per il socialismo, pur ammettendo che la plebi; avesse « un bel da fare a cavarsi la fame quotidiana > ma non facendo nulla per migliorarne le condizioni. Ho scritto plebe e non popolo, giacché con quest'ultimo termine l'autore vuol indicare la classe di « mezzana fortuna », alla quale bisogna riconoscere non pochi meriti, benché costretta in una età prosaica e poltrona. Cosi afferma almeno il Rajberti nell'affrontare il problema del « tredici a tavola », spettro eliminato oggi dalle particolari contingenze. Sembra difatti che pur allora la croce del matrimonio fosse troppo pesante per un uomo solo, e che qualche « cireneo > si offrisse di buon animo, alla chetichella o tollerato: e, come le parigine di Alfonso Karr, si garantivano « un po' di adulterio per i giorni di pioggia », qualche astuta * popolana » costretta a dar pranzi, si premuniva contro il numero tredici tenendo a disposizione il proprio amante come soccorso d'urgenza per arrivare a ltra delizia del palato", anzi <de quattordici. Ed -egli passeggiava su e giù per la strada, mezz'oretta, se non più, finché non era scongiurato il pericolo di ospiti improvvisi o dì qualche defezione all'ultimo momento. < Età prosaica e poltrona — scriveva allora il Rajberti — che non lo obbliga più a correre armato a battersi col cavalieri erranti per provare che la sua dama è il più eletto fiore di bellezza e di virtù », e un miglioramento, invece, dell'intelligenza media, perchè se 1 figli maschi dell'uomo sono pur destinati a farsi del male con armi, il vederne chiaramente le cause non guasterebbe. Andava per il mondo il cavalier antico, con elmo scudo e corazza, poltrone a sua volta perchè a camminare era sempre il cavallo, finché scorto un collega--lo investiva per assicurargli che la sua dama, cosi e cosi, aveva guancie di giglio, bocca di rosa, capelli di seta, due stelle per occhi e nessun'altra le stava al paro. L'avversario che non la conosceva nemmeno dr-vistsr-gli- gridava contro che non era vero, e giù botte, finché uno non precipitava di sella e il vincitore, con un occhio penzoloni, le carni ammaccate e 11 fiato stracco, riceveva dalla sua bella quel bacio che si chiamava « guiderdone » ma era sempre la stessa cosa. A parte ciò, il mondo di allora non differiva molto dal nostro, se l'autore apprezza e consiglia la dissimulazione, la quale starebbe alla verità « come le vesti al nudo », che è facile a figurarsi e sconveniente a vedersi ». Non capisco però come mai, dopo tale premessa, egli detesti ripocrisia, che è la stessa dissimulazione con il titolo di eccellenza. Patto si è che egli classifica saggio 11 discorrere nei conviti « del tempo che fa... specie in un circolo dove non si conoscono bene 1 sentimenti dei singoli ». Una delizia: il minestrone Vita difficile, dunque, anche cent'anni fa, e valga l'accenno per chi piange sul passato. C'era però l'attenuante di considerare la cucina come colei « che diede vita a tutte le scienze, a tutte le arti, a tutte le cose buone e belle di questo mondo ». < Il gusto per le squisite bevande » portava al « senso dell'ordine e del buon servizio », all'* amore dell'eleganza e delle confortevoli comodità del vivere dolce ». La certezza di tutto ciò suggerisce all'autore un curioso innesto di forza vitale all'aristocrazia, attraverso il minestrone « delizia ineffabile, riservata ai ventricoli omerici della gente alla buona », con il condimento obbligatorio del lardo, detestato invece dagli aristocratici e « da taluni plebei rifatti, per affettazione di gusto schizzinoso ». Tale innesto diventava tuttavia impossibile perchè i francesi il minestrone non sapevano farlo e non potevano quindi immetterlo tra gli usi snobistici da esportare; cosi l'aristocrazia, perdette una probabilità di salvezza. Lo stesso guaio riguardava le polpette, al- « Maiolica! » Per non chiudere con un argomento cosi serio, accennerò ad altri parucolari che ci fan sembrare u secolo'come non trascorso, eccettuati « 1 pranzi del capi ameni, della giocondità sincera, della libera ciarla, delle lunghe risate »: e cioè, l'esistenza del creditore violento, privo di carità cristiana nei confronti delle sue vittime; la diflBcoltà ài scegliersi un buon si garo Virginia «tra tanti cattK vi»; «Illustrissimi» che se «fan tanto di essere bestie» lo sono «in grado sublime»; 1 bambini a tavola « non trincerati », tra 1 parenti; le padrone di casa con specifici infallibili per togliere le macchie d'unto, mentre più ce ne metti e più dilagano; e il malvezzo, Infine, del parlar sboccacciato, colpa delle signore perchè molte « si permettono di ridere, non fosse altro, per non aver l'aria di selvatiche o di bacchettone» invece di chiudersi « in quel contegno glaciale che fa morir le parole in bocca al più audace ». Su tale capitolo, però, il passare di un secolo qualche divario l'ha portato: allora, in slmili circostanze, se c'era qualche fanciulla ingenua, qualcuno gridava « mnjolica. », allarme caduto in disuso, sicché oggi la majolica rischia di andare ih pezzi prima dei tempo. Antonio Antonucci ALESSANDRIA Hanno consegnato centomila lira al Federale, i camerati Cesare Borgoglio e Giovanni Balza, industriali delia nostra città, perchè vengano distribuite in beneficenza*

Persone citate: Alfonso Karr, Cesare Borgoglio

Luoghi citati: Alessandria