«Incompatibilità di carattere» di Francesco Argenta

«Incompatibilità di carattere» «Incompatibilità di carattere» J7 codice della vita coniugale Ubbie talvolta, ma spesso una tragica realtà - La formula, comunque, non è stata coniata dai moderni sociologi: è in circolazione dal tempo di Adamo « La formula dell'incompatibilità di carattere — ha detto ancora di recente la Cassazione — non implica affatto il riconoscimento di colpe reciproche o equivalenti, ma prescìnde dalla ricerca della colpa ». E poiché dottrina e giurisprudenza si accordano nel ritenere che sia indispensabile l'elemento della colpa per dare diritto a chiedere là separazione giudiziale, ecco che la vieta formula in cui .ti compendiano convenzionalmente, ma con intento largamente eufemistico, tutti i cocenti disinganni, gli aperti dissensi, i drammatici contrasti delle unioni male assortite, non è idonea, di per sè. a configurare qfiella situazione di fatto sulla cui realtà può trovare applicazione il diritto. Ma non è stato sempre così e non è, tuttora, così dappertutto. Il catechismo di Tomasio ! Del resto — e può sembrare pa radossale — la formula alla quale le moderne legislazioni han fatto largo nel dettare le regole per lo scioglimento del matrimonio, an che là dove lo scioglimento non è abbandonato al semplice consenso dei coniugi, non è nata dalla serpeggiante nevi-osi dei tempi moderni, non è stata coniata dai sociologi e dagli psicologi dei tem pi moderni. Era in circolazione da secoli allorché i legislatori moderni l'hanno incasellata con tanto ri guardo nei loro sistemi. Cristiano Tomasio — sono, ormai, più di due secoli — poneva in primo piano la incompatibilità di carattere per la soluzione del vincolo ma trimoniale. In antitesi quasi assoluta con le consuetudini umane e col diritto civile di quasi tutti i paesi, egli aveva ricavato dalla logica un diritto naturale in virtù del quale « non è di essenza del matrimonio che la moglie sia obbligata di serbare la fede al marito; nè che ella si obblighi a eoa bitare continuamente con lui; nè che il marito sia per natura il capo della famiglia; nè che il marito abbia alcuna potestà sulla moglie, ancor quando ella si obbligasse a dargli l'esclusivo possesso di sè; perocché il -natrimonio viene dall'amore, il quale non implica questa potestà, ed è perciò società di uguaglianza assoluta ». Ne conseguiva,' secondo il catechismo matrimoniale di Tomasio, che il matrimonio è per sè dissolubile; una volta conseguito il fine — la generazione della prole —, l'un coniugi ha facoltà di sciogliersi dal maiXmonio anche senza il consenso Dall'altro; non solo, ma sono causa di scioglimento, colla incompatibilità di carattere, l'abbandono del coniuge, la sterilità, la durezza dei costumi, i maltrattamenti, che, In tutti questi casi, ripugna al diritto naturale la cosiddetta separazione di corpo — mensae torlqsie — fermo restando il vincolo coniu Adamo e Lilith Allorché vennero divulgate (fu a Magdeburgo, nel 1730), le dottrine di Tomasio furono giudicate nugae academicae. Oggi sono una realtà o un dogma che sostanzia e pervade la legislazione matrimoniale di molti paesi. Senonchè la teorica dell'incompatibilità f'i carattere enunciata da Tomasio non era una novità neppure per quel tempi. La formula aveva già trionfato, aveva già trovato applicazione larghissima in passato Se si ha da credere ad una nuovissima interpretazione della Genesi, sarebbe stato Adamo a lanciarla, che neppure l'unione fiorita nel paradiso terrestre sarebbe riuscita perfetta e la storia della separazione personale dovrebbe rifarsi proprio da quella per rintracciare lo spunto sul quale si è poi dipanata. Il vecchio Adamo, infatti, secondo cotesta nuovissima interpretazione, non avrebbe avuto una, ma due compagne o spose, ed Eva, la madre dell'umanità, sarebbe stata la seconda delle due spose, In quanto la sua unione con Adamo sarebbe avvenuta dopo che questi si era separato o aveva divorziato da Lilith, il « demone della seduzione », come la chiama la Uabbala. guanto sia attendibile questa modificazione dell' interpretazione del testo sacro che alla suggestività dei richiami mescola un curioso sapore di scandalo, è difficile dire. Ma gli Interpreti la gabellano per esatta e non c'è che da affidarci alla loro serietà ed alla loro sapienza. Del resto, la disputa intorno alla * prima mo glie di Adamo » è antichissima e para a non dividere mai in comune il capitale tuo, che serve tutto sano a te e agli altri meglio assai che se lo sbricioli in parti uguali. E la saggezza sta nel saperselo amministrare per sè e per il prossimo senza avarizia e con un po' di talento. Poi, contenti e riscaldati, accanto accanto seguitarono la strada con quei mantelli a strapiombo simili a due campane precipitate dal campanile. Roberto Bartolozzì gli esegeti che recentemente l'hanno riaperta e van piccandosi di averla risolta, se han preso le mosse, nella loro rielaborazione delle interpretazioni passate, dat risultati degli scavi recentemente eseguiti a Ur, la città della Caldea ove ebbero 1 natali Abramo e Tare, si sono rigorosamente attenuti alla lettera del sacro testo nel giungere alla sensazionale conclu- sione cui sono arrivati. Nel primo capitolo della Gene.it si dice che Dio creò l'uomo e la donna. Nel secondo capitolo si racconta che dopo aver collocato l'uomo nell'Eden, Iddio non volle che vivesse da solo e, dopo aver creato gli animali e constatato che la loro compagnia non corrispondeva allo scopo, immerse Adamo in un sonno profondo, gli tolse una costola e con questa diede vita ad Eva. Ed ecco, secondo gli esegeti, che Liiith sarebbe la donna di cui si parla nel primo capitolo, Eva quella di cui si parla nell'altro. Ma la novità interpretativa non è tutta in questo. Sta, soprattutto, nella duplicità cronologica e spaziale degli episodi, sta nelle tempestose vicende che portarono alla separazione di Adamo e di Lilith. Ed ecco, sempre secondo gli interpreti, come sarebbero andate le cose. Separati ! Quando Iddio creò i primi esemplari della specie umana, 11 congiunse dorso a dorso, come i fratelli siamesi. Ma questo estremo ravvicinamento fisico, invece di legare gli animi, li divise. Gli urti erano di ogni istante; i dissensi perenni, profondi. Il Signore decise così di separarli, affinchè i due esseri vivessero felici. Ma i dissensi perdurarono oltre la separazione dei corpi. Adamo e Lilith erano dotati di caratteri opposti: l'uno il rovescio dell'altro; l'accordo non era possibile; nessuna tregua era da attendersi nella sorda lotta che 11 metteva l'uno contro l'altra. Fu prima Lilith a stancarsi di questo continuo altercare che trasformava in una vita di inferno il soggiorno nell'Eden? Gli interpreti dei testi biblici dicono di sì, ed è probabile che l'iniziativa della separazione sia partita dalla donna. Accade anche oggi, tanti millenni dopo, che la moglie prevenga o preceda il marito nell'invocare lo scioglimento del vincolo che li rattiene ed unisce. Del resto, la situazione non aveva alternative, non offriva possibilità di compromessi. L'incompatibilità di carattere era aperta piena insanabile. Proprio come dicono i sociologi di oggidì: quando l'incompatibilità intellettuale e morale di due esseri è patente ed inarginablle, la continua- ctvzione della società coniugale non | farebbe solo violenza alle affezioni,personali, ma condurrebbe ad atti' di vera immoralità: quando le anime sono separate, è d'uopo che l corpi lo siano del pari, e completamente! Non c'erano tribunali cui appellarsi e Lilith, nella sua disperazione, invocò il demonio e subito sentì che le spuntavano delle ali che le permisero di volare via dall'Eden. Adamo, che aveva fiancheggiato ed appoggiato, con una passività maliziosamente ridondante d'attesa, l'iniziativa di Lilith (lo stesso accade oggi per 1 mariti che sono evocati dinanzi ai giudici: accennano a dolersi dell'istanza di separazione della moglie, ma han timore che essa si areni o non abbia a seguire, comunque, il suo corso), finì col sentire' il peso della solitudine e coll'amareggiarsl per l'abbandono di Lilith. Nella sua sconfinata misericordia, Iddio si commosse al lagni di Adamo e mandò uno stuolo d'angeli a persuadere Lilith perchè facesse ritorno nell'Eden. Ma la donna rifiutò di tornare sotto il dominio di Adamo. E, anzi, considerandosi più che separata, divorziata da lui, si unì al demone Samuel, diventando quindi la « regina dei demoni » e, nel tempo stesso, la più romantica e perditrice delle amanti. Sulla scena dell' Eden ella doveva ricomparire più tardi, ma rivestita delle spoglie del serpente per indurre l'antico compagno a cogliere il frutto che doveva inesorabilmente dannarlo. Ed era la vendetta, perfida e sottile, della donna che non abbiamo saputo comprendere, che siamo stati incapaci di amare! Per non esser spergiuro Più che di una ricostruzione fondata sull'esegesi, la nuovissima interpretazione dei testi biblici ha il sapore di un apologo. E l'apologo è, il più delle volte, parente stretto della leggenda. Ma ] non è leggenda la larga e spropo-! sitata applicazione che dell'abusata formula dell'incompatibilità di carattere hanno fatto gli antichi romani attraverso la separazione, che era detta, appunto, divurtiuni vel a diversitate mentitivi, vel quia in diversas partes eunt qui distrnhunt matrimonili»!... Scopo essenziale delle nozze, secondo i primi romani, era ritenuta la procreazione della prole, con la quale si acquistava la pienezza del diritto e si davano alla patria numerosi cittadini. Tuttavia, se sullo sfondo sociale campeggiava a prima vista il latto naturale del matrimonio, poeti e scrittori cercarono di elevarne od idealizzarne il concetto, alcuni predicando che l'amore coniugale è un amore superiore a tutti gli altri, un fuoco che la stessa Venere si compiace di alimentare perchè non si spenga; altri affermando che il coniuge deve partecipare a tutti i casi dell altro: prosperis dubiisqne casibìls. E in qnesio senso era anche l'opinione della giurisprudenza, si che la legge definiva il matrimonio una società in cui erano comuni si beni che i mali: consortium renan secundnrum adversarumque. Ma la massima secondo cui il matrimonio obbligava i coniugi al consorzio di tutta la vita, era sopraffatta, sin dai tempi della legislazione romulea, dalle eccezioni. Se si ha da credere a Plutarco, il diritto romuleo, negando sempre tale facoltà alla moglie, consentiva al marito di divorziare, in certi casi impunemente, e, ogni volta che lo volesse, anche senza al^un giusto motivo, purché sottostasse a delle pene pecuniarie. Quanto sia durato il jus romuleo non è ben chiaro. E' certo, invece, che le eccezioni all'indi.-solubilità del matrimonio du rarono oltre il tramonto di quel- lo. Dal De oratore, appare che al tempo di Cicerone il divorzio po teva essere chiesto liberamente, senza alcuna determinazione di causa: il consenso che era bastato a dare vita al matrimonio, doveva ritenersi sufficiente per scioglierlo, e ognuno dei coniugi poteva separarsi a piacimento, quantunque l'altro non aderisse. Unica barriera o formalità, il consiglio di famiglia, che doveva essere sentito preventivamente, a pena di incorrere in una animadversio censori». E questa fu la sanzione che toccò a L. Annio, cacciato dal Senato nel 307 a. C. per essersi separato dalla moglie nullo amicorum in communi adhibito, mentre l'indignazione popolare inseguì e subissò più tardi (234 a. C.) Spurio Carvilio Ruga, il quale, disgustatosi della moglie, che era sterile, e non sapendo quale pretesto addurre per divorziare, dichiarò ai censori che avendo giurato di ammogliarsi per avere figli e che, avendo quindi, a causa della sterilità della moglie, giurato il falso, voleva, divorziando, purgarsi dello spergiuro! Ah Ci Anche Cicerone! Narrano gli storici che questo sia stato il primo divorzio verificatosi in Roma nello spazio di cinque secoli. Ma gli interpreti aggiungono che si tratta, probabilmente, del primo divorzio clamoroso, che altri casi meno capricciosi di divorzio erano stati registrati già dagli annalisti. Comunque, l'esempio di Spurio Cai ■ vilio Ruga fu largamente superato, alle- ^hè, dopo la seconda guerra pu.nca, ebbe progressivamente a decadere il costume. La libertà con cui si poteva usare dell'istituto degenerò in licenza ed il mero capriccio sostituì, o subissò, nella prassi, la formula dell'incompatibilità di carattere. C. Sulpizio Gallo ripudiò la moglie perchè era uscita senza velo; P. Sempronio Sofo perchè la moglie si era recata ad uno spettacolo pubblico; Cicerone, secondo racconta Plutarco, ripudiò la prima moglie Terenzia per sposare una giovane assai ricca e pagare con i danari di lei i molti debiti che aveva, salvo poi a ripudiare anche questa, poiché non aveva pianto abbastanza la morte della figlia Tullia. La dlvorziomania novecentesca dei popoli nordici e di quelli che sono al di là dell'Atlantico scolora dinanzi alla larghezza ed alla frequenza con cui i romani scioglievano le loro unioni. Persino sulle scene, il tema trovava la sua apoteosi. Proprio come è accaduto in certa moderna produzione di oltr'Alpe. Nell'Afirfria si insegnava come la probabilità di un divorzio non dovesse essere di ostacolo alla conclusione del matrimonio: «Alla fine, il peggio che ne potrà accadere sarà, tol- ] ! L'ufficiale di guardia a bordo d'una nave tedesca nel Mediterraneo: già come ufficiale della navigazione mercantile ha viaggiato in tutti i mari. *V-*- ... ganlo gli dei, il divorzio », nè le donne (alle quali la facoltà di divorziare era già stata riconosciuta dalle leggi delle XII tavole) volevano essere da meno degli uomini. Afferma Seneca che le donne contavano gli anni loro non dalla successione dei consoli ma dal numero dei mariti, e che dai mariti si partivano per rimaritarsi e si maritavano per ripudiare od essere ripudiate: Giovenale accenna ad una donna che ebbe otto mariti in cinque anni (sic fiunt octo mariti, quinque per autumnos) e Marziale bolla Telcsina che « sono trascorsi appena trenta giorni e va già sposa al decimo marito: una donna che si marita così di frequente, non si marita punto... ». Ed è quello che si sente dire anche oggidì, in cospetto di simili eccessi, soprattutto da noi, dove le aberrazioni consentite in altri paesi non sono possibili e lo stesso istituto della separazione ha una disciplina giuridica che non è senza influenza sulla morale di tutti V'ha, è vero, chi si lagna di un siffatto rigore e vorrebbe che, nel l'interpretazione, fosse piegata la legge. Senonchè, mentre ognuno può astenersi dal matrimonio, a nessuno è lecito intenderlo e foggiarlo in modo diverso da quello preferito dalla legge dello Stato, la quale, come è stato autorevolmente affermato, in questo argomento, non è che espressione della legge etica. Francesco Argenta

Persone citate: Cicerone, Ruga, Seneca, Sulpizio, Tare

Luoghi citati: Magdeburgo, Roma