Un bel ricordo

Un bel ricordo Un bel ricordo Talvolta e singolarmente oggi, quasi che con la sua perennità ostinata la memoria voglia opporsi al bieco struggimento della città, io ricordo i miei primi anni di Università torinese che, caduti ai primi anni del secolo mi fecero godere di una Torino gaja ed elegante, e faceta piena di una sua festevole mondanità. Erano gli anni in cui essa inaugurava la sua Grande Esposizione, in cui la Principessa Letizia rallegrava con la sua matronale bellezza i ritrovi aristocratici e le vie per cui passava, distesa nella 6ua fiammante a vittoria ». — Io facevoil corso di Leggi sotto famosi patroni come Carle, Chironi e-Bonfante, quantunque mio più grande diletto fosse quello di frequentare l'aula dove Arturo Graf teneva di tanto in tanto una lezione di letteratura frequentata assai da un pubblico fitto di signore e d'intellettuali. Spesso in quell'ora il professore lasciava libera discussione fra gl'intervenuti su qualche soggetto d'attualità, e rammento benissimo un famoso dibattito fra Pastonchi e Bontempelli sulla « Città Morta » di D'Annunzio in cui i due, che allora eran molto amici, fecero a gara a vivisezionare, con una specie di sottile crudeltà, la tragedia dei « Cadaveri d'oro d. Le belle intellettuali vi presenziavano, elegantissime coi loro cappelloni di pizzo e gran mazzi di violette sul seno, mentre il Graf, quale maestro di riti, dominava l'assemblea con la sua parola ornata e il suo calmo viso barbato su cui splendevano gl'inseparabili occhiali d'oro. Del resto D'Annunzio non aveva allora troppa buona stampa in Torino, la quale, devota più che mai ai suoi grandi prosatori patriotti, si può dire che sia etata l'ultima città ad arrendersi alle grazie del cigno abruzzese. A questo proposito rammento che accennando io una sera ad un vecchio colonnello a riposo clie mi era stato presentato in un salotto, al nome di D'Aununzio, 10 vidi subito scattare impallidendo: — D'Annunzio? — esclamò. — Mi s'a ló -vedo lo sgiafeló! — E perche mai, colonnello? — Si capisce, per la licenziosità delle sue pagine, che ai vecchi patriotti apparivano estremamente intrise di corruzione. Ebbi occasione di vedere per la prima volta il D'Annunzio all'inaugurazione di una mostra di pittori torinesi. Egli entrò nella sala al braccio di un'alta signora, elegantissima, con la quale parlava animatamente sorridendo , dai suoi denti candidi e dal suo pizzo faunesco; e mentre passa-, va udii che le diceva: — Andiamo ver.so la Sfinge ! — E li vidi poi fermarsi davanti al ritratto di lei, del Saccaggi, che raffigurava una donna con un gran mazzo di rose fra le braccia. La piccola testa, bionda, sorridente del Poeta balzava fuori da un inainidatissimo colletto di lucido lino con cravatta a plastron. Mi fece effetto allora l'estrema piccolezza della sua statura : mi richiamò irresistibilmente non so che ben articolato pupàttolo di gomma rosea che stesse appeso al braccio di quella signora alta. La Stamjia usciva allora in otto pagine, con lunghi elzeviri di Thovez e di Ambrosini, lettissimi dalla gioventù e Lombroso teneva lezione in una stia aula appartata in via Po, presso una chiesa. L'aula era piuttosto scura, fantastica. Noi si assisteva stando sopra i banchi di un emiciclo che guardava in giù verso 11 centro della sala, a quell'ometto bigio, gesticolante, irrequieto, occhialuto, dal ghignetto ironico, il quale con nostra grande soddisfazione ci mostrava sempre presso la cattedra qualche bell'esemplare di quella delinquenza ch'egli andava studiando: tipi anomali e degeneri ch'egli stanava nei penitenziari e nelle case di correzione e che veniva jioi jialpando in presenza nostra, ed esaminando, interrogando e misurando nel capo con certi strumenti strani, traendone poi leggi e deduzioni sempre sorprendenti, che ci esponeva con parola facile e pronta. Lombroso non aveva quel che si dice peli sulla lingua e io, ingenuo allora sulla portata della virtù femminile, tremavo, letteralmente, pensando alle pudiche orecchie delle molto studentesse che gremivano l'aula. Si usciva di là con la mente alquanto sconvolta, e naturalmente propensa a scorgere in ogni nostro simile per strada un degenerato. « Quello? dev'essere un omosessuale, quell'altro? ha le stimmate di un parricida ! ». Ma se crucci e pensieri 6Ì dimenticavano presto nella sbalestrata gajezza delle feste studentesche che a febbraio specialmente infuriavano per tutta la città, studenti e sartine formavano l'immorale binomio della vita torinese d'allora ; quella che Caraasio ed Oxilia han dipinto con così vivo e patetico calore di poesia in Addio, giovinezza, e che trovava eco nei giornaletti studenteschi elio sorgevano ad ogni momento, magari soltanto poligrafati. Non sarà mai lodata abbastanza la schietta sartina, liberale dispensatrice di tenerezza a tanti bravi figlioli oppressi dagli studi... E i balli? e i veglioni allo Scribe e al Balbo? dpscusgsdnqbMtcmcssgp1irtsfsptdcefa1bQdpm I ! o , o o o o a o o e i e a , e i Un giorno io ed un mio amico di Modena (ora console generale) pensammo di mettere un avviso su II Venerdì della Contessa, in cui, così per ischerzo, si diceva che un giovane di belle speranze desiderava conoscere una giovine signora che a amasse Grieg in musica e portasse gemme di smeraldo, i Nugoli di lettere ci pervennero, di ogni grafia e profumo. Le quali, naturalmente, ci distribuimmo acqua lance, fra noi due, Mio Dio, s'aveva pur del buon tempo da perdere allora! In conclusione, fatto lo spoglio delle mie missive io mi affermai sopra una certa Flora che, con spirito, asseverava di amar le gemme di smeraldo se qualcuno gliene re galava, e mi dava appuntamento per la sera stessa al veglione del 10 Scribe dove si sarebbe trovata in domino azzurro, con una rosa rossa sul seno. L'avventura mi tentava. Andai al veglione e passato il tocco, la vidi bene la mia fanciulla in domino azzurro, rosa sul seno, che si aggirava sola per quel reame del tripudio. Poteva andare. Senza dubbio, mi dissi, è lei, è Flora. Ebbene lo credereste? ero allora così tonto e digiuno in fatto di avventure femminili che non osai neanche accostarla, e così ebbi più tardi 11 piacere di vederla partire al braccio di un mio collega... Quante altre volte nella vita audace nel preparare un piano fui poi incapacissimo di realizzarlo al momento buono I In realtà, meglio delle sentimentali gioie goliardiche amavo fin d'allora le sportive, le grandi vibrazioni all'aria aperta. O belle corse in tandem verso Ivrea, verso Avigliana, verso Chieri con un mio amico, geniale scavezzacollo, come mi sapeste dare per la prima volta quel divino senso della libertà che mi fu sempre tanto caro ! Tandem e biciclette eran allora poco più che cigolanti trappole: si forava ad ogni momento, perdevan le pedivelle, si spezzavano i raggi. Eppure con quanto gusto noi correvamo a dirotto sulle belle strade imbrecciate, e come imparai a conoscere a quel modo il fresco paesaggio piemontese così verdeggiante ed alacre, la sosta alle placide oste riette di paese dove scorreva un vino eccellente e ci si faceva fare la bagna caódaf Io al manubrio e lui dietro si declamava a gran voce Pascoli o Carducci si discorreva delle nostre speranze. Mio padre che avrebbe voluto far di me un pittore mi aveva inscritto all'Accademia Albertina, donde poi traevo assai scarso profitto. Mentre assai più godevo a chiudermi durante i pomeriggi invernali nella biblioteca della città, a divorare un po' di tutto, dai filosofi greci a Baudelaire, da Giordano Bruno a Nietzsche e camminare poi a lungo sotto i portici di Po cercando di mettere un po' di ordine in quel cafarnao di cognizioni raccogliticcie ! In realtà quel bessoin de totalisme di cui parla l'Amiel nel suo Journal Intime già cominciava ad apprendersi al mio spirito e veniva creando a poco a poco in me quell'o incapacità di rinunciare » che è pure un gran guaio per un artista. Poiché l'opera d'arte, che non 6Ìa frutto d'un vago dilettantismo, dev'essere pur fatta di distinzione e di rinuncia. .Conservo ancora il mucchio delle note e degli appunti ch'io facevo allora su quelle mie predate letture, e oggi ogni volta mi accade di darvi un'occhiata mi dico sempre che davvero potevo impiegar in miglior modo il mio tempo giovanile. Vero è che uscito da quelle orgie e scorribande cerebrali io correvo a farmi una magnifica satolla di paste da Baratti e Milano, la grande pasticceria ch'era allora al suo massimo splendore, e dove, in quell'ora dell'aperitivo, le frequentatrici erano più leggiadre che mai e i pasticcini squisiti e costavano solo dieci centesimi. Cara, beata Torino d'allora! Carlo Linati Molti caucasici, che hanno a fianco dei germanici contgiovani appartenenti alle fo

Luoghi citati: Avigliana, Chieri, Ivrea, Milano, Modena, Torino