UN PAIO DI SCARPE FELPATE di Alfio Russo

UN PAIO DI SCARPE FELPATE PICCOLA STORIA DI UN SOLDATO UN PAIO DI SCARPE FELPATE "Con queste calzature, disse Gelsomino, c'è da fare tre inverni in Russia,,: ma vennero gli aerei sovietici, un uragano di bombe si rovesciò sul campo e l'aviere lombardo spari in una fiammata Non è che l'aviere CMadmtno ,ravesse paura, ma eia un ragazzo fuori moda che sbagliando candidamente tempo venne a nascere con francescana semplicità e arcadici orecchi nella nostra epoca che ha fatto sue droghe e simboli del rumore c dell'urlo. Accade appunto d'incontrare ogni tanto uno che non è portato a prendere dimestichezza con i cannoni e con ■gli aeroplani, ma il valore di quest'uno è maggiore del valore d'un altio il q'iale sta nella guerra co me a casa sua. L'aviere Gelsomi i ™ grigia e molle e,|cos} vasta gli t0f,heva u ftato. Ar-\riuò al campo di J. in una sera no nato poco più di vent'anni fa *n Mn piccolo paese della Lombir dla (w£ avev(f paura ma cru mill paure c chiaro come un fanciullo, e forse voleva essere semplicemente fedele, al suo nome così lieve c profumato. La guerra se lo pi esc e lo gettò in Russia. Un lungo viaggio sulla dura panchina della tradotta, uno sbalordimento prò- d'ottobre, e lo cacciarono in una oameruta dove tonfavano altri trenta avieri. Un paese disumano Nessuno immagina lo sconforto della Russia. Nemmeno i campi hanno l'umanità degli altri campi che sembrano intrisi del sudore degli uomini, che hanno quasi un sentimento. La Russia è illimite spietata inumana; gli uomini vi passano come larve, coinè fantasmi, senza lasciarvi «n'impronta. GcUomìno non poteva capire tante cose, non sapeva la storia antica e nuova della Russia. Quanti voveri ci stanno in Russia, disse. Vedeva con gli occhi e con il cuore che <iuegl\ uo??iini moitvano senza un lamento, senza una lagrima; e disse semplicemente che gli parevano bestie. E anche disse che le città gli parevano come la facciata d'un palazzo incompiuto, e cosi mostrò d'aver capito la Russia meglio di tutti quanti che cercavano chissà che cosa dietro la sontuosa facciata.. Gelsomino aiieva l'anima semplice e l'intelletto chiaro; giudicava diritto guardando la gente che con iin'bidifferenza oltraggiosa mostrava la sua miseria in mezzo alle strade e in mezzo alle campagne. E dov'è la felicità, disse Gelsomino, in un paese che ha tanta povera gente* Clieb, pane, è stata la piima parola che Gelsomino intese in Russia. Egli non pensava più alla guerra, pensava alla gente die aveva fame. Clieb, clieè, era un lamento che l'ha accompagnato per tutto il viaggio. Un giorno Gelsomino incontrò un branco di fanciulli affamati. Erano dieci fanciulli biondi, patiti; lo guarda- ,rono timidi e Io seguirono come cuccioli buffi e sgraziati fino al campo. Gelsomino li nutrì, e si prese un cicchetto dal sergente che gli gridò: sgnacca fuori questi* mocciosi. Ma poi finse di- dimenticare l'ordine, e Gelsomino allevò tutta la cucciolata. Ora li Ilo trovati sulla, sua tomba che accarezzavano e pulivano l'elmetto arrugginito messo sulla croce di legno. La prima notte che Gelsomino passò in Russia fu la più dura, diceva, perchè pensava che sarebbe morto. La grandezza allucinante del paese gli aveva -rotto i nervi; non diceua così, ma diceva che tutto quello spazio gli faceva male al cuoi e. Ascoltava il respiro del suo vicino di branda con Ja paura che d'un tratto dovesse finire; ascoltava il vento che urlava perdendosi nella gran pianura e la i nere che picchiava alla finestra. ,si sentiva più piccolo in tutta quel- \ia vastità, pensava al suo paese a alla sua casa così calda; e quasi si mise a piangere. Gli pareva-, disse, d'essere tornato fanciullo quando sorpreso da un acquazzone gli prendeva un terribile accoramento e si metteva a piangere. Il pagliericcio scricchiolava, egli si voltava cento volte senza trovar riposo. — Che ti piglia f — gli gridò un compagno con voce assonnata. Gelsomino pensava che sai ebbe morto quella notte stessa, pensava che sarebbe morto soffocato dallo spazio. Ma la mattina infine venne, una mattina bianca, fredda. La neve non era ancora gelata, ma era peggio perchè così soffice, persuadeva alla tristezza. Ma questa è niente, gli dissero i compagni anziani, vedrai più tardi. E poi gli insegnarono tante cose piccole che a Gelsomino parevano impossibili; e gli insegnarono anche come si fa a respirare quando c'è mollo freddo. Infine gli insegnarono vn-veibo che era assolutamente nuovo alla povera e onesta grammatica di Gelsomino, il verbo zabrare coniato in Russia non so in quale matrice, il quale vuol dire un po' rubare. Se non riesci a zabrare niente in Russia non ci campi molto, gli dissero i compagni. Confidenza con la guerra I giorni intanto passavano, e Gelsomiìw cominciava a prendere confidenza con la guerra, cominciava a far l'orecchio ai motori degli aeroplani, agli schianti dell'antiaerea, ai boati delle bombe. Là. mattina era svegliato dall'urlo dei caccia che decollando raschiavamo il tetto della casa che era diventata la caserma degli avieri. La prima grandinata di bombe l'aveva lasciato senza respiro, ma i compagni, praticoni, avevano riso sapendo che non era dannosa. Allora Gelsomino ebbe paura' di aver paura. Egli era aviere di ma novra, ma era anche custode della casetta dove dormivano gli ufficia li di passaggio e i giornalisti. Le ìsue robicciole stanno ancora lì, \sotto il lavandino; tutti noi che passiamo dal campo di J. sentiamo ancora le parole di Gelsomino ricordiamo il racconto della sua prima notte in Russia e del pri mo bombardamento. Il gionio dopo il primo bombardamento Gelsomino decise che non avreb be avuto più paura, che non sarebbe più sbiancato. Lavorava come un bue, se c'era un ferito lo soccorreva con trepido amore, e aveva attorno il branco dei fanciulli, ch'egli chiamava con strani nomi, con i quali divideva il ran ,cio e gli insegnava a parlare ita [liano. Un giorno quasi decise di \cambìar nóme percliè Gelsomino non gli pareva un nome adatto a | battagliare; e chiese al coppella¬ no che cosa potesse fare. Ma il cappellano qh disse: lascia stare il nome e fai il buon soldato. Ti chiameremo Leone, gli disse un compagno. Il cuore gli s'indurì come i nervi, ma la sua umanità spicciava come un caldo ruscello dal suo giovane corpo. Aveva un candore cha suscitava il rispetto e l'ammirazione anche dei più smaliziati e violenti compagni. Gelsomino non temeva più le bombe, ma aveva paura del freddo. Il freddo l'avviliva, il pensiero che il gelo sarebbe venuto l'agghiacciava. Cominciò a darsi da fare per ariicchire il suo equipaggiamento, trovò guanti e sciarpe di lana e soffici maglie. Ma i piedi come poteva ripararli* Il suo sogno era un bel paio di scarpe felpate. Una sera comparve in camerata con un bellissimo paio di scarpe con la suola di gomma e foderate di panno fino e con la chiusura automatica. Le accarezzava, lo lisciava; le mostrò a tutti. C'era da far tre guerre in Russia con quel paio di scarpe, sarebbe andato dovunque con quel bel paio di scarpe. E non. sapeva invece che il suo viaggio era terminato. Quella sera razzi luminosi lanciati dagli aeroplani i-jissi incen dqvAlarono il campo. Gelsomino era jmezzo svestito. Una prima onda ta Ai bombardieri seminò un grosso carico di bombe che scoppiarono con grande strepito. Tutti accorrevano nei rifugi; era un'iradiddio, un finimondo. Anche Gelsomino correva verso il rifugio quando udì un grido, un urlo; allora si yettò per terra strisciando veiso quel grido, verso quell'urlo. E le bombe fioccavano e gli stre-\piti degli scoppi strappavano Ielorecchie e-tutto il campo flammeg-fgiova delle esplosioni. Infine Gelsomino raccolse il compagno ferito. Le esplosioni rischiaravano la notte, le grida dei feriti indicavano la scia delle bombe. Con il peso del compagno sulle braccia Gelsomino camminò verso l'infermeria chinandosi come per dare minor bersaglio alle bombe che si sfracellavano attorno a lui; poi cadde avvolto da una fiammata. E più tardi giacque su un tavolo dell'infermeria, bianco come una fazzoletto, con un sorriso sulle labbra e una scheggia nel ventre. Al lume d'una candela il medico gli ■s'affannava intorno. Ma Gelsomino sapeva che era morto. Quante volte aveva pensato di dover morire. Aprì appena gli occhi e lievemente sorrìse al medico; e poi gli disse acccennando alle scarpe sporche di sangue: non me le fate togliere neanche... dopo, cosi non sentirò molto freddo quando verrà il gelo. Quésta è la piccola storia di Gelsomino, aviere di manovra, soldato italiano. E' la storia d'un fanciullo che la guerra fece diventare uomo ma non gli tolse la gentilezza. Chi passa per il campo di J. la sente raccontare da soldati che non lianno paura di far vedere qualche lagrima. Alfio Russo _ ti k-_j- Si preparano le armi di bordo per la prossima azione contro il nemioo.