Pranzo con Axel Munthe di Giovanni Artieri

Pranzo con Axel Munthe UNA SERATA A STOCCOLMA Pranzo con Axel Munthe Dice che è vecchio, molto vecchio e che deve morire Porta sempre con sè l'edizione originale della "Storia di San Michele,, per rileggerla ogni tanto, poiché, confessa: "Non ne ricordo più nulla - E' lungo, tirato, come riflesso nel concavo di un cucchiaio (DAL NOSTRO INVIATO) STOCCOLMA, dicembre. E' il crepuscolo. Affacciati al iardino delia Legazione d'Italia uardiamo lo Stralli. I gabbiani e vaporini attraccano alle ripe, alleggiando sulle acque grigio erla come gusci d'uova. Cala la era avvolgendosi in molli velami i nebbia e i campanili ad ago dela città vecchia pungono quelle unghe sciarpe azzurre. Un'allera fanfara si reca a rilevar la uardia nel palazzo di Re Gustao Bernadette. Luci colorate s'acendono tremolando sotto i ponti i pietra, spingendosi sino ai par hi. Voli serotini di anitre selva- che ammarano con dolcezza di droplani; giostre e organini sulla Coll.na delle Querce ronzano con llegria discreta; le scale mobili ello Skansen traggono allo Zoo idiate di bambini biondo-platino he vanno a dire buona sera alle enne, al grande alce, agli orsi runi, ai minuscoli scoiattoli fulvi el bosco. Lentamente l'aria di Stoccolma i rajiprende come una crema nela gelatiera, condita di fruscii e i profumi femminili, di lusso e i Uice elettrica. Poi più ispessita grave si posa sui tetti e sulle etrate. L'ora del crepuscolo scocende in quella del pranzo. Le rchestrine intoneranno la fragile melodia dei versi conviviali di Bellmann: Mos gladtens skald har drudans milde guld oss bludlt fira fest 1 blomster Krud... E la notte svedese comincerà, olenne, col rito del « midag ». Rientriamo, tacitamente. Il fredo, il buio ci ricacciano. Bicchiee in mano, il ministro Renzetti ice delle parole di benvenuto ad Axel Munthe, ed egli le ascolta attendo faticosamente le polpe re ottuagenarie, immobile come n ritratto dimenticato in soffitta. Risponde: dice molte cose ma ovratutto dice ch'è vecchio, è ecchio e deve morire. In seguito on parlerà d'altro che della mor e; anche la «Storia di San Mi hele » fu detta una storia della morte. Forse è vero. Ricordo di Ypres Dritto, magro, di media alteza, il corpo minuto tende all'in ietro come un arco leggermente eso. Mani grandi, difformi, petto reve, spalle gracili rientranti. Il olto assomiglia al Duca di Gueara nella tela di Teotocopuli. E' ungo, tirato coinè riflesso nel oncavo d'un cucchiaio; barbetta aprina, baffi candidi di pelo rado randi orecchie nodose, spesse occa ancora fresca, occhi stranamente spostati nel cavo delle or ite, forse una deformazione proessionale connessa all'uso del ini roscopio. Munthe parla uno strao gergo commisto di italiano, di apolitano, di dialetto caprese ove a lingua svedese traspare dal moo di pronunziare il gruppo gio. Per esempio, un bravo jovane, un oiello. Il suo è un italiano parlao male affettuosamente, viene al dialetto dei popolani e dei pe catorì. Egli ha letto primo il vo abolario di Marina Piccola e di Piazza Mercato, poi quello di Fonani e Rigutini. E gliene sono prò ondamente grato. S'è parlato di Capri, principalmente di Capri. Si lamentava del ericolo di un troppo stretto raionamento, benché mangi come n uccello. In Svezia è opinione omune che da noi si muoia etteralmente di fame. Ha accolto on lieta sorpresa le buone noti ie sull'annona caprese; poi si ca pisce, s'è scivolato su San Michele, la villa e il libro. La guerra. «Quando finirà? » chiede; e nessuno di noi gli risponde. «L'altra rolla fui nell'esercito inglese come -medico e assistetti a Ypres ad uno dei primi attacchi a gas. Il nuvolone (gli inglesi lo chiamavano la tide-wave, L'ondata di riflusso) avanzava come un temporale e noi lo si vedeva, senza via di scampo. Poi il vapore grigio, pesante annegò tutti. Non capii più niente. Quando si dissipò vidi attorno un immenso campo di formiche morte o tramortite ». . •D'Annunzio e la Duse i j \_ , . \Quale tra gli orrori ch'egli ha\visto l'ha maggiormente colpito,la guerra o il colera napolitano ,dell'alt (vedi « Storia di San Mì-\chele ») t Egli tace e chino il voi-.to sul piatto. Di laggiù, dopo una\pausu, mormora che il colera è un castigo di Dio e la guerra un ca-slifio degli uomini. Si solleva, \ mastica ancora, beve un esile sorso dal bicchiere che nelle sue inani di vecchia quercia pare un gentile fiore di ghiaccio. Aggiun-,ge qualche frantume di ricordo sul terremoto di Messina. Veniva da Vienna, arriva a Napoli la sera del 23 dicembre 1908, verfe un vapore in partenza carico di ca-irabimeri, s'intrufola a bordo e\riesce a farsi arruolare come me-\ °-i„n,C0£d? delJa hWaatma,ce-l'fi della Palazzata sullo Stretto;ricordo Ji una bambina sospesarJn?uol° ?l f'arj°. man° d' Zn,vV$?' s-alva(a ,dal marinai Udella flotta imperiale russa tn\crociera nelle acque siciliane. \Di D'Annunzio. Mi chiede ae\veramente in Italia si creda nella\durevolezza dell'opera sua. Ed ip\gli dico che molto, ciò che tutti sappiamo, resterà Munthe ricade col volto nel piatto Sembra sia il suo modo di manifestar dispetto-0 disaccordo. ■ (Il naso intensa- mente venato di fili rossi ram- mento, il forte bevitore ch'egli MASa di toccare un tasto delicatis-:simo per un italiano; vorrebbe ri-\battere con la sua vera opinione>1 % /a'f'ce' ad episodio Usulla Duse. Mi prega di non di- magarlo e non lo farei se non\Zlf.fi \ett0 s," d'"n !'i"r»">e 9.e-1 novese la medesima storia richia-ìmota da Flavia Steno ma in edi zione tutta diversa. «La Duse — dice Munthe — era a Capri menti e s'annunciava il « Fuoco ». E la possedeva pres- ■Iso il banchiere Mendelssohn di,Parigi qualche centinaio di mi-ìgliaia di franchi e li offrì all'Ami-\D'Annunzio rispose con un tele-\granulia di due sole parole: «Non basta-». L'aneddoto è tutto qui edi io, sia esso vero o falso, lo smen-itisco. Quassù simili calunnie han-\no trovato rapido credito e si ca-\pisce. In Svezia e nel Nord la su-\periontà numerica delle donne-raggiunge la proporzione di unola tre; tre donne per un uomo creano una formidabile solidarie-.te di sesso e influenzano la mora-Ile, la politica, l'economia, la psi-t oologia del paese. La popolarità della dolente e patetica Tragica italiana nel settentrione fu immensa molto meno ver le sue interpretazioni di Ibsen e di Strina-] berg che per il suo personale dramma con Gabriele D'Annunzio. In Finlandia per una storia simile litigai con lo scrittore Sillanpdd e fu una sera del dicem- bre 19S9 che da Stoccolma arrivò notizia dell'attribuzione del Premio Nobel oll'autore di « Santa Miseria ». L'aggressione lussa era iin corso, la Finlandia al centro to per impedire fa pubblicazione.^D Annunzio rispose con un tele-\gramma^di due sole parole: «Non p&Ìlmo guardandoci malis^mo; aves dell interesse, mondiale. In pegno]della solidarietà nordica la Sue-!zia attribuì il premio a Sillanpàa ed io andai a dirglielo. ITrovai lo scrittore ubriaco fra-]dww; non capì nulla. Ricordo che si levava ogni minuto dal suo di-\vano e oscillando paurosamente]con l'immensa corpulenza andava a bere iti una camera accanto daun bariletto di birra. SillanpaaMo/i paria che finnico e interprete erà con me Tajna 8ilverswann,\una gentile collega di Helsinki,]nipote di Fiudor Scialiapin. Ben-ohe buona conoscitrice dell'Italia-no Tania durava fatica a tradur-re ti finnico di Sillanpad. I nor-dici, quando hanno bevuto, o per-che protestanti o perchè ubbria-c/ii si autorizzano le peggiori In- scienze. Capii, anche senza capire« finnico, che il mio massicciointerlocutore risfoderava vecchiestorie della Duse edi D'AnnunziopeZ gusto di ingiuriare il Poeto.«• , i j. ... , La tomba di Mazgaba Strana situazione: Tajna nonvoleva tradurre o traduceva met-fendo cenere sulle parole scot-tanfi, io la pregavo di volgere il più esattamente possibile le mie risposte acri e violente. Ci Utscia- simo panata la stessa lingua ci saref 10 picchiati, quella sera io c Si. \pàd! L'a-ijomento si dissf"^^come una scialo di cinema 5&tsci- 9 ta, nel silenzio del pranzo. Muntile ritorna a Capri. Capri - Mito, quella che occupa un così grande posto nel suo libro di San Miche-, e. Io gli chitdo notizie di Mazgaba. « Come sta Mazgaba, l'architetto di Augusto? ». «Sta bene, risponde Munthe, laconico; forse c un po' geloso di questa mia sottintesa familiarità con le grandi Ombic capresi. Mazgaba è quello di cui parla Svetonio (Vita Augusti cap. 98), un architetto o « diletto » imperia/e non si sa bene, ch'ebbe certornente la tomba in un luogo di Capri, essendo morto l'anno avan- i d'una certa lieta serata di cui Svetonio ci trasmette la descrìzione. Augusto è seduto nel triclinio, ha pranzato, è di buon umo- re. vede dall'aperta finestra deia vma (qualef Villa Giuliat) una luminaria salire alla tomba di Mazgaba, e improvvisa un mediocre verso in lingua greca. Il verao vuol dire la meraviglia delo spettacolo di mobili fiaccole votive attorno al tumulo di Maz,aba. Gli è di fronte il cortigia- no Trasillo al quale chiede un parere sulla sua improvvisazione poetim e l'altro gli risponde spiri Evocazione magica osamente, eccetera eccetera, se condo ognuno può leggere, Questa 8toH« della tomba di MJzgaba ò un0 dei mi3teri mdgQÌOrf di CapH e chiedo a Muntfa come mai/nel suo perenne interesse per'la morte morti non ne*ja mai occupato. «Ci son molte tombe di Maigaba...», egli Uce Ma io di %ueste t'om%e la trovai nel ,36 arrampicundo mi s„Uo acogho del Mònacone nel ,J0lf0 di Tragara e i pezzi or namentaH debbono giacere anco ra> cosl come li detti, nella biblioeca di Edwin Cerio. Andammo su per i>axpra roccia incastonata nela /as<m di mare C(m a;cl(ni ster. ratori e Marino Dusmet, allora Podesta dewisola, oggi in Africa e gH feci constatare il travamento. Ne venne una polemica in cili intervennero archeologi, latinisti e VttUro tutore dell'Isola, Edwin Ce,.jo. s'accappiarono tra oro i0 contento d'aver messo fuoco aHe polveri mi trassi in di a1tarte ora 'con Munthe quesfavventura tra roCce, mare e antichità, ritorna a galla nella tepida almo sfera di un pranzo a Stoccolma come una evocazione magica. Riporta Munthe nel limbo dei suoi fantasmi capresi nell'atmosfera del suo libro'ed ecco le sue mani nodose, distorte dall'artrite, solievarsi in aria ti-acciando sul ritmo vere con non so quali metafisici caratteri altri racconti fantastici di Capri e dei suoi secoli. La sua salita al Faro, presso la Villa Jovis, che una notte lontanissima gli parve di vedere riacceso come quando, ai tempi di Tiberio, esso era così splendido da eguagliare pei naviganti del Golfo, la luce della luna. Era un £4 dicembre, vinilia della Natività; a mezzanotte quel gran chiarore si spense, crlsescddn«euttfPnqiIccpasnnlnzrlSsocddmstdscmerscdsApMqsnpoabtCdasfsd-isdelle parole lenti geroglifici; scn-ì vere con non so quali meta fisici] vcaratteri altri racconti fantastici\rcssrcilcJZ^l:: ed egli lo vide spengere, come vuol la leggenda isolana e cri- stiana, a segnare la fine del moti- do pagano, la motte di Pan e ;a i nascita di Cristo. Ovvero un suo [incontro con Anatolio France ehe gli recitò prima di scriverla una novella napolitano, che poi non scrisse mai. Ponzio Pilato sullo fine dei suoi giorni si ritira a Po- sìIIìjki, in unii sua villa e qui ri- ceve la visita d'un alto funziona-'rio romano di ritorno da Gerusa-1 lemme. Pilato s'informa delle co-1 se nuove di- laggiù, chiede se gli .ebrei siano sempre così irrequièti,Mse le lotte politiche li dilanino,] chiede del Tempio, delle milizie,'de.r//i intrighi; chiede della corte]degli Erodi, delle nuove costruzio-jni di Cesarea. L'amico l'informa: « Eh sì, questi jnsopportabifi'ebrei. Son divisi adesso; è nato un paiti-to strano fondato da «nitale che venne suppliziato sotto il.tuo proconsolato, un certo Gesù ' figlio di Giuseppe, nazzoreno ». !Pilato cerca nella sua memoria einon trova. Non ricorda affatto'questo Gesù andato a morte sotto il suo governo... ». Il peso di un capolavoro Come France in vecchiaia an- - c7ie lui, dice, non scrive più. Qi/uZ-'c/ie volta adopera la niacc/iinaaperchè i caratteri sono più chiari ad uno semicieco, ma in comples- < so non scrive nulla: «Io sono fi- nifo... Non dormo più. Morire co- niinola coZ non dormire». Del suo Slibro, afferma, di non ricordare gnulla o quasi e viaggia con Z'edi-I*zione originale inglese della « s*0-i Pria di San Michele» per rilegger-1cla: « Non ne ricordo più nulla... ».|Sospetto però che è il suo libro, soltanto quello a conoscere in I ogni linea e virgola. Anch'io ri-1 cZiiamandoTOi alla buona memoria delle pagine e capitoli più famosi di «San Michele» gliene parlo co-'me di fatti vissuti in comune, co-se viste e persone avvicinate con-ì temporaneamente da lui, autore ida me, lettore, nella vita. Ed egli,si preoccupa di questo: « Bisoo>iaÌche mi guardi da voi — dice — lmi conoscete troppo bene...». /nieletti avviene ch'io gli debba cor- reggere qualche particolare della 'storia di Billie, la scimmia, Oliai- che punto del racconto dello follia di Maupussant (come Cecov che si faceva di cappello allo specchio,'Andrejeff che sulle scale cedeva ilpasso a un invisibile qualcuno. iManpassant coltivava nel suo qiardino un'aiolo ove dovevan ere- scere dei piceoti il/a»passant..J.1 DoiKt auest'ora in cui abbiamo narloTo li co\e che uri seniha di panato ai cose aie mi sem^a ai over tante volte lette o ascoltatej altrove, capisco qual dramma deb-:aba essere per uno che abbia scrit to Ci dominato e autore, e lo rend stesso come un fono che sotto la punta non pos o un solo libro e quel libro na/olapolavoro, senza seguito, aoMal'orninolo e n. minta «mi ima. I us?d"re, per nessuna forza al moii-^do, suono diverso da quello della sva irremeabile incisione. a Munt)ie è così, se lo conoscete.!mvi var <ji rileggere il suo libro di 8rìtornare sul binario dei celebri ; acapiroM, di ripercorrere una ennesima volta la lunga galleria delle sue avventure. Una specie di corridoio di convento ove ogni cella Icontenga un dramma e di tanto in tanto, qualcuno vi mormori^ l'ammonimento dei trappisti: «Ri-\ cordati che devi morire» Giovanni Artieri