In margine a De Marchi

In margine a De Marchi ui - NEL 1888 A MILANO I In margine a De Marchi Nell'anno 1888 alle cantonate di Milano — città ancor tranquillamente distesa in urt£J5iia bonarietà famigliare — apparvero, affissi, grandiosi fogli sui quali spiccava, disegnato in nero, un gigantesco .cappello da prete. Accesa la curiosità, dopo qualche giorno altri fogli annunciarono prossima la pubblicazione, nello appendici dei due giornali L'Italia e il Corriere di Napoli, di'un nuovo romanzo che si intitolava per l'appunto // coppello del prete. Emilio De Marchi, nell'intento di sostituire ai volgari e assurdi romanzi d'appendice tradotti dal francese, un tipo di romanzo nostrano, che potesse divertire e interessale, «senza nessuna delle solite «basse transazioni, ma col semplice ajuto dei comuni artifici d'invenzione e di richiamo », lo aveva scritto con spirito e con brio. Il successo fu notevolissimo, e il De Marchi concludeva un breve discorsetto premesso alla prima, edizione in volume così: «L'arte è cosa divina; ma non è male cl.i tanto m tanto scriverò anche, per i lettori ». Garbato umore ; ma è certo che nel giudizio corrente si è insistito molto sulle indubbie virtù imorali dello scrittore: semì,--^ , ' P»«ta, tenerezza pergiiumi- Ili ai diseredati, manzonismo, spiriti cristiani, alcunché di [crepuscolare; che gli fa intenIdoro, quasi p«r geritile affini"e h'agilj e gracili intimi j i tà ! ! j ! , tà delia gente da poco. Tutte osservazioni giustissime; -ma si è dato minor rilievo, si un po' trascurati altri aspetti del suo talento: un | c'u<? df acutamente doloroso e ! acre nel sentire la vjla, un e a r senso violento; se pur chiuso e dominato, della passione, una bravura di osservatore verista e di manipolatore di episodi romanzeschi — e magari di racconti polizieschi — che fanno di lui, almeno per pagine e pagine, un narratore ben altrimenti attraente, penetrante o moderno. . La percezione del male — non compiaciuta; non assaporata, ma più spregiudicata ch'egli steiso non vorrebbe — dà aiopera sua, assai spesso, un lievito forte e bruciante. Si è accennato all'opinione fatta ; ma la critica ha già messo in luce, nel mondo di Do Marchi, le fatali violenze della donna, dell'amore, così facilmente tragiche e distruttrici. E insomma, a gustar meglio, si' ha da tener presente in questo scrittore «semplice», «bonario», «indulgente», «umorista», «moraleggiante», l'abilità e la scaltrezza del romanziere di appendice, e nel manzoniano il naturalista, e nel delicato e sensitivo il descrittore del suicidio di Cesare Pianelji, dell'assassinio' della Pardi, del dramma crudo e patetico di quel losco figuro di Tognin Maccagno. Basterebbe l'inizio del l'appello del prete, con l'indimenticabile figurina di Prete Cirillo, che se ne va alla morte, foseo, diabolico, nel suo mantello ragnoso, come portato da due grandi ali nere, sbattacchianti ; basterebbe quell'attacco brillante, netto, nell'inquieta torbidezza'dei fatti, a darci la misura dell'abilità di De Marchi. Poi c'è la vitalità, comica c spaventevole, ironica e disastrosa, di quel cap- ìl,t'110 denunciatore del reato, i cne> co,nc u famoso cappello -'di paglia di Firenze, ha .!acquistato ùna.'«ua autonooI mia: e appare e scompare e ^j.fu^e e ritorna, e domina e o o guida tutta l'avventura, e giganteggia, visibile tangibile indistruttibile rimorso del barone di Santa Fusca ; e infine c'è l'avviarsi di costui, sulla tremenda gonfiezza del- 'orgoglio e del delitto, alla pazzia... Quando il romanzo uscì, si fecero raffronti tra l'idea filosofica celata "'sotto l'eccentrica invenzione, e l'Oreste, l'Edipo Re, gli Spettri, Delitto e castigo. Bè, lasciamo andare; ma De Marchi, anche qui,.in questo ''"bro di divertimento, seppe sfiorare, e anche toccare e suscitare un'idea non banale della colpa, del peccato, di ciò che è oscuro e fatale e inconfessabile nel destino dell'uomo. * # . Ora, nella collezione di Romanzi e racconti deU'80() dell'editore Garzanti, Alfredo Galletti ha curato una scelta delle opere del De Marchi ; quattro romanzi: Demetrio Pianelli, Giacomo l'idealista, Il ca-jrpeHn del prete, Arabella, un gruppetto di novelle e poesie, e un brano di Milanin Milano». Si può leggere, scegliere, si può rivolgere la curiosità piuttosto all'una che all'altra vena del suo talento. Dei romanzi, Demetrio Pianetti è considerato il capolavoro ; Arabella è nel cuore dei lettori. Essi sono piaciuti e piacciono perchè rappresentano ed esprimono compiutamente il sentimentalismo di De Marchi. Il personaggio di Demetrio è quasi classico in tal senso; l'impiegatuccio ruvido, chiuso in se, che ha ancora i caratteri, l'aspetto, i modi del - campagnuolo, che non uscirebbe per nulla ai mondo, o così pensa, dalle buie strettoie di una vita indigente e severa, e che, quando il fratello, col quale è da anni in contrasto, muore ladro e suicida, si prende sullebraccia la famiglia di lui con dedizione prepotente e aspra, e l'impiegatuccio, che 6ubito si scontra con la cognata bellissima, placida, incosciente, e dopo, e attraverso i litigi le baruffe gli odii s'innamora di lei così profondamente e disperatamente, che quell'amore è per lui come la morte — morte silenziosa, nel deserto infinito del mondo, e tutto si oscura e nulla più ha senso peso respiro 6enza di lei — Demetrio è ben il modello degli amanti sconfitti, adoranti, umiliati, che si portano in petto un sentimento assurdo, e che accordano la loro umiltà al pianto segreto e tenue e sussurrato delle cose. E Arabella-r la nipotina di Demetrio? E' la vittima-nata, è l'intelligenza precoce che comprende fin dall'infanzia, la tragedia inconcludente del vivere, è la bimba che sa che suo padre si è impiccato, e che, per ottenere la pace di quell'anima, si offre a Dio. La 'sua leggiadria è come un soffio di primavera; la sensibilità, il patire sono la musica dei suoi giovani anni; e nella dolce fiamma dei capelli biondi si aureola una specie di infantile santità. Eppure se Demetrio e Ara bella ci restano nel cuore. è, o non è soltanto per questa sofferenza tenace e sommessa, non è per quel loro destino di prendersi sulle spalle il fagotto pesante delle colpe e dei dolori altrui ; v'è qualcosa d'altro che ci affascina, e ci commuove. E' la loro forza, la vigoria delle loro anime — anche se avvinte e soffocate —, è la capacità di amare, è il fremito della passione, che, prima o poi, sussulta nelle loro fibre avvezze all'umiliazione e alla carità. Qui, nel cogliere il furore mal represso della passione in gente che ha rinunciato a tutto, appare la maestria pensosa e poetica del De Marchi. E per questa via, gli è dato mettere a fuoco i caratteri veri, gli accenti vivi di certi suoi personaggi. Domerio ci piace, forse di più nel 9iio primo aspetto segnato con | tocchi lesti e penetranti, quando ancor tutto ispido, ostile, appare un po' coni" orco di casa, che dopo, quand'e pstc: io e/sacrifica- to. Con quei torchi, non sol come, già si entra in quel [folto di crucci, di dispetti, rli |^malinconia, di segreta esaltazione, che si scioglierà poi in un fiume di fiamma per tra scinar via l'infelice. Non tan- to nel bene, nella pietà, nel- la virtù ci è vicino, quanto!neU'inesorabile forza del ma-lle, di ciò che — dillo amore!o tenerissimo struggimontolcrudele — quasi nega e vij,tù!e pietà e bontà, e solo a quel-jle ritorna sconfitto e strazia-1to. E Arabella? Dolicatissi-Jma, adorabile. Già nel 7)e-\ metrio è bimba che vi strappa lagrime ;. e nel romanzo che a lei s'intitola subito vi ha conniventi affettuosi fraterni. Ma la bellezza morale, ricca, sfumata, stupendamente femminile, prortftnpe, irradiandosi su tutto il passato, nelle ultime pagine quando alfine la passione d'amore, avida, cupa, con un che tuttavia di celestiale, la travolge, ed ella prima di abbandonarlo per sempre, prima di morire, si getta sul giovinetto che l'ama, e gli copre il volto di baci fitti, ardenti, mortali. Con ciò si vuol dire che nei momenti migliori, o in quelli che più ci piacciono, il De ♦♦♦♦»♦♦♦#♦♦♦»♦»♦♦♦» - i^to scrittore semplice 6em- | plice, dall'eterno sorriso asso- | littore, non è stato soltanto | un moralista sentimentale, = ma, pur nella squisita casti- = tà dell-immaginazione e del s dettato, uomo acuto e pessi- ir misticamente sicuro. Con tale amara esperienza egli sa ri.- . n ie lea e. r e o e e è aa le ntà la i, vla uoaia r è tdi eel n | cuore, par negato da natii i, ra ad ogni sentire. Eppure, o, la micia Arabella, senza vo" lerlo, con l'inconscia pietà. o, riesce 'a mettere le dita esili a- nei groppo, a districare qualsol che più fitto legamento, a far el [dolere quel buio e insondato li |groviglio di muscoli e nervi lsmuovere l'aspro problema dell'amore e di ogni passione che si rintani, ferinamente, nel cuore dell'uomo. Non è certamente questo il più popolare De Marchi, ma è quello che nella famigliare evidenza dell'opera sua è interessante ricercare. E lo si ricerchi nella quasi virtuosistica abilità dell'avventura di Palmira Pardi, quella birba di donna «tutt'ossi e spi rito, con occhi- tremendi », che di ritorno da un conve può amoroso cade sotto i colpi, implacabili del majito. ^(Questa Pardi, questo marito, questa tragedia banale e disperata, fanno pensare non tanto alla tecnica del naturalismo, quanto al meglio, di dolente e rabbrividente osser- vazione umana, senza scam- po e pur a suo. modo pieto- sa, che dal naturalismo si può trarre). O anche e me- glio, lo 6Ì cerchi nella persona di Tognin Maccagno (Arabella). Ladro di testamenti, raggiratore, uomo che s'è fatto i quattrini, come si dice, col sangue dei poveri, il signor Tognin, con quel groppd intricato al posto del an a e vene profonde. Arido uomo il Tognin;. che ci commuove proprio quando la sua aridi- n- tà anche più si rinsecchisce, l- quando l'antica consuetudine o!del male si difende dal mia-lsterioso, nuovo sentimento e!ch'egli percepisce e non diolstingiie ; quand'egli si dibatù!te sotto la stretta dpi bene, l-jcome altri si dibatte nella a-1presa della colpa e del peci-Jcato. Che poi l'affetto per la e-\ nuora diventi per lui una po vi ae, nranoe abiul li i, ei le » pallida luce, presentimento rimpianto d'altro destino di bontà e di mitezza-,- è cosa certo romanzesca e patetica, ma il segno dell'artista è in quell'aver colto la fissiLà tenace del male, e quasi un suo fosco diritto di fronte alla celeste grazia della carità. Non vorremmo, messi sulla via delbr tesi, e pur parlando in margine, aver dato una falsa impressione della nostra lettura. No, il De Marchi è proprio quello scrittore indulgente e ameno, sentimentale e umorista, che , tutti sanno. Ma- è anche scrittor vero ; e poiché sospettiamo che raramente si dia vero scrittore che nem abbia nel suo fondo segreto una dura e crudele esperienza di vita, così abbiamo cercato 6e anche nel De Marchi la sentenza è controllabile. Ed essendoci parso di sì, sulla scorta d'altri critici, abbiamo sottolineato qualche tratto. Dal quale si può risalire alla poesia. Che noi De Marchi, paesaggi, stati d'animo, fantasticherie lievi, è una specie di tristezza che si amplifica negli aspetti illusori della vita, è una specie di coscienza dilatata e rassegnata che ritrova e identifica il male, il bene, il nascere, il morire, l'amare, il perdersi, in una confusa aspirazione a non sai quale remoto perdono, a qua le estrema conciliazione e felicità. Francesco Beinaifdellì - " / 'or-f-a A rs\es> s/Zm/mo • #v» -» - I L. ailG e LUÒd alvina, ma | I , . » » , , •, , , | | POH è ma/6 Cll tàntO in tàntO | = = s scrivere anche per i lettori

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