Appelli nella notte di Concetto Pettinato

Appelli nella notte Appelli nella notte A Parigi, ricordiamo, nel 1937, ci accadeva talora, a notte alta, di aprire la radio e di imbatterci, cercando macchinalmente un po' di musica che ci allentasse i nervi affaticati dal lavoro serale, in una emittente spagnuola. A quell'ora la stazione spagnuola non trasmetteva più zarzuele nè flamenchi, nè boleri: trasmetteva quasi sempre lunghe e monotone filastrocche di no mi che parevano, all'orec¬ chio distratto, una di quelle interminabili letture di quotazioni di borsa che noi non ascoltavamo mai, non avendo mai posseduto titoli industriali, e che, quando ci capitavano all'orecchio, nelle ore diurne, ci stradavano un moccolo. Una sera, però, rinunziando alla musica, demmo retta alla strana emissione di oltre Pirenei e scoprimmo ch'era una cosa interessante. « Ramon Perez en Piacendo,, diceva la voce, s'encuentra bien, sta bene e saluta sua sorella Rosario Aranda a Lerida. Don Pedro Campos profugo a ViUanueva manda a salutare Manuelita Moreno e José Tortilla a Zaragoza. La famiglia Martinez di Barcellona, Diagonal 347, è salva a Salamanca e saluta la nipote Pepa Martinez a Huesca. Pablo Herreira di Badajoz chiede notizie di Marcelina e Carmen Lafuente a Tardienta. Cristina Garcia a Burgos... ». L'elenco continuava, e di nome in nome vedevamo sfilare, standocene lì al buio con un ginocchio fra le .mani, la lunga coda d'ignoti che da un capo all'altro della Spagna sventolava per farsi segno quel fazzoletto putativo: giovani pallide dal ricciolo nero appiattito0 sulla gota, borghesi coperti di scialli, con la barba di una settimana, vecchie mamme dagli occhi lagrimosi, soldati, pastori, miliziani, proprietari di terre; la Spagna quale l'avevamo veduta poco prima, dilaniata dalla guerra civile, mezza di-qua, mezza di là, coperta di rovine, ai ospedali, ai barelle, di caserme, zeppa di profughi e di gente in lutto, pregna d'odi fraterni, agitata da conciliaboli politici, assordata d'altoparlanti, percorsa da militari di tutti i paesi. « Cristina Garcia a Burgos saluta sua madre, Conception Varga, ad Alicante. Don Felipe Laiglesia rifugiato a Cadice chiede notizie di Asuncion Sanchez a Madrid, Atocha 25. Miguel Costa a Vitoria... ». Chi ci avesse detto, quella sera, che sette anni dopo, in una stanza di Torino, avremmo passati lunghi momenti in ascolto di analoghe emissioni italiane, compitando con accorato interesse filastrocche almeno altrettanto monotone, non gli avremmo certamente creduto Eppure è quanto ci accade E confessiamo che se tali emissioni ci son care non solo nella speranza, ahi quanto fragile!, che una voi ta o l'altra ci capiti racco gliere attraverso lo spazio, come una bottiglia lanciata in mare da una corsia di naufraghi, un messaggio er rante dei nostri vecchi lon tani, laggiù, oltre Io Stretto, un cieco saluto in cerca di noi, proprio di noi che ne Siam privi da tanto tempo, ma e sonra tutto perchè in tali laconiche, dubitose e talora disperate sequenze di nomi, in tali apDelli affidati al caso o alla ventura vediamo il ritratto parlante del l'Italia qual'è, con la sua umanità straziata e dolorosa ma anche con l'unità indivisibile della sua coscienza di grande famiglia cristiana, che a dispetto di strappi, di lacerazioni e di violenze continua a sentirsi parente e a volersi bene, a pensarsi con carità, a trepidare di reci proca sollecitudine. Qui, finalmente, l'odio è escluso e torna in scena l'amore. Qui più nessuno parla di politica o di fazioni, nessuno disputa, nessuno impreca, nessuno minaccia. Interessi e passioni, egoismo rancore, trame e turpitudini restituiscono il passo agli affetti. E' un linpuasrgio elementare, fatto di frasi stereotipate uniformemente co strette in nochi frettolosi vocaboli dalla necessità di distribuire eouamente fra i molti postulanti lo scarso numero di minuti concesso alla trasmissione: ma nroprio nella sua uniformità risiede il suo asnetto più suggestivo, in quanto che essa fornisce la prova che in mezzo a tanto contrasto di voleri e di intenti milioni di italiani hapno ancora sulle labbra e nel cuore ie sterse parole, pensano alle stesse cose, obbediscono ai medesimi sentimenti e bisogni. _ Settimane fa assistevamo in una chiesa torinese a una Messa di Padre Dallari, e vi assistevano con noi donne e uomini oscuri, in orazione chi per un cadu chi per' un internato, chi per un prigioniero, chi per un repubblicano combattente, chi per un ribelle: e ad onta di tante discrepanze di soggetto e di oggetto la preghiera di quella brava gente si rivelava unanime; e così accalcati nuali erano a spalla a spalla o inginocchiati per turno davanti alla pisside del frate, in attesa di accoglierne l'ostia consacrata, essi formavano una massa sola, una sola anima. A parer nostro, non si pon mente abbastanza a questa unità fisica della nazione, che resiste a tutti i colpi e sonravvive al disastro. E' invece, questo, crediamo, il pensiero più confortante che ci sia dato nutrire nelle circostanze presenti. Si ha un bel gettarsi a capofitto nella partigianeria, nell'estremismo o nel separatismo: il tessuto connettivo della nazione è più forte di tante trazioni contrarie e l'umanità ci vendica della politica. Ci copriamo di delitti e ci spariamo addosso tra fratelli: ma nulla è irrimediabilmente perduto finché i padri e le madri si incontrano per pregare insieme, e ogni sera i loro appelli si incrociano attraverso il cielo oscuro della patria. « Stiamo bene, bramiamo vostre notizie, vi abbiamo cari, vi stringiamo al petto, vi mandiamo baci ». Interrogazioni e dubbi ansiosi percorrono l'etere, ed è una ressa impaziente di gente eh© si cerca, un supplizio di poveri uomini sradicati dalla guerra e dispersi a caso per l'Italia. Ma i baci piovono, da un punto all'altro della penisola,- e le ore notturne ritessono, Penelopi infaticabili, la tela di affetti che le contese diurne stracciano senza posa. Stracciate, stracciate pure, sciagurati! C'è qualcuno o qualcosa che vostro malgrado ricuce, rattoppa, medica, ricostruisce. Quando i cuori parlano, non ogni speranza è preclusa. Giacché dietro i cuori ritroveranno forse, domani, il loro unissono le ineiiLi. Non vediamo già forse una strana analogia di pensieri formarsi, a dispetto di tanti ostacoli, tra l'una e l'altra parte di questa Italia in pezzi? Sembriamo estranei fra noi, e siamo invece vicinissimi. I dolori più grandi ci sono comuni. Lottiamo tutti, qual più qual meno, col problema del pane e del companatico. Siamo tutti, dove più dove meno, alle prese col problema dei mezzi di locomozione e di trasporto. Siamo tutti,, poco o tanto, vittime del problema della casa perduta, dell'alloggio assente o insufficiente. Ci misuriamo tutti, salvo differenze non sempre facili da comprendere o da pesare, col problema dell'indipendenza e della sovranità nazionali. Tutti o quasi non vogliamo più sentir parlare di monarchia. Tutti ci battiamo col problema dello Stato. Tutti, senza rendercene conto, ci veniamo incontro a passo a passo, gli uni facendo ancora una volta la mortificante esperienza dei partiti e del liberalismo integrale padre di anarchia e di impotenza, gli altri esitando sul partito unico che ci ha già inflitte tante delusioni; scontenti i primi quanto i secondi, e tutti insieme ansiosi di approdare al porto di una soluzione intermedia che ci salvi dal caos e dalla paralisi e nel tempo stesso non ci rinchiuda nell'ambito di un intransigenza dottrinale atta a far rinascere il pericolo del disfacimento segreto per deficienza di critica e di controllo. Le forze esterne fanno il possibile per recidere fra i due mozziconi d'Italia ogni fibra rimasta ma le forze interne forniscono automaticamente la materia plastica necessaria a ricongiungerli e a mantenere fra essi il ricambio organico, la circolazione sanguigna. Nelle ore più tragiche della storia non bisogna mai disperare della natura. Se gli uomini possono fallire nei loro disegni coscienti, nell'organismo di una nazione gli uomini sono come i globuli del sangue: obbediscono a una logica costituzionale superiore alla coscienza. E quand'anche vi sia, all'interno o all'estero, chi farnetica di un ritorno all'Italia illogica e contro natura del 1815, mezz'ora di ascolto alla radio ci restituisce la fiducia: quarantacinque milioni di Italiani si tendono più che mai le braccia, al di sopra della barriera che li separa, e non vedono l'ora di ritrovarsi, padri e figli, mariti e spose, fratelli e sorelle, per riparlare tutti insieme lo stesso linguaggio e solo il loro linguaggio. L'attesa sarà forse ancora lunga, e c'è forse già in mezzo a noi il mentecatto pronto ad avvelenare l'ora benedetta del ritrovamento gettando il paese nelle convulsioni in cui vediamo dibattersi la Grecia ed il Belgio: ma noi non disperiamo. Più ancora che la nostra volontà c che i decreti del destino, che non possiamo, del resto, pensare spietati verso un popolo il quale ha già tanto sofferto e così poco peccato, e in ogni caso più sofferto che peccato, il nostro istinto e la nostra ansia umanissima di rientrare nell'umano ci sono garanti del domani. Concetto Pettinato