L'esempio di Nasi

L'esempio di Nasi L'esempio di Nasi , ? i i Fra le tante amarezze causateci, dall' 8 settembre dell'anno scorso in qua (a parte Badoglio e la cricca che prepararono ed attuarono il tradimento dell'Italia e del suo popolo) da tanti capi militar: dell'ex esercito regio, ci giunge oggi una voce che ci riempie di soddisfazione e di orgoglio: quella del generale Guglielmo Nasi, l'eroico difensore di Gondar. Vi è, però, qualche cosa di sintomatico nella domanda rivolta al generale Nasi dal colonnello inglese Benton dopo la occupazione « alleata » della Tunisia, ma prima che avesse inizio l'invasione del territorio italiano; e tutto lascia supporre che non si trattasse affatto di un'iniziatrva del Benton, ma che domande del genere siane state rivolte in altri campi di prigionia ad altri generali italiani. Come avrebbero fatto gli Inglesi a pensare fin d'allora ad una possibilità di pace separata dell' Italia, non solo, ma addirittura ad uno schieramento del nostro Paese contro la Germania alleata, se già non avessero avuto sentore del tradimento che si stava, preparando? Comunque sia, constatiamo oggi che fra tanti esempi di viltà e di supina rassegnazione, ve n'è uno di un grande italiano (e ve ne saranno certo degli altri che per ora ignoriamo) anche fra i generali ir. prigionia. Guglielmo Nasi è un degno discepolo di Rodolfo Grazia ni (che primo fra i capi militari si schierò agli ordini del Duce per la rinascita della Patria) ; con Rodolfo Graziani egli partecipò alle operazioni per la riconquista della Libia e poi alla conquista dell'Impero al comando di quella magnifica Divisione Libia eh' egli aveva forgiata con l'appoggio di quell'altro grande italiano che fu Italo Balbo. Guglielmo Nasi, rimasto nell'Impero dopo la conquista, diede ancora la sua passione per lo sviluppo civile dell'Harar, del quale era Governatore; assicurò brillantemente la conquista del Somaliland che, comunque si siano svolti gli avvenimenti successivi, rimane come una delle pagine più belle nella stoiia delle nostre affermazioni militari in Africa. Ma, soprattutto, crollata la resistenza in tutti gli altri settori, egli seppe, con scarsissimi mezzi, ma con fierissima volontà, difendere l'ultimo baluardo dell'Impero, scrivendo quella che ben si può chiamare l'epopea di Gondar. Nasi, avendo dedicata gran parte della sua vita alla conquista e alla rinascita delle terre italiane d'oltremare, conosceva troppo bene quanti gravi sacrifici ci erano costate, e sapeva — ciò che troppi altri italiani dimenticarono — chi ci aveva sempre sbarrato il cammino nel nostro sforzo gigantesco di assicurare la vita e la prosperità all'ombra della propria bandiera a quegli itailiani che il suolo patrio era troppo ristretto per contenere. Dall'epoca della prima campagna d'Abissinia a quella per la conquista della Libia, dall'epoca di Versaglia fino alla conquista dell'Impero e ancora dopo, gli ostacoli più gravi li avemmo sempre ad opera dell'Inghilterra, seguita a ruota dalla Francia. Tutti coloro che hanno presente questa indistruttibile realtà storica registrano oggi con gioia le fiere parole del generale Nasi il quale, si noti, ebbe presente nel pronunciarle, più ancora che questa realtà storica, il senso dell'onore, che in un Paese che si rispetti, specie poi un grande Paese qua l'è l'Italia, deve essere al di sopra di ogni altra considerazione. Ma, accanto a questo motivo dominante, egli deve aver avuto presente il sacrificio di coloro che in questa guerra caddero con la visione di un'Italia vittoriosa e, in ogni caso, onorata e rispettata, non dell'ignominia in cui la piombarono i traditori. Fra questi caduti vi seno altre fulgide figure di generali, quali Lorenzini, un altro « africano » che mai avrebbe deflettuto d'una linea dalla via dell'onore, di Maletti, Baldassarre, Piacenza, Borsarelli, Tellera, Miele, tutti caduti in terra d'Africa alla testa dei loro soldati, come De Carolis, caduto nelle steppe ghiacciate della Russia. E' certo che se gli inglesi, oltre ai generali, avessero interpellato direttamente i soldati che soffrivano le durezze della prigionia avrebbero avuto una risposta identica a quella data loro da Guglielmo Nasi. La prova palmare sta nelle ostili accoglienze ricevute da quei capi rinnegati che andarono nei campi di prigionia per arruolare i nostri soldati come carne da cannone per gli « alleati ». Quanto diversa sarebbe o^gi la situazione dell'Italia se. dopo l'infamia deH'8 settembre, quei comandanti di Armate che lasciarono squagliare le loro unità andando poi qualcuno di essi a rifugiarsi perfino in un convento, e quei loro comandanti in sottordine, nonché gli ammiragli della nostra flotta, avessero saputo ispirarsi ai nobilissimi sentimenti che dettarono a Guglielmo Nasi le fiere parole di risposta al colonnello inglese! Si sarebbe avuto un breve periodo di sbandamento, ma la strada giusta sarebbe stata presto ritrovata e la tristissima data dell'S settembre sarebbe ora ricordata su per giù come si ricorda in Germania quella del 20 luglio. Ma cggi non vale recriminare su di un dolorosissimo passato; l'esempio di Nasi valga almeno ad ispirare la condotta di chi è ancora in dubbio sulla strada da seguire e che è una sola: quella dell'onore e del combattimento per assiderci un giorno vittoriosi accanto ai nostri alleati del Tripartito. G. Z. O.