Il Budda nero

Il Budda neroIl Budda nero Mi aveva raccontato tutto d'un finto il viaggio nella foresta alla ricerca della moglie partita con un cinese verso un'antica eri abbandonata capitale siamese, spinta da una strana passione per la statuaria tai, quella statuaria che fissa nella pietra il sorriso immoto della serenità ultra-terrena. Poi, dopo avermi detto d'avere inteso il richiamo della moglie, un richiamo che era un lamento, il compatriota, direttore della concessione di teck sull'alto Me-nang, sospese il racconto. Seguì an lungo silenzio. Per un certo tempo, non si senti attorno a noi che la vita notturna della foresta: certi scricchiolii lontani, il grattare nervoso di zampe unghiute contro la scorza degli alberi, appelli Improvvisi di uccelli notturni e lo scivolare vischioso di chissà quali volatili fra I rami, rumori, voci e canti che ci dicevano come gli esseri della giungla si cercassero, si spiassero o si inseguissero per amarsi o per uccidersi. Poi, dalle capanne dove abitavano gli indigeni della concessione, alcune voci intonarono una cantilena emozionante e semplice come una barcarola. Frattanto, la luna era salita da occidente. Le voci continuarono fino a che la chiarezza lunare, confusa come una nebbia luminosa, penetrò lentamente fra lo spessore degli alberi, rese diafani i veli d'ombra e dissipò in parte l'inquieto prestigio della notte. Allora, le lente frasi musicali, rotte da lunghi sospiri, si spensero ad una ad una nell'aria tiepida, lentamente, come singhiozzi. 10 non avevo il senso dell'ora. Ma, forse, era tardi. Pure, non ero stanco, nè il sonno si faceva sentire. Non avevo che un desiderio solo : che il compatriota riprendesse il suo racconto, perchè il racconto avrebbe costituito per lui una liberazione, una liberazione dagli incubi, dai ricordi e dai rimpianti che riempivano la sua solitudine e l'accompagnavano inseparabili come un'ombra. Ma non osavo interrogarlo. Lunghi anni di vita vagabonda a contatto di esuli, di avventurieri, di teste calde, di uomini che non si sono rassegnati a vivere luVigo la strada dove il destino li ha posti e non hanno avuta abbastanza volontà o abbastanza fortuna per trovarne una migliore, mi hanno insegnato a non interrogare mai costoro. Perchè, se si interrogano, generalmente non rispondono o, se rispondono, non dicono sempre la verità. Bisogna sapere attendere. Ed io attendevo, quella sera, sicuro che il compatriota avrebbe ripreso il racconto. E, difatti, lo riprese. Ma con voce un po' più rotta e rauca. Perchè l'avventura della moglie verso l'antica capitale s'era volta in tragedia. Difatti, accorso al suo richiamo, egli l'aveva trovata rantolante, consumata dalla fatica e dalla febbre. Ma la donna non parlò deiie sue condizioni, non si lamentò del male che la travagliava e l'uccideva, disse solo, ma quasi con gioia e come separasse d'una vittoria raggiunta : — L'ho vista... E' meravigliosa... Ne sono contenta... Poi, con gli occhi scialbi e il presentimento della morte vicina : — Per favore, la borea... quella borsa. 11 marito trovò sull'erba una borsa di cuoio e gliela porse. La donna ne trasse un mazzetto di appunti e diversi rotoli di fotografie. — Falle sviluppare e vedrai come sono belle ! Gredo che siano più di centocinquanta... Ho cercato di avere una visione completa della capitale... Ma sono entrata anche nei particolari... — Non stancarti ! — le raccomandava il marito. — Riposa ! Ma la febbre dell'avventura vissuta non le dava requie. E continuò a parlare infaticabile nella lucida frenesia del delirio: — Il cinese mi lasciò dopo appena due giorni dopo avermi portato via il denaro, quel poco denaro che avevo con me e che, d'altronde, non mi sarebbe servito. Proseguii da sola. Attraversa? la grande foresta, dove i tronchi degli alberi e la volta dei rami appaiono come le colonne e la navata d'una immensa cattedrale. E Je cose sono tanto grandi, tanto enormi da fare paura... — Ed io ho avuto paura ! — le sussurrò il marito. — Poi, ho camminato ancora tre giorni e all'alba del quarto la capitale mi è apparsa davanti. La inalata si interruppe per alcuni secondi. I suoi occhi scialbi brillarono d'una luce fosforescente. La sua voce stanca e spezzata si fece intensa e grave come quella dì un iniziato che ha avuta una visione sovrumana. — Sovra un leggero rilievo roccioso, la capitale era come un porto alla fine d'un immenso oceano di verde... Sfa, sotto la valanga di luce che mi accecava, davanti all'orizzonte che indietreggiava senza tregua, fra l'agitazione immobile della foresta che la circondava come un anfiteatro e nella vitrea vibrazione della luce, sembrava come una grande nave da guerra arenata per sempre. Aveva i fianchi verdastri, il ponte sfondato « gli alberi rotti... Erano le grandi pagode distrutte, le guglie e I campanili mozzati dal tempo o dal furore iconoclasta degli invasori... Nel delirio parlava con pause alterne e raccoglimenti precisi. — Mi avvicinai. La capitale non era che una vasta impresa di demolizione, un im menso cimitero di statue de capitate, mutilate, sfracellate. Solo una torre era intatta, una torre quadrata di un'iltezza incredibile, sui quattro lati della quale spiccavano in altorilievo quattro testo di Budda in pietra nera, enormi e con occhi di smeraldo, occhi inumani, donde era bandita la serenità del Budda, occhi crudeli che attiravano, incantavano, uccidevano. Riuscii a fatica a liberarmi dalla loro malia e fuggii... _ Il delirio era al parossismo. Gli occhi della malata non avevano più lampi di vita. Per tre ore, ancora, la capitale con le sue pagode sfondate, con le guglie e i campanili mozzati non fu più che la carcassa di una nave incagliata, che oscillava cullata dal ritmo sonnolento della foresta. E lei vedeva le pagode sfondate ricostruirsi nella loro integrità, le guglie ed i campanili mozzati erigersi di nuovo verso il cielo e poi ricadere spezzati per ricomporsi ancora. E, dopo tutte queste allucinazioni, l'ultima, la suprema : il Budda nero dagli occhi di smeraldo che l'attirava a eè per ucciderla. Paolo Zappa

Persone citate: Paolo Zappa