Perchè l'Ungheria s'è ribellata al tradimento dell'armistizio

Perchè l'Ungheria s'è ribellata al tradimento dell'armistizio Come ai tempi del "moriamur,, di Presburgo Perchè l'Ungheria s'è ribellata al tradimento dell'armistizio (Servizio speciale de « La Stampa ») i Budapest, 23 ottobre. J Magiari — è noto anche a chi non conosce l'Ungheiia altro che attraverso le cartoine illustrate — sono un popolo di sentimento fervido, ai fierezza indovuta, di alta ea appassionata fantasia. , Vi è, nella loro stona, un episodio famoso che li scolpisce intieri: uno di quegli episodi che bastano a far capire 'anima di un popolo e la sua vita profonda. E' un episodio del Settecento. Carlo VI d'Asburgo, morendo senza lasciare prole maschile, aveva — con la sua ceebre « Prammatica Sanzione » del 1713 — proclamata erede degli Stati asburgici la figlia Maria Teresa, sposata a Francesco di Lorena. Ma la «Prammatica Sanzione-» rappresentava una forzatura delle leggi ereditarie della monarchia, forzatura che non tutti accettarono. Intervennero le potenze straniere e ne nacque una guerra lunga e tremenda, quella che nei munitali di storia affligge ancor oggi gli studenti col nome di « Guerra di successione d'Austria ». E ad un certo punto le cose sì ntisero molto male per Maria Teresa: cacciata da tutti i suoi Stati ereditari, essa non ebbe altro rifugio che in Ungheria. Maria Teresa e i Magnati L'Ungheria era assai incerta anch'essa sulla via da scegliere. I suoi interessi sarebbero stati piuttosto favoriti, forse, da una disfatta della sovrana usburghese; v'era nel regno tutta una corrente assai forte per aderire alla coalizione contro la erede di Carlo VI. Ma Maria Teiesa — che non era l'ultima venuta in fatto di accorgimenti — ebbe un' intuizione geniale in cui l'amor di madre si mescolava con l'astuzia della sovrana. Essa decise di non trattare con gli Ungheresi, ma di confidarsi a loro, di abbandonarsi a loro, di toccarli nella fibra loro più sensibile, quella della generosità un yo' orgogliosa. Perciò arrivò di sorpresa, con pochissimo seguito di guardie e di trabanti, a Presburgo, l'odierna slovacca Bratislava, dove si teneva la Dieta del Regno ungarico; e si presentò quasi sola, col suo primo bambino in braccio, dinnanzi ai magnati ungheresi per invocarne la pietà. Un vero colpo wiffiu, degno di quella forte ito.?--;., 'che ella era. L'effetto sulla a' ute magiara fu im- \}rOV>lSO. I*t iH.ilu. della So- Viuna, cacciata da tutti i suoi regni, che ora si presentava là, vestita a bruno, come una vedova, a chiedere aiuto per sè e per l'orfano, impressionò tutte le fantasie, toccò tutti i cuori. Ogni calcolo politico fu superato, ogni dubbio fu travolto. E tutti i magnati dell'Assemblea, commossi e lusingati di vedersi invocati come protettori, trassero la spada, e proruppero — in latino, perchè il latino, allora, era la lingua ufficiale della Nazione — nel grido unanime: «Moriamur prò rege nostro Maria Theresia! ». Tutta la questione fu decisa così. In un impeto di passione. E tutta l'Ungheria si buttò a fondo nella guerra e diede a Maria Teresa l'appoggio più forte per la nuova ascesa im- periate. E' questo un episodio notissimo, lo abbiamo detto; e la scena dei Magnati che snidali e levati le spade nella Dieta di Presburgo è imo degli argomenti topici della pittura patriottica ungherese. Ma, insomma, la scena è vera; e il grido superbo « tnoriamur prò rege nostro » fu gridato davvéro, da gente che sapeva morire sul serio; e quel grido magiaro è uno dei culmini ideali della storia di Occidente, di cui la storia di Ungheria è parte integrante. (A proposito, nella storia balcanica, che « non » fa parte integrante della storia di Occidente, si cerca invano un grido come quello, in cui si senta così chiaro il gusto della lealtà, della fedeltà, dell'onore). Questo popolo ha nuovamente gridato nei giorni scorsi questo gridò: «Moriamur»; esso ha gridato in faccia ai politicanti che volemmo consegnarlo legato, mani e braceia, al mostro bolscevico éhe brutalmente sta devastando alcuni suoi territori nella « puszta ■» sconfinata. slgurvvvfiafvdpfias In Santo Stefano Siamo stati ira i pochi testimoni italiani di questo grido nella storica cattedrale di Santo Stefano, dove una folla immensa di budapestini, che rappresentava tutta l'Ungheria, al suono di tutte le campane della capitale, ha rigettato le condizioni dì vergogna in cui alcuni spregiudicati mestieranti della politica aveva«o gettato il Paese intero. Non potremo mai dimenticare lo spettacolo di questa folla facente di sè viva sponda all'Esercito che si era rivoltato compatto, senza una — diciamo una — defezione all'ordine di depoire le armi. Quando udremo ancora un grido similei Era un (irido disciplinalo in cui si alternava soltanto una frase: «Moriamur prò Patria nostra». D'un tratto, dal silenzio si levava, un coro cadenzato, martellato, che si mescolava, subito dopo, alle preghiere al Creatore: quindi le bocche tacevano, c'erano pause di alcuni minuti e il silenzio eia quello di una folla in chiesa, attento, prono, senza bisbigli. La vocalità della folla era monocorde, senza stavolta la tipica fantasia ungherese dei momenti di gioia: non si poteva /'He nessun paragone con le folle di altre chiese di altri acsi, così immaginose e ver¬ a ò a ù - a i a a l ò a o i , i e ì , ; i e o a i a e a . e a o e o o o ò i , , l a a e i ¬ satili, per esempio, come quelle italiane. Ma in quell'accento di preghiera sentita si avvertiva una. solennità patetica che raggiungeva ugualmente le vie del cuore. Poiché noi avevamo il privilegio di vedere; e vedere, in questo caso, significava completare V emozione acustica osservando nei suoi molteplici aspetti il giande affresco umano che ci stava davanti. La folla recitava con reazioni disparate; uno pregava e cantava a gola piena, ridendo negli occhi; un altro pareva spiritato; chi era infiammato e chi era pallido, cui aveva l'esultanza raggiante e chi mostrava una faccia sotcata da una smorfia di spasimo. .. Qualche cosa era già cambiato alla mattina. Non vedemmo più, in Quel negozio ebreo, quella fotografia di Stalin, il collo quadrato fuor del bavero di pelo di capra, gli occhi piccoli e crudeli, gli zinomi duri, la bocca sanguinaria, i baffi neri larghi e spioventi il berretto dalla stella rossa; non la vediamo più questa maschera, l'unica maschera di Stalin sicuramente apparsa nelle vetrine di Budapest, e forsfi di tutta V Ungheria. Vediamo, invece, soldati che partono per le pianure di Debrecen, soldati che -vanno dove la guerra non è ancora arrivata; passo di reclute, panno ancora nuovo, scarpe di cuoio fresco duro crocchiante; e sorridono tutti sotto le bustine dei berretti che ancora non portano con cipiglio militare, sorridono per queste strade di Budapest che lì inquadra tutti in una cornice di festività, invece che in quella di vergogna nella quale i traditori si rìpramettevano di imbandierarla. gividogrmnpBgmnmMccl'rDSul Ponte delle Catene Quegli ebrei dalle grosse automobili e dall'aspetto concitato che vedemmo nel pomeriggio, mercanti di maschere, avvocati della demo crazia, quegli ebrei in combutta con quelH di Londira, Parigi, Bucarest, Varsavia, Mosca, Madrid, Praga, massoni, fratelli muratori, non li vediamo più; sono scomparsi come per incanto. Not'ieie davvero nuove. In Budapest, quuiche cosa è veramente mutato. Il trad-iinento e la vergogna per secoli hanno sfiorato, appena appena sfiorato, il volto e il cuore delta città, con le loro dita di obbiezione moiale e polìtica. Budapest che la sera prima era piangente, al mattino è esultante nel vedere tutti i suoi figli in armi, nessuno escluso.' Me ne dà conferma, se ancora ne avess'i bisogno, il capitano M. che oggi mi tia voluto a colazione in casa sua. Il pranzo prooedeva rigorosamente, secondo la tipica li. sta ungherese: brodo risti-etto, « gulas », formaggio con fettucc'me fatte in cusa; il barattolino della paprica viaggiava instancabilmente dall'uno all'altro dei commensali che ne cospargevano copiosamente ogni pietanza; e inaffiavano il tutto con birra scura o con quel vino magia, ro dolce e pesante forse nn poco drogato. « Ad Antul, nostro vendicatore » disse il capitano guardando con fierezza un ritratto del figlio soldato. «Anta! — disse la madre — è sul fronte di D':brecen». Mi informai, dopo le parole del capitano, se la ]u mtacrtupdmaLpèmi ecletcttcotcldepppnsWstsgcmfbtstTspgnabsaMrahlbarnclTil^ZTT6 '"^Jf/i^i"della dittatura comunista dei\t19. Mi rispose, da parte ajUciascuno, un gesto foorrme.\m«Voi non potete iminugi nare — mi disseio — Budapest rossa. Era uno spettacolo tetro, desolante; i negozi aperti solo qualche ora al giorno, i caffè ed i ritrovi cMusiE pei- le vie la teppa rossa armata agiva ad arbitrio. Cittadini venivano fermati e fucilati in mezzo alla strada per un sospetto; financo sui gradini del Parlamento vi furono esecuzioni sommarie; e pacifici preti, ignari, trucidati peoj esempio ». « Una sera — disse il capitano — sentivo grida disperate mentre camminavo lungo il Danubio. Poi qualche tonfo in acqua, che, nel silenzio della città morta, fece un lugubre effetto. E un trapestio di scarponi in fuga sul ponteAndate sul pente delle Catene. C'è murata una lapide. (Sono andato sul ponte delle Catene e ho visto murata sul pilastro la lapide con i nomi degli uccisi. Interminabili ponti sul Danubio che pare sempre di essere arrivati sulla sponda onposto e si sta ancora a metà. I fanali qttineatì sulla spalletta rendevano per contrasto l'acqua ancor piùbuia. E vortici si accendevano di riflessi diacci attorno al vilone a picco sotto il pilastro della lapide). Gli orrori di Bela Kum « Mio padre — disse la signora — fu arrestalo all'improvviso e trascinato a forza fuori di casa: vennero quattro ceffi, « i ]u,i\ di Lenin » e buttarono ogni cosa all'aria. L'indomani il babbo ricomparve in casa vestito da contadino e disse dì essere scampato per miracolo al plotone di esecuzione. Si trattenne qualche istante tra noi, poi fuggì pelvici tersi in salvo; e ilòti era passata una mezz'ora che avernino dì nuovo in casa la guardia rossa; ci onestarono tutti, la mamma, me. due fratelli più piccoli, come complici della fuga di nostro padre e ci portarono nel cai cere bolscevico. Poi la caduta del ve¬ lg girne di Bela Kun ci salvò la vita; ma ancora di oggi, quando per caso di notte sento un : grido, involontariamente tremo al ricordo dì quelle giornate di orrore». Nel ricordo degli orrori perpetiati nel 1919 dal regime dì Bela Kun, tutto il popolo ungherese, l'autentico "popolo magiaro, al radio appello annunciante la richiesta di armistizio ha risposto unanime: Moriamur prò Patria nostra, che è il grido di un popolo che conosce solo le leggi dell'onore, della lealtà, della fierezza. Renzo Pandolfo