I nemici del mondo di Concetto Pettinato

I nemici del mondo I nemici del mondo Se volessimo fare in due parole la diagnosi dell'odierna situazione psicologica e morale dell'Italia al di qua dell'Appennino, dovremmo dire che il nostro Paese è infermo di confusione delle idee. Le guerre che si prolungano generano sempre una tal quale confusione di idee, ma il fenomeno si produce sopra tutto allorchè si tratta di guerre presentate sin dagli inizi quali guerre ideologiche. Nelle guerre di questo genere bisognerebbe, come a bordo dei piroscafi in navigazione quando si è perduta di vista la terra, fare il punto ogni giorno. Viceversa coloro cui spetterebbe illuminare il pubblico sul senso degli avvenimenti, e fra questi in primo luogo i giornalisti, a lungo andare si stancano d'insistere sugli stessi argomenti e preferiscono trattarli per preterizione, presumendoli noti a tutti. Abbiamo conosciuto, in Europa, un solo giornalista capace di scrivere per dieci o vent'anni il medesimo articolo una volta la settimana, ed era Leon Daudet : ma a questa rara abnegazione il celebre polemista finì con l'essere in debito della più solida fama di seccatore che sia mai stata raggiunta, a dispetto di doni eli vivacità e di forza difficilmente superabili. Ora chi ci dirà se ai fini della propaganda torni più efficace annoiare i lettori a forza di convincerli o lasciarli dubitasi a forza di non annoiarli ? In ogni caso, quello che al nostro pubblico non dovremmo stancarci di ripete're è che la guerra in corso non costituisce una confusa rissa tra avversari entrati in lotta per caso o per capriccio e ridotti dalle circostanze a tentare di sopraffarsi alla cieca in omaggio a vuoti criteri di preminenza nazionale, ma l'urto deliberato e necessario di tre concezioni diverse dell'as"fitf'W^ciale ed economico. fono -itÀ^er l'appunto, risiede' !a differenza tra la prima e la seconda guerra mondiale. Fallita la pace di Versaglia, contrariamente alla credenza dominante, non tanto per colpa delle sue clausole territoriali quanto per non aver saputo affrontare e meno ancora risolvere il problema della successione della società capitalistica aperta da quel clamoroso fallimento dell'ordine liberale, era logico che gli anni successivi dovessero decidere della possibilità o meno di giungere con mezzi pacifici alla soluzione auspicata. Essi ne decisero in senso negativo. E ne uscì la nuova guerra. I postulati di questa sono dunque nettamente segnati: lotta fra le tre formule costituzionali proposte alla società di domani, cioè tra la formula liberale, la formula comunista e la formula social-fascista. La posizione non potrebb'essere più chiara. Essa fu chiara, infatti, e agli occhi meno perspicaci, sino a quel 22 giugno 1941 allorchè Germania e' Russia vennero fatalmente alle prese. Giacchè fin là i campi della grande contesa erano due, essendosi le plutocrazie schierate da un lato mentre dall'altro stavano, soli, i popoli proletari, e questo' creava una situazione netta e razionale, atta a persuadere i più tetragoni e raccogliere l'adesione dei più diffidenti. Ma il 22 giugno 1941 uno dei popoli proletari, il più proletario di tutti, almeno per ^ virtù di antonomasia, quello sulla cui bandiera stava scritto : « Proletari di tutto il mondo, unitevi! », fece causa comune con le plutocrazie. Da quel momento l'opinione pubblica cessò di comprendere. Cessò di comprendere perchè alla figura razionale del conflitto subentrava l'assurdo. Con qua! diritto le potenze del Tripartito potevano ormai più sventolare il vessillo della guerra proletaria, quando la Russia- sovietica scendeva in campo al fianco dei miliardari demo-liberali di Londra e di Washington? L'alleanza russa fu, politicamente forse più ancora che militarmente, la chiave magica dei successi anglo-americani, la maschera mercè cui le plutocrazie riescirono a gabbare il mondo conquistandolo moralmente prima ancora di aver messo piede sui moli di Casablanca. Per spiegare la nuova situazione Roma e Berlino provarono che comunismo e capitalismo non sono poi tanto lontani fra loro, giacchè il comunismo in Russia è ormai più che altro un capitalismo di Stato, e gli i operai sovietici non sono, in pratica, meno impotenti degli operai i:- Tlesi e americani, anzi stanno peggio di loro, e da ultimo perchè i due regimi, ner quanto nell'apparenza antitetici, hanno fra loro quella decisiva parentela che risiede nell'essere entrambi segretamente governati dalla potenza giudaica. La spiegazione non era infondata, ma forse un po' troppo sottile. Il comunismo è in Russia effettivamente un capitalismo di Stato, e per giunta un capitalismo militarista e imperialista, ma riesce difficile assimilarlo al capitalismo anarchico dei grandi trust3 anglo-americani; e se gli ebrei signoreggiano tanto -V-uno che l'altro, il fatto è da attribuire assai più alla vecchia arte ebraica di trovarsi ai posti di comando dovunque ci sia qualcuno e qualcosa da comandare che non a un preordinato disegno di far servire il capitalismo al trionfo del •comu¬ nismo o questo al trionfo di quello, che sarebbe alternativa difficilmente concepibile. A parer nostro, fra capitalismo liberale e capitalismo sovietico in realtà Israele non ha ancora scelto. Si è sistemato a suo bell'agio in prima fila tanto nel primo quanto nel secondo, ma la sua opzione definitiva dipende dalle fortune ulteriori dei due sistemi, i quali, checché se ne dica, non dipendono soltanto da lui. L'assurdità dell'alleanza fra plutocrazia e comunismo si poteva spiegare, d'altra parte, con una considerazione molto più semplice e razionale: trattarsi della lega dei due estremi contro il medio. Il connubio russo-atlantico è mostruoso ma logico. Nella gara fra tre campioni è chiaro che quello dei tre il quale ha dalla sua le maggiori probabilità di successo deoba raccogliere l'ostilità solidale degli altri due. Ora che il social-fascismo o social-nazionalismo che dir si voglia abbia dalla sua le madori probabilità di successo è, se non provato, postulatile in virtù della buona ragione, troppo spesso dimenticata da chi lo difende e troppo abilmente nascosta da chi lo combatte, che si tratta di una formula di conciliazione, di un programma intermedio inteso a eliminare gli inconvenienti dei due programmi estremi di cui sopra. Il nemico del mondo, amici miei, non è il fascismo: sono quei partiti o que. gli uomini che, tra liberalismo e comunismo, non vogliono intendere la necessità di un compromesso, l'utilità generale di un mezzo termine il quale prenda il meglio dell'uno e dell'altro ossia il rispetto della personalità umana del primo e la razionalizzazione economicosociale del secondo, cavandone un sistema che assicuri il maggior benessere e il più congruo sviluppo alla classe lavoratrice senza schiacciarla nei quadri di un anonimato asiatico privo di viscere e faccia del capitale una ricchezza della comunità senza uccidere lo spirito d'iniziativa nè stroncare del tutto quell'attaccamento alla proprietà che, nelle sue forme elementari, costituì sce uno dei più potenti im pulsi al lavoro e al progres so umani. Concetto Pettinato

Persone citate: Giacchè, Leon Daudet