IL RITORNO DI SILLA di Concetto Pettinato

IL RITORNO DI SILLA IL RITORNO DI SILLA pure zioni di amor proprio di cu noi latini siamo così ghiotti ma ha imposto loro la par te di sgherri della plutocrn zia anglo-americana in Eu ropa: e non è una parte co moda. La politica di Lava prometteva loro, invece, la fine delle guerre continentali, una collaborazione europea delle più feconde e forse, in un avvenire più o meno prossimo, il recupero di un ascendente culturale europeo che la Francia oberata, spasmodica e bellicosa degli ultimi decenni aveva nettamente perduto. Chi oserà giurare che la seconda dello due politiche fosse davvero meno buona della prima? Ma la prima, si dirà, restituisce la Francia al suo grado di grande potenza mentre la seconda rischiava di farne un semplice membro di una famiglia numerosa. Un momento: non dimentichiamo che, dovesse la guerra risolversi nella vittoria dei non-europei, la Francia quale gendarme degli Anglo-americani questa volta ha fatto fallimento. Nel 1940 essa si è battuta lo stretto necessario per capitolare. La parte assegnatale dai due patroni atlantici, quella di baluardo destinato a sostenere, come nel 1914, l'urto germanico i per fiaccarne a proprie spe-[ se la prima irruenza e permettere agli alleati di prepararsi con comodo a intervenire, non è stata assolta. La linea Maginot non ha funzionato. L'esercito si è sbandato ai primi colpi, in capo a tre o quattro settimane. Gli Inglesi sono stati costretti a imbarcare precipitosamente e alla meno peggio il loro unico corpo di spedizione. Firmato l'armistizio, significativa protesta di una nazione tacitamente decisa a non lasciarsi svenare un'altra volta, il paese si è accantonato in angolo morto e i suoi alleati oceanici hanno dovuto cavarsela da loro, o piuttosto, incapaci di cavarsela da loro, han no dovuto ricorrere alla Russia, adattandosi preventivamente ai molti inconve nienti che quella collaborazione implicava. In seguito, De Gaulle ha fatto del suo meglio per procurarsi qual che buona carta facilitando lo sbarco angio-america'rio in Af~.cn e fornendo agli Al1 ati reparti di truppe di colore per aiutarli a invadere l'Italia: ma il concorso è riescilo modesto e al momento della resa dei conti non si mancherà di ricordarglielo. La speranza di tornare come nulla fosse alla situazione anteriore al 1939 è dun- S que oggi, per la Francia, molto probabilmente illuso- a i o n a n A , o l a i a a i i i a a a e a a o a l e i e e a a n . o o ¬ rla. Né Londra né Washington si fidano più abbastanza di Parigi per affidarle come prima le chiavi dell'Europa. Ambedue quelle capitali pensano che sui Francesi non è più possibile contare se non in misura assai ridotta. E, pigliando le mosse di qui, non solo non è affatto sicuro che esse siano disposte a trattarli ancora da grande potenza, ma non è nemmeno certo che non si proclamino obbligate, dolorosamente obbligate, ad assicurarsi sul territorio coloniale e metropolitano della Repubblica una serie di posizioni-chiave che le garentiscano contro il ripetersi di sorprese analoghe a quelle patite. I degollisti obbiettano naturalmente che, se la Germania soccombe, la si porrà in condizioni da non far più paura a nessuno e non vi sarà quindi motivo di garentirsi contro un ipotetico collasso francese: ma l'Europa non finisce là dove gli Anglo-americani sognano di far finire domani lo Stato o gli Stati tedeschi. In Europa c.' è la Russia, e chi garentisce Londra e Washington che la Francia, e specialmente una Francia semi-bolscevizzata, potrebbe domani o doman l'altro servir loro di forza di copertura contro la Russia? Ecco perchè dicevamo che la ragione e il torto sono relativi. Relativi allorché si tratta di pronunziare una sentenza davanti a un tribunale ordinario, a maggior ragione lo sono quando il tribunale è quello della storia e quando l'istruttoria del processo è tuttora aperta. Nei panni di Charles De Gaulle, noi procederemmo pertanto con una certa cautela. Come finirà la guerra e ancora ignoto, malgrado le apparenze. Ma ignoto è soprattutto il giudiao che i posteri emetteranno sui meriti rispettivi del generalecolonnello e dei sudi avversari interni. Non è ancor giunta l'ora di stabilire chi, fra lui e Pétain, alibia meglio lavorato al salvataggio dell'Europa e alla istruzione di un migliore «vvenire continentale. In quanto a noi Italiani, possiamo sin da ora dire una cosa saa: con De Gaulle, affiancato da Massigli, torna al |otere a Parigi la nostra remica acerrima, la Francia del Grande Oriente, la Francia De Gaulle è rientrato a Parigi scortato dalle furie del Terrore. Degno figlio della patria delle «idee chiare », il generale 3i dispone a procedere in modo ben altrimenti sistematico che non il suo collega Bonomi. Affinchè le sue vendette riescano complete, egli ha ordinato il controllo dell 1dentità personale dell'intero popolo francese. Si torna, mutatis mutandis, al censimento di Erode. La rassegna durerà quanto durerà, ma dopo una fatica simile non c'è più da temere che qualcuno possa vantarsi di esser sfuggito al castigo. Le liste di proscrizione rinascono, come al tempo di Siila: abbiamo davanti a noi una beila epoca. Del generale Giraud il vincitore ha tentato disfarsi giorni or sono facendogli sparare addosso da una sentinella negra di Algeri. Degli altri lo disferanno, a poco per volta, i tribunali. Dopo, a sentir lui, ] pl'Europa respirerà. Giacche la caratteristica dominante dì questi novelli raddrizzatori di torti è più che mai la certezza d'essere infallibili. Della quale certezza, o della quale presunzione, non sappiamo, comvuque, se l'intera colpa ricada realmente sopra di loro. Molti anni or seno, ricordiamo, un nostro ministro del Commercio, il senatore Cavasola, avendo preso un granchio nel disimpegno delle proprie funzioni, ebbe la rara onestà di recarsi alla Camera e di confessare candidamente di essersi sbagliato. Non lo avesse mai fatto! Tutti gli furono addosso ed il meschino, prefetto di vaglia e gentiluomo intemerato, dovette senz'altro dimettersi. Gli è che il pubblico non ammette che chi io governa non abbia ricevuto dal Pa racleto il dono dell'infallibilità. O infallibile, o niente. Ma poiché a questo mondo di uomini infallibili non ce ne sono mai stati, fuorché, per virtù di dogma, sul soglio di Pietro, ne consegue che la pretesa in questione è proprio una delie cause da cui i governanti sono niù spesso indotti a mancare di ovestà i;ei confronti dei governafi',' sia persistendo deliberatamente nei propri errori, a dispetto del classico perseverare diabolicum, sia tentando dissimularli con la bugia. Sarebbe, invece, tanto meglio per tutti se si riconoscesse francamente che non si può sempre imbroccarla giusta e che il fatto d'essersi sbagliato non costituisce un delitto, a condizione che vi sia buo- znmtzrmpftrfmdersvoddpsgmdbsmnpmqmbpsadnpsmpfna fede, né tampoco un mo- tivo per continuare a sba- gliarsi, allo stesso modo che il fatto di non essersi sbagliato non costituisce una garenzia che si debba continuare ad aver ragione! Ragione e torto sono eminentemente relativi. Gli uomini hanno, al contrario, per lo più una deplorevole tendenza a ritenerli assoluti. De Gaulle torna in Francia col volto, l'anima e la prosopopea del giustiziere: ma è egli certo che i suoi avversari stiano proprio del tutto dalla parte del torto? Difficile contestare che le apparenze, sino a questo momento, depongano in suo favore. Egli ha optato sin dal primo istante per la continuazione della guerra a fianco degli anglo-americani, e questa politica ha finito col riportarlo a Parigi alla testa di un governo provvisorio, mentre' Pétain si vede messo, almeno provvisoriamente, fuori gioco. A prima occhiata De Gaulle, dunque, è un grand'uomo, e Petain no. Ma proprio qui sta la prova della estrema relativicà dell'aver ragione e dell'aver torto. Un giornale inglese, il Daily Mail, scriveva ancora ieri che in vari quartieri di Parigi le fucilale tra francesi amici e nemici della Germania continuano senza interruzione. Dobbiamo davvero concluderne che questi ultimi siano dei pazzi o d*ei «venduti»? Mettiamo l'aggettivo tra virgolette perchè è il titolo classico che i feticisti dell'anglo-americanismo hanno affibbiato una volta per sempre a chi H"a riposta la sua fiducia nella grande Potenza centrale, e aggiungiamo subito che tale conclusione ci sembra assurda. Ci sembra assurda perchè, comunque finisca la guerra, non è Sfratto sicuro che il partito adottato da De Gaulle sia in realtà il più patriottico. De Gaulle fa la politica inglese, la solita politica che la Francia ha fatta dall'epoca di Edoardo VII e dé\VEnterite cordiale: ma questa politica ha fruttato al suo Paese due guerre in vent'anni, la devastazione di larghi tratti di territorio, un fiero colpo alla propria già precaria situazione demografica e un congruo salasso finanziario. L'anglolatria avrà arrecato ai Francesi anche dei vantaggi, e fra questi un certo numero di quelle soddisfa¬ di Versaglia. Ma attraverso la nostra città abbiamo udito passare ieri, non importa se momentaneamente profuga, un'altra Francia, una Francia nuova, una Francia matura alla collaborazione europea e che alla buona causa ha dato già, come noi, molti martiri. Questa Fran: eia nuova, ancorché sin qui disgraziata e calpesta com e disgraziata e calpesta 1 Italia, noi la salutiamo con emozione, ceni quali siamo ch'essa non è una Francia di traditori nè di ••< venduti » ma una Francia fraterna con la quale vi sarà forse un giorno molta strada da percorrere insieme. Concetto Pettinato