Una confessione di Concetto Pettinato

Una confessione Una confessione La lettera di Croce a Bohemi divulgata dal giornalista americano Harry Parker sta facendo del chiasso. Diciamo subito che in linea di massima essa torna ad onore di chi l'ha scritta e questo non solo pel eiùdizio severo formulatovi sulle condizioni dell'armistizio dell'8 settembre, ma pel riconoscimento inclusovi del trattamento cavalleresco che il filosofo godette da parte del regime fascista — « a parlare onesto non potrei dirmi un perseguitato dal fascismo » — e delle condizioni di vita che furono quelle del popolo italiano in generale nel ventennio 192242 : « un popolo che, pur tra le spire di un regime a me inviso, non poteva dirsi schiavo e il cui lavoro incontrava ovunque rispetto e considerazione ». Dichiarazioni di questo tenore, fatte in un clima di antifascismo radicale quale quello regnante nell'Italia invasa, provano un certo coraggio morale e meritano di essere rilevate con simpatia. Saldato, però, questo dsbito, non è men doveroso azgiungere che la lettera dell'eminente filosofo porge il fianco a più di una critica. Anzitutto la resipiscenza crociana arriva troppo tardi. E' meritoria la sincerità del confessare che le condizioni imposte all'Italia dalle «democrazie* sono tremende, che le clausole della capitolazione sono spietate e che <■ niuna forza militare e verun accorgimento politico potrà modificare quei patfi a nostro vantaggio*: ria accorgersi oggi di queste verità banalissime non serve a nulla. Ritirarsi dal governo per non dividere la responsabilità di una situazione che, poco o tanto, si è concorso a creare è una mossa la quale servirà, forse, a mettere a posto la coscienza di Croce e a salvare ia sua riputazione presso le vittime del tradimento, ma non potrà mai scagionarlo dalla colpa di non aver previsto in temno quello che stava per accadere e di non aver mosso un dito per im- ! pedirlo. Benedetto Croce I scopre oggi che la capitola- ì sione è stata un pessimo af-l ftre: noi. che pur non siamo, filosofi, sapevamo in anticipo ch'essa non nofeva essere 1 nulTaltro. Quello che per lui' sembra costituire una sor-1 presa e inflio"Ter"li una delusione per noi era sin dal 1940 certezza assiomatica. Egli si illuse: noi, no. Ora in politica non è lecito illudersi, cioè errare, e meno che mai nuando si presume fungere da guida spirituale ad un grande popolo. Del resto, abbiamo noi il diritto di dire, dopo avere esaminata la lettera di Croce, che egli si ritiri dal governo Bonomi unicamente perchè convinto d'avere errato? Non sarebbe di gran lunga più esatto imputare le sue dimissioni al ratto che « le prime curiosità che fecero seguito al suo ingresso nella vita politica sono svanite lasciando il posto a una totale e per lui spiacevole indifferenza » e all'essersi accorto che, « fuori del ritiro in cui per tanto tempo si era chiuso, egli parlava ormai un linguaggio agli altri gelido e lontano » ? Benedetto Croce sperava forse, non appena nominato ministro, venire accolto dagli Italiani come il Papa del liberalismo, una nuova Sibilla cumana, un nuovo profeta Elia, l'augure intemerato la cui parola è vangelo, i cui consigli la piazza accetta senza discutere. Egli si è trovato invece in mezzo a una banda di energumeni ciascuno dei quali pretenderebbe risolvere il problema italiano secondo le ricette del proprio partito e nessuno dei quali è dispioto a transigere, con l'aggravante che nemmeno la qualità di vegliardo è più tale da fruttar credilo, stima e reverenza in una società di governo dove gli ottantenni sono legione. Anche questa dev'esser stata, per lui, una delusione: ma anche questa è una delusione poco legittima. Non aveva dunque ancora capito, l'illustre uomo, che in un mondo quale quello attualmente alle prese nei due emisferi non c'è più posto pei liberali, pei discettatori dell'idealismo, per gli spiriti imparziali e indipendenti, e che tutto si riduce al duello spietato fra diverse concezioni autoritarie, la meno autoritaria delle quali non è probabilmente quella di cui Churchill e Roosevelt portano la bandiera? Il merito della ritirata di Benedetto Croce è, d'altronde, notevolmente attenuato dalle forme in cui egli la effettua e dalle parole con cui l'accompagna. Che cosa vuol dire quel suo calcare la mano sugli « alleati ed amici <- anglo - americani », sulle « cortesi insistenze e lusinghe dei comandi alleati », sui « nostri amici angloamericani - ? Come può il signor Croce onorare ancora di tali nomi a qualificare' con tali aggettivi uomini che, per suo stesso ricono- : scimento, non hanno esitato ad imporre ai suoi connazionali patti che non consentono loro « nè di essere libe-: ri, nè di lavorare liberamen- i te, nè addirittura di chiamarsi liberi » ? E come può ! il signor Croce mettere tanto studio nel sottolineare che la sua lettera non deve, non fia mai!, venir tolta come una protesta contro i vincitori, e nell'aggiungere, affinchè non sorgano equivoci, che quel che costoro pretendono <: hanno il diritto di pre. tenderlo» e nel raccomandare, per soprammercato, che le sue dimissioni vengano attribuite « a motivi di salute e di vecchiaia», noti già al rifiuto di avallare con la propria permanenza nel governo le dimissioni imposte al popolo italiano? Deplora Croce la durezza delle con-L dizioni di armistizio 0 non la deplora? E' egli disgustato della maniera in cui i) vincitore tratta il vinto 0 ritiene egli viceversa che ta1.2 maniera sia incensurabile? Il suo risentimento è insomma rivolto contro il nemico della patria ovvero contro il governo italiano e lo stato di cose usciti dal 25 luglio e dall'8 settembre 0, più semplicemente, control gli Italiani, i quali, sottovalutando l'importanza della sua presenza in questo governo, danno molto più retta a Sforza e a Togliatti che non a lui ? Si tratta, per dirla in una parola, di un verdetto storico 0 di un ripicco senile ? Nel primo caso capiremmo il suo atteggiamento, nel secondo confessiamo che esso ci lascia perplessi. Ci lascia perplessi perchè non fu Bonomi, al postutto, a firmare l'armistizio nè a ordire il colpo di Stato. Ci lascia perplessi perchè se Croce intende rivolgere il suo atto di accusa, esplicito o sottinteso, contro Badoglio, il titolo di •<■• ambiguo Badoglio » torna di gran lunga inadeguato alla gravità senza pari dell'addebito. Badoglio non fu ani- biguo: fu sin troppo espli- cito, almeno nei riguardi dei congiurati. E qual sen- so avrebbe il prendersela con questi uomini, il primodei quali, a detta dello stes-so Croce, «risse all'esteroa lungo e non ha quindi vivo come lui il ricordo del-1 rilalia dei tempi di pace ìBonomi stava ali estero, ma\egli, Croce, viveva a Napoli e doveva pur sapere come andavano le cose e a quali tremende conseguenze, a quali atroci risvegli un armistizio concluso in quelle condizioni avrebbe esposto il paese. Accusare i propri colleghi del gabinetto non è dunque un darsi la zappa sui piedi? Bimane in predicato una sola ipotesi: che il filosofo avesse una tremenda paura di attirare sul proprio capo il rancore e le vendette degli Anglo-americani e abbia formulata la sua lettera nei termini che sapete unicamente per mettersi al coperto da un gesto di violenza dei medesimi. Ma in tale ipotesi, quale ritrattazione!, quale confessione di leg-j gerezza o, peggio, di impo-stura, da parte di un uomoche sino a ieri aveva fatto del suo meglio per dipinge-re agli Italiani gli A.nglo-americani come i primi po-poli del mondo, i più degnidi ammirazione, i più giù-sti, 1 più generosi, i più li-berali!, e come comprendia-mo il cocente rimpianto del- la tolleranza fascista adom-brato a più riprese nel suoscritto! Dal tardivo ravvedimentodell'autore dell'Estetica gli Italiani non ravveduti hanno milito da imparare. Ma la miglior lezione che nescaturisca è che per servire a qualcosa anche i rav-vedimenti non debbono es-sere tardivi. Il buon Dioammette in Paradiso i pec-catori pentiti in punto di morte. La storia, meno in-diligente di Lui. non sa chefarsi del <■: meglio tardi che mai * e non assolve chi ca-pisce quando il capire è di- ventato inutile. Concetto Pettinato

Luoghi citati: Italia, Napoli