Un grande italiano

Un grande italiano Un grande italiano Quattro anni sono trascorsida quel tragico 28 giugno '40 in cui, sul campo di fortuna di Sidi Azeis, al confine libico-egiziano, attendemmo invano l'arrivo in volo del Maresciallo Balbo. La sera del 25 a Dcrna — l'ultima volta che lo vedemmo — s'era trattenuto, come sovente soleva fare, coi cinque giornalisti allora accreditati presso il Comando Superiore Africa Settentrionale e aveva detto congedandoli: « Ci rivedremo il 28 nel corso dell'azione cui vi ho concesso di partecipare ». Nel tardo pomeriggio, non arrivando il Maresciallo, rientrammo a Porto Bardia, e fu là che l'indemani mattina apprendemmo la tristissima notizia. Italo Balbo, che quotidianamente si portava fra le sue truppe, era partito dalla sede del Quartier Generale per venire, come aveva detto, fra i reparti di Sidi Aztis, ma, vo-lendo compiere anche quelgiorno, come sempre faceva, una sosta a Tobruk, punto basilare e nevralgico della nostra guerra al fronte egiziano, vi capitò in pieno allarme per una azione aerea nemic-a. E avvenne la tragica fatalità che ne troncò l'esistenza e costò all'Italia la prima grave sciagura di questa guerra. Infatti, la scomparsa di Balbo si rivelò per noi, sotto molti aspetti, una perdita insanabile. Egli non era soltanto un uomo di assoluta onestà e schiettezza e di vera quanto intelligente devozione a Mussolini, ma aveva un'ampiezza e lucidità di vedute tali che, nel quadro generale della guerra e della situazione interna, a-vrebbe rappresentato un fattore costruttivo di valore, veramente eccezionale. Non è nostro intendimento fare una delle solite commemorazioni del grande scomparso, nè di rievocare, essendo ormai cose note e consegnate alla storia, la sua opera nel campo aviatorio, culminata nella Crociera del Decennale, e la gigantesca costruzione realizzata nei sette anni in cui governò la Libia. Vogliamo invece rilevare qualche aspetto meno noto della sua aita personalità e della vastissima attività che egli svolse al servizio dell'Italia. Diremo, anzitutto, che, contrariamente alla faciloneria di molti superficiali, egli comprese fin dal primo giorno che questa guerra sarebbe stata lunga e durissima. A qualcuno che il 10 giugno si e'ra lasciato sfuggire qualche giudizio scherzoso rispose asciutto e accigliato: La guerra è una cosa seria! Ma già vari giorni prima, in un rapporto tenuto ai fascisti di Tripoli al Teatro Miramare aveva pronunciato un discorso che dai più venne allora ritenuto pessimistico, ma che fu soltanto un imperioso richiamo alla realtà. E quando, ed un certo punto del suo discorso le acclamazioni proruppero più intense, si rabbuio come gli accadeva nei momenti di maggior contrarietà e ammoni secco secco: Smettetela coi vostri applausi. Ci ritroveremo dopo i primi bombardamenti nemici; e sarà allora che dovrete dimostrarmi il vostro entusiasmo. Ora prepariamoci al combattimento. E prevedendo gli sviluppi della guerra aerea, aveva detto inoltre: Non fatevi alcuna illusione e incominciate fin dalle pi ime sere a lasciare la città; se non troverete di meglio dormirete magari sopra una stuoia che vi porterete da casa... E intanto aveva provveduto, tra gli ultimi di maggio e i primi di giugno, al trasporto in Italia di circa 14.000 bambini, quasi tutti figli dei coloni sparsi nei 23 villaggi e nelle migliaia di C3se ch'egli aveva fatto costruire in soli due anni per le grandi migrazioni di rurali in Libia; e aveva favorito e stimolato l'esodo di altre migliaia di donne e bambini. Vivranno più tranquilli loro, mentre per noi sarà l'equivalente di almeno un Corpo d'Armata che non graverà sui rifornimenti via mare, disse sulla banchina del porto quando l'ultimo piroscafo salpò le ancore, appena in tempo utile per giungere in un porto nazionale prima dell'ora X. Profilatisi i primi attacchi inglesi dall'Egitto, egli lasciò Tripoli il giorno 13 giugno per raggiungere il fronte orientale, donde non ritornarono che le sue spoglie, che tutta una popc-lazione reverente seguì fino al Mausoleo ove già erano raccolte quelle delle medaglie d'oro della Libia. L'opera di Balbo all'Aeronautica segnò la più solenne smentita al feticcio della « competenza », e la dimostrazione che, quando si è animati da una fede e si hanno intelligenza, volontà e, naturalmente, onestà, la competenza la si può presto acquistare. Digiuno di aviazione quando assunse la carica affidatagli dal Duce, in pochi mesi aveva conquistati gli animi di coloro stessi che non avevano nascosto la loro ironia, divenne poi pilota eccelso e creò quella potenza e quella organizzazione aviatoria che furono di modello per le altre nazioni. E quale priorità per l'ala italiana e quali altri grandi successi per i nostri valorosi aviatori in questa guerra se tanti anni fa fossero stati ascoltati i suoi suggerimenti di pioniere per l'impiego del siluro lanciato dall'aereo! Ma i «competenti?- dello Stato Maggiore della Marina non vi dedicarono che la loro incredulità e il loro scetticismo, mentre, invece, gli inglesi ne fecero tesoro e ci regalarono i siluramenti di Taranto! Altrettanto avvenne, purtroppo, nel campo del paraca autismo, dove egli non"fu sol-i tanto ub precursore, ma an- che, nei limiti che gli furono possibili, un audace realizza-tore. Infatti, egli costituì in Li- bia un bellissimo battaglione di paracadutisti arabi inquadrati da ufficiali e graduati naziona- li che compi interessantissime prove nelle manovre svoltesi nel marzo 1938 nella Gefara tripolina fra il XX e il XXI Corpo d'Armata. Noi che si viveva in Libia pensavamo ingenuamente che se laggiù, coi limitati mezzi a disposizione, Balbo aveva attrezzato quel superbo battaglione di paracadutisti, in Italia dovevano esisterne almeno alcune Divisioni. Invece la quell'epoca non ce n'erano, e all'inizio della guerra si era su per giù nelle medesime condì jvia |pre zioni. Lo Stato Maggiore evi dentemente non credeva all'efficace impiego bellico di que ste nuove unità. Balbo possedeva poi unasemplice, ma grande virtù che mancò purtroppo e manca tilt-torà a tanti italiani: prendeva problemi e cose sul serio epretendeva che tutti attorno alui facessero altrettanto. Giu-sto fino allo scrupolo, non le-sinava le lodi a chi le meri-tava, ma guai a sgarrare. Conlui ognuno filava dritto, a co-mlnciare dai burocrati, che, massoni o no, dovevano marciare col passo svelto ch'egli aveva impresso all'ascesa civile ed economica della Libia. Audace, ma non temerario, Balbo era prudentissimo nei riguardi degli spostamenti per aerea e consigliava semagli aviatori di non vo■»♦♦♦♦»♦< lfu- P°i lui che, assieme lare contro 11 responso del bollettino meteorologico. Una sola volta lo vedemmo derogare, e soltanto per se stesso, da questa regola prudenziale, e fu quando durante l'ultimo circuito aereo sahariano, volle partire da Bengasi per Cufra nonostante un forte ghibli; ma era per ricercare l'aviatore conte Mazzotti che da alcuni giorni era sperduto nel deserto; e difatti al ge- |nera!e Cagna, altro grande 'scomparso di questa guerra, riuscì a rintracciarlo, ! E nemmeno durante l'ultiim0- tragico volo di Tobruk di|fetto la sua audace prudenza, lLa sua morte gloriosa, degna !clolia sua Del,a esistenza, fu lciovuta soltanto ad un avverso ! destino, che fin d'allora si ac cani contro l'Italia, riservandoci, nel corso di questa guerra, le prove più dure. Ma se sapremo ispirarci al nobilissimo esempio e al grande amor di Patria di Italo Balbo, ritroveremo ancora la via della vittoria, che darà finalmente al nostro popolo un'era di pace, di lavoro e di prosperità. G. Z. Ornato