Le nostre donne

Le nostre donne PROFILI DELLA RAZZA Le nostre donne La bellezza della donna ita- culiana è immota, precisa, e topare che tutto si muova in- sttorno al suo viso, alberi, mon ti, acque, nuvole. Visi dolci e severi cui fa da sfondo, quasi direi da contrario, un magro e virile paese. Dal loro modo di camminare diresti che le nostre donne hanno del mondo un concetto limitato, finito, puramente fisico, come se tutta la terra si potesse percorrere in quattro passi e la frontiera del mondo sensibile fosse quel muro, quella siepe, quella collina. Un'andatura lenta e felice, che prende possesso delle colse, degli elementi, e del paesaggio. Ho veduto donne camminare sullo sfondo di paesi delicatissimi, dove i monti sfumavano in lievi trasparenze nei cieli altissimi, dove i fiumi indugiavano pigri nel verde dei campi, e sembrava che il profilo di quei volti sereni cancellasse dal paesaggio ogni traccia di impurità, perfino quella lieve bava che la luce del giorno al suo declino lascia sugli aspetti della natura, come la bassa marea sulla riva del mare. Ho assistito ad incontri di donne e di foreste, montagne, pianure, di donne e di animali in aperti pascoli. La loro presenza suscitava nelle greggi, nelle torme di cavalli, negli alberi, nelle 6elve di rovi e di ginestre, un improvviso scompiglio, quasi un attimo di incertezza o di felice pazzia. I cavalli si impennavano contro il muro turchino dell'orizzonte, le lunghe criniere sparse nel vento, le greggi fuggivano qua e là, si raccoglievamo belando, come in attesa di una carezza, un lungo mormorio, un moto e una voce di vento, passavano tra i rami e le foglie. Le donne camminavano recando sulle spalle anfore, mannelli di er ba o di grano, canestri colmi di frutta. E il gesto del braccio alzato a reggere la brocca, il paniere, il covone di spighe dorate, pareva che insieme trattenesse la fuga impaziente dei cavalli nel cerchio di un breve orizzonte, limitato dalla misura del passo, e addolcisse le fronde e i velli inquieti. Ho assistito ad incon tri di donne con uomini stari chi e polverosi, che tornava no dal lavoro. Un chiaro riposo vedevo a poco a poco spandersi nei visi arsi dal sole e dal vento, una quiete prò fonda illuminare le fronti virili, dove la fatica aveva in ciso le 6ue ombre fangose. Ho visto donne accostarsi a feri ti, a moribondi, ed ho sentito la morte ritrarsi dal capezzale, appoggiarsi al muro bian co della stanza, presso la porta, in attesa delusa. I/e ho viste accendersi d'ira,'combattere come furie. Orgogliosissime donne, le nostre, cui soltanto l'amore e la pietà fanno freno. Nulla le degrada, nulla le avvilisce. Ne la malattia, nè la miseria, ne certe indegnità dell'umano stato. Ho visto donne al lavoro, nei campi, nelle officine. Nei loro gesti cauti vi è il senso di un dono fatto alla fatica, la rivelazione di un riposo intimo, che la fatica non tocca nè turba. Si curvano sui solchi, sul telaio, ogni tanto al zano gli occhi, si guardano intorno stringendo le labbra Lo sguardo è dolce nel viso severo. Il patto fra loro e la fatica è il silenzio o il canto ; solo nei momenti di sosta sor ridono, si parlano. In quel loro sorriso si rivela il segre to della loro fatica, che è i segreto della maternità. E più sono belle quando la terra è gravida, e il grano germoglia, le prime gemme di marzo splendono sui rami, l'erba nuova ha incertezze argentee nel vento, e la terra si gonfi? lievita, inattese colline nascono durante la notte davanti alla finestra, i monti mutano forma come onde all'orizzonte, nuovi letti si scavano i fiumi primaverili, sonori e impetuosi, gli animali si muovono con grazia inconsueta. E' l'amorosa stagione, piena di misteriosi richiami, cui la donna ponge più attento l'orecchio: seduta, nelle tiepide sere, sull'uscio di casa, sente muovere nel suo 6eno un germoglio segreto. Si riconosce madre nella maternità della natura. Un grato odore di pane si spande nell'aria. L'uomo sa che questa è l'ora e la stagione in cui la sua donna meno gli appartiene, posseduta com'è da quell'immensa forza feconda che solleva e trasforma la natura intorno. Così vi sono stagioni, nella storia del nostro popolo, in cui l'uomo sente che la sua donna non gli appartiene interamente. E sono le misteriose stagioni in cui l'Italia oscuramente si trasforma: anni e secoli d'impegno, dei quali non sempre l'uomo avverte il profondo travaglio. Poiché proprio nel grembo femminile la dignità del nostro popolo, e la sua libertà, più sicuramente sono pabigichpledstlenmdseficalige fisgSbddsedrulpillndcpstzgsrpttsCGss ustodite. Sempre è avventio, da noi, che nei t«mpi triti i figli fossero migliori dei padri. Avviene talvolta che i birabini parlano un loro linguaggio misterioso, antichissimo, che gli uomini non intendono più, dimenticato forse da mile anni. Un linguaggio che le donne hanno gelosamente custodito nel loro seno. Poiché e donne non dimenticane, non perdonano. Sono più ferme, più severe, più costanti degli uomini. Quando tutto sembra perduto, partoriscono figli che non hanno dimenticato, nè perdonato. Gli Italiani conoscono questo prodigioso potere delle loro nonne, e a quello si affidano, con una fiducia, e una speranza, cui si deve in gran parte la dignità delle nostre tradizioni. Sebbene la donna italiana abbia per costume di tenersi in disparte dalle scene del mondo, la sua presenza nascosta sempre si avverte nell'ombra dei damaschi e delle bandiere, negli angoli oscuri delle umili case e nelle pieghe della cronaca illustre. Nè lo scalpitar dei cavalli, nè le voci imperiose, nè il tintinnio delle armi, il rullo dei tamburi, le canzoni soldatesche, riescono a coprire il canto delle donne curve sui telai, sui solchi, sulle culle. Nessuno capirà mai il segreto della nostra 6toria nazionale, se non tiene conto di questa presenza invisibile, quasi direi magica, da cui dipendono i pensieri, le opere, le imprese virili. Non solo nel canto dei poeti, nella prosa degli scrittori politici, ma nello stesso tumulto delle lotte civili (basta pensare a Dante, a Dino Compagni, al Machiavelli, al Guicciardini) ti par d'essere, come attraverso una porta socchiusa, un acciottolio di stoviglie, il ritmo di una culla, un parlottare sommesso di fantesche; un rider di bambi ni, un lieve camminar nella stanza di sopra, o quel morir del respiro sulle labbra di una donna, quando infila il refe nella cruna dell'ago. Poiché non soltanto di pietà, di amore, di grazia è fatta Tintima forza delle nostre donne: ma di un rapporto fisico con gli eventi della nostra vita di popolo, come se realmente la storia d'Italia, più che una continua conquista dello spirito virile, fosse un frutto del loro seno. Stati invasi e oppressi, città distrutte, carestie, morbi, rivolte producono turbamenti immensi nel grembo femminile, assai più che negli ordinamenti delle città e degli Stati. Meglio che nelle opere e nelle imprese degli uomini, la legge costante della nostra storia nazionale, che è legge di ordine, di giustizia, di civiltà, si rivela in quel che di religioso, di fatale, di ineluttabile, si accompagna presso il nostro popolo, al concetto di materni tà. L'Italia è l'unico paese al mondo dove le norme morali, alle quali la donna obbedisce, non hanno origine da un sistema filosofico, da un codice sociale, da una tradizione civile, bensì da quella stessa necessità e armonia che regolano i rapporti fisici tra i fatti storici e la maternità, fra la vita dei popoli e l'amore materno. Poiché la donna italiana è sempre, e sopra tutto, madre, più che sposa, sorella, amante. E veramente le cupole, le colonne, le torri, i palazzi, le navi, gli eserciti, le città, i regni nascono dal suo grembo: e lo spirito dell'uomo non fa che riceverli in dono. Renzo Pandolfo PpnoVmrszicsvnrotoTS

Persone citate: Dino Compagni, Guicciardini, Machiavelli, Renzo Pandolfo

Luoghi citati: Italia