Gol cuore gonfio verso il domani

Gol cuore gonfio verso il domani Gol cuore gonfio verso il domani Inghiottire amaro, anche se à troppo amaro, stringere i denti, rialzare la testa e fissare lo sguardo In avanti, all'avvenire che ci aspetta, scuoterci dal torpore e serrare la volontà. Ecco il nostro dovere dopo la perdita di Roma; fare che questa dolorosa amputazione che non potrà mai cicatrizzarsi prima della riconquista, che farà sempre sangue, dopo la momentanea prostrazione si muti in empito di riscossa. Sì, dobbiamo ribellarci; contro gli eventi avversi, contro noi stessi: e la ribellione avrà ragione degli eventi e della passata ignavia nostra. Percorrendo, in una giornata afosa e triste dell'estate scorsa, le strade ingombre di rovine ancora fumanti di una delle nostre città più ..scienti, floamente » martoriate, ci siamo fermati, per un bisogno fisico, che sentivamo di spaziare un momento lo sguardo e respirare una boccata fuori del polverìo arido e odoroso di bruciaticcio delle macerie, in una di quelle piazzette che coi loro quattro alberi vogliono costituire gli insufficienti polmoni dei quartieri densi di fabbricati e avari di verde. Apparentemente, a non guardare attorno le case sbrecciate con le finestre che parevano tante occhiaie vuote, i muri paurosamente isolati e alcuni strapiombanti, la piazzetta non sembrava fosse etata colpita; ma i platani letteralmente nudi e mutilati dì tutti i rami, ridotti a meri tronconi scheggiati slmili a quelle piante immaginate dagli illustratori della Commedia per il Canto dì Pier delle Vigne, testimoniavano d'un grosso ordigno di distruzione scoppiato nei pressi. Lo spettacolo che poco prima avevamo visto là vicino, pietoso e raccapricciante, di salme dilaniate che venivano estratte da una impossibile buca che coi martelli pneumatici s'era riuscita a praticare dopo più d'una settimana di affannoso lavoro, diremmo quasi che non ci impressionò quanto la visione dei miseri platani, anch'essi come le altre vittime innocenti; e ci avvicinammo a un di essi, come per accarezzarlo, per dirgli una parola di solidarietà, di conforto. Si era tutti un po' strani, quasi pazzi, in quei giorni, e si aveva tanto bisogno di dire e di sentire parole di conforto! Ma alle piante si parla? No. Parlò il platano schiantato, invece, a noi; come, vicini che gli fummo, potemmo vedere che sul nudo troncone già si erano gonfiate alcune gemme nuove Bguainantesi per l'interna pressione delle foglìoline impazienti, e guardando in basso, vedemmo già ripullulati, teneri e verdi, arditi virgulti. Contro la legge delle stagioni, dopo lo schianto, quell'albero prendeva a celebrare, in agosto avanzato, la sua primavera. E ammoniva, e ci confortava,- imponendo nello spettacolo di morte che era tutt'attorno il diritto della vita; che non può finire, anche de il tronco è schiantato e nudo, quando le radici mandano alimento di linfa. Ci sovveniamo oggi, ripassando da quella piazzetta cara ai giochi garruli dei bimbi del rione, del nostro platano, e lo guardiamo con un amore quasi fraterno, con un senso di intima riconoscenza; lieti di vederlo già di nuovo chiomato di verde, che affretta il tempo a rifarsi, per tornare presto a dare ambra pei giochi dei bimbi, mentre intorno le case degli uomini sono sempre disabitate, rettangoli di mattoni pietosi dov'erano le occhiaie, due tavoloni a croce di Sant'Andrea ai portoni bruciati, e il chiosco del giornalaio alza all'estremo dell'aiuola indifesa e calpestata la sua cuspide arrugginita di ferri contorti e di lamiere accartocciate. Sì, siamo riconoscenti a quel platano, che in un momento di accoramento di tristezza e di abbandono, conforto non prese da noi ma ce ne diede, ci insegnò che la vita continua, deve continuare se le radici sono salde e mandan linfa, che anche il tronco schiantato e nudo può tornare a rivestirsi di verde, può riavere la sua primavera anche contro il corso delle stagioni e affrettandolo. SI, questa Italia dilaniata e offesa, oltraggiata dai suoi stessi figli e dai nemici martoriata, oggi che ha perduto Roma resta un tronco quasi informe, ma la vita ha pure essa i suoi diritti, e tornerà, deve tornare a im porli se le radici sono sane e mandan linfa. Occorre smuovere il terreno attorno alle radici, operare di spatola per liberarle dalle incrostazioni calcaree, e di sarchiello per aiutarle a respirare dopo che il suolo fu calpestato. Muoviamoci dun. que, che anche noi vogliamo saltare la stagione, non possiamo aspettare che cali il verno e poi dia il posto alla primavera prima di vedere che le gemme si gonfiano, che • dal troncone ripullulano 1 nuovi virgulti. Forse s'è battuto troppo attorno al piede della pianta, forse le radici sono asfittiche; non importa, esse riprenderanno a respirare — queste radici di una razza che attin- f;e le sue origini nel corso lonano dei secoli —, a mandar su linfa, nuova e fresca, perchè la pianta non muoia, perchè la pianta resista: questa pianta che si chiama Italia. Se il terreno è duro sia più affilato il sarchiello, se c'è sotto gramigna abbarbicata si mettano a nudo e si liberino anche di questa le radici, se il braccio stesso d'un ramo ha preso mala piega si operi d accetta; gli eventi incalzano e ! i non possiamo indugiarci in 1 otose attenzioni, e del resto 1 avvenimento è troppo grande, e assai doloroso, perchè ron abbia influenza in tutto v. ritmo della vita, nazionale. Pai 4 giugno, tutto deve essere in funzione di Roma, tutto si deve muovere nell'orbita di Roma. Ora l'Italia invasa non ha più il nome delle 6ei regioni meridionali e insulari, ma un nome solo: Roma. Che tutte le abbraccia, le esprime, le al Nmacol'acoocnenasidrisincsbdi dos'aquziometrasuchrecouoogsi tuItanemdiauai secolibmghcostdespglastapidil'eprtamrealchnoil d'l'odiretopnc sadsisibusegvdmdLdCpartpgcsdsdmfdtdgsspsrddonsnsmElsSrvda i a a , e e i e e n , i o a e e a l o di i o o a ei e ni e, e a iinaa oine a re nco re le innalza, le avvicina vieppiù al nostro cuore. , . Nel supremo amore di Roma dobbiamo ritrovarci; occorre che ognuno scopra nell'altro il suo stesso volto e riconosca quello di un fratello; occorre che tutti si sia uniti nell'ideale che ci deve accomunare, che ogni motivo di dissidio — e ogni causa — sparisca fra noi, che cessi ogni incomprensione derivata dallo sbandamento. E se qualcuno di noi, pur se suo malgrado, con la s.ua presenza fisica s'accorge che può ostacolare questo processo di chiarificazione, che deve compiersi immediato e rapido, si sappia ritrarre, si sacrifichi per il fine supremo ogni ambizione affinchè possa sgombrarsi il terreno da ogni pregiudizio. Che cosa possono rappresentare gli uomini di fronte all'idea? E oggi l'idea ha un solo nome: si chiama Roma. Già il Duce, che primo fra tutti gli Italiani e più d'ogni Italiano ha Roma nel cuore e nel sangue, perchè sente Roma, promuovendo quel provvedimento di clemenza — che ci auguriamo venga esteso anche ai già condannati e agli stessi semplici « iscritti al P. N. F. » col quale viene restituita la libertà a tanti detenuti per motivi politici, ha rotto il ghiaccio in un settore particolarmente delicato, e dimostrato la volontà del governo della Repubblica Sociale di spianare 11 terreno alla migliore comprensione; ma gli astenuti, i recalcitranti, i ritardatari si muovano: non è più tempo e clima di atteri dismo, questo. Troppo durò l'equivoco, troppo a lungo si protrasse il torpore; la caduta di Roma sia lo oftoc traumatico che dopo. lo schianto restituisce più franco vigore all'organismo. Che se questo choc per malaugurata ipotesi non dovesse produrre appieno il suo effetto, allora indegno d'ogni cura si dimostrerebbe l'organismo perchè incapace di reazioni, si autodlchiarerebbe morto. E un popolo morto non ha diritto alla storia perchè ha rinunciato alia vita. Ma la reazione già sta manifestandosi. Non improvvisa c violenta, come del resto non sarebbe desiderabile, ma graduale ed estesa, come è olù sicura. E Roma non si considera e rimpiange come un bene perduto, si sente come un premio da rimeritarsi. Forse mai come in questi giorni gli Italiani del nord furono vicini a Roma, e sulla sua caduta più d'una lagrima di rimorso, in cui v'era promessa di redenzione, venne versata. Le radici riprendono a mandar linfa al tronco schiantato. Come nel platano della nostra piazzetta... Forza, mano alla spatola e al sarchiello. Aria a quelle radici. *, * * dtafeblamgcrpppinscspnqcdcillopdlasacplspUtfcviphcngrpaslMa non dovrà dominarci oltre la visione di Mario che piange sulle rovine di Cartagine, o di Cristo stesso — che ci perdoni se è irriverenza — sulle mura di Gerusalemme distrutta, ed essere nostra insegna. * L'evento che tanto duramente colpisce la Patria martoriata — hanno telegrafato al Duce i comandanti delle Divisioni in addestramento — appartiene alla storia di ieri, è la tragica conseguenza del tradimento. Noi siamo la storia di domani, noi siamo la riscossa che si prepara ». Ecco, essere tutti la riscossa che si prepara. Con gli spiriti, innanzitutto, per secondare le opere. Come il buon trasteverino della rapsodia pascarelllana, oggi veramente « semo tutti ne la storia»; perchè eventi storici sono scoccati a dominare e involgere la nostra stessa vita quotidiana. Roma è caduta? Viva Roma. Perchè non cade l'idea. E Roma è un'Idea. Terse le lagrime, alziamo fiera la testa, a ciglio asciutto. Così. Serriamo i denti a condensare la fermezza della nostra volontà, purificati dal lavacro di dolore, tutti colpevoli fino a ieri, tutti degni domani. E ora, avanti. Franco de Agazio c

Persone citate: Duce