Torna la febbre di Concetto Pettinato

Torna la febbre Torna la febbre Si è consumato molto in«hiostro per bollare d'infamia la distruzione dell'Abbazia di Montecassino : ci chiediamo quanto converrebbe farne scorrere per scrivere l'epicedio di quel capolavoro insuperabile che fu la bonifica delle paludi pontine. Le necessità della difesa hanno costretto ad'allagarle. Ma quand'anche non isi fosse dovuto procedere a questo tragico sacrificio riportando volontariamente l'acqua là dove tanto ingegno, tanta forza e tanti quattrini erano stati spesi per sloggiamela, siamo convinti che i grossi calibri e le bombe aeree del nemico sarebbero bastati a rovinare da soli la più bella creazione dell'Italia rivoluzionaria. Hanno demolito le case coloniche, le torri e le chiese: ma hanno anche rivoltato la terra- dei cimiteri, squarciato e ostruito i canali, fatto a pezzi gli argini e le dighe. Il flutto che il lavoro italiano aveva imbrigliato, domato e ripulito si è riaperto il varco fuori degli alvei di cemento irti di staccionate. Qua e là la pioggia stagna di nuovo limacciosa, e l'acqua gracidante di rane ricomincia a stemperare la gleba appena asciutta, trapelando insidiosa fra zolla e zolla, mentre i centri aziendali consacrati alle memorie dell'altra guerra — Carso, Grappa, Sabotino, Montello, Pasubio — diventano, quasi attirati dal peso di quei nomi, essi medesimi luoghi di combattimento, ridotte provvisorie, fortini fulminanti e fulminati. Una volta, non molti anni addietro — non più di tredici, per intenderci — era questo il temuto regno del Teppia, del Monsignore, del Murillo e degli altri torrentacci che d'inverno spingevano giù a furia le acque selvagge dei- Lepini per lasciarle poi a dormire e corrompersi al piano, intorno alle pittoresche rovine di Ninfa, formando tra canneti e macchie di giunchi larghi specchi abbaglianti sotto il sole, dove in primavera si pescavano ciriole da arro •stire sui sarmenti e d'estate regnava l'anofele e il taf a no. Qua e là, dai due lati dell'Appia, arruffavansi a perdita d'occhio l'erica e il lentischio, donde sull'orlo dei fossi si alzavano i cerri neri e ombrosi, i sugheri dal tronco sanguinante come carne scuoiata di fresco e qualche casale giallo. Tratto tratto sull'acqua passavano stormi di quelle anitre o di quelle folaghe che alla fine del secolo scorso si pigliavano al laccio o si cacciavano all'avvallo in tempo di luna, e si vendevano una lira il pezzo ai fusticari. Il quadro del 1930 era insomma, su per giù, quello del Rinascimento, quello del Medio Evo. I papi del secolo XVI, da Leone X a Sisto V, avevano tentato risolvere il rompicapo, e vi si eran provati, alla fine del Settecento, anche Pio VI, mercè la costruzione della Linea Pia, e nel 1862 Pio IX col suo consorzio idraulico di bonifica. Ma non s'era venuti a capo di nulla, e un territorio di una settantina di migliaia d'ettari, formante in parte le tenute dei Borghese e degli Antonelli, restava tuttora perduto per l'agricoltura, utilizzabile solo d'inverno pei cavalli e le greggi pascolati da un manipolo di cavallanti o di pastori girovaghi, che trovavano asilo nelle famose leifstre dal tetto di paglia, votati dalla nascita al giallo terreo della malaria. Sino al 1924, l'ottanta per cento del, la scarsa popolazione del luogo la formavano infatti loro, i malarici. Si viveva come si poteva, a passo ridotto, grazie al chinino e all'abitudine, al fatalismo millenario della razza. Ma sopratutto si moriva, giacché un terzo dai malarici non tardava a soccombere. La vigilia di Natale del 1928, promulgata la legge sulla bonifica integrale, il quadro mutò. Si die mano alla sistemazione idrica dell'Agro, lavorando giorno e notte allo scavo di quel canale Mussolini che doveva raccogliere e gettare in mare a Foce Verde le acque della regione, aprendo una fitta rete di canali minori attraverso il comprensorio di Piscinara, creando gli impianti idrovori delle bassure di Vetica e di Ole vola, e sistemando, l'alveo dell'Amaseno. Mille e quattrocento chilometri di ca nali e 500 chilometri di strade cilindrate costituirono il primo assalto della lotta contro la brughiera, la febbre e la solitudine. Il 14 febbraio del 1931 l'Opera Nazionale dei Combattenti iniziava, tra furiosi incendi di stoppie, la trasformazione fondiaria, dissodando una ventina di migliaia di ettari l'anno. E cominciarono a nascere le città. II. 30 giugno 1932 fondazione di Littoria. Il 5 agosto 1933 fondazione di S1ntrnpvamsl'sliagLcasdgbcgtbfdsrclgnlrasdcgcdbzsclalnnnttrvlcdmscmdecp o , i o o o a l , i e e o o e o i a 4 a ti di oa ae 2 5 di Sabaudia. Il 19 dicembre 1934 fondazione di Pontinia. A Littoria, in una contrada dove prima della bonifica il valore netto dei prodotto annuo non superava le 80 lire l'ettaro, sette anni dopo, tenuto calcolo del mutato valore della moneta, si .toccavano già le 2000 lire l'ettaro. A Sabaudia si passava in sei anni da 35 a 1875 lire. A Pontinia, in cinque anni, da 170 a 2650 lire. Nel giro di centottanta giorni Littoria vide sorgere più di cinquecento case coloniche, e avanti che questo tempo fosse trascorso il prjmo treno di coloni faceva già il suo ingresso ih stazione. A Sabaudia spuntarono ottocento case in cinque mesi e il 27 giugno 1935 Mussolini vi trebbiava con le proprie braccia il primo grano. Poi, fu la-volta di Aprilia. E poi di Pomezia. E poi la vita straripò da ogni lato. Sulle strade dritte come regoli filavano allegre le biciclette- delle fattoresse, delle spose, delle ragazze sgargianti e dei baldi coloni venuti giù da Treviso, da Belluno, da Padova, da Ferrara a mescolarsi col tardo agricoltore primigenio disceso non senza diffidenza da Sermoneta e da Sezze. I campi fumarono, neri e grassi, strepitarono le macchine agricole, il grano biondeggiò, verdeggiarono il tabacco e la vigna, e sorsero zuccherifici, sili, fattorie, scuole, chiese. Cinque mila case coloniche e una popolazione di- cinquanta mila anime sulle sole terre dell'Opera Combattenti! E Università agrarie a Sermoneta, a Cisterna, a Bassiano, con altre migliaia di ettari di terre redente. Ed altre migliaia nel comprensorio di Fondi. Dall'alto, sorvolando l'Agro a bordo dell'aèreo Roma-Napoli, l'occhio spaziava sino al Circeo dorato e tremulo nel sole mattutino sopra un immenso, ordinato e pulito scacchiere verde e bruno, uniformemente solcato di canali e di strade, fra i monti ceruli e il mare piatto, immensa qarta topografica che era la carta della battaglia vinta per il nane e la vita. « Questa è la guerra che noi preferiamo ». Ma s'è do,vuto un giorno', sul più bello, alla vigilia di un'esposizione mondiale che doveva essere la rassegna delle nostre pacifiche vittorie, fare anche quell'altra, di guerra. Ed ecco i carri armati #1 posto delle trebbiatrici, ecco la pianura avviata a ridiventare palude, e le acque gonfie di cadaveri, e la febbre pronta a riprender possesso delle terre che le avevamo strappate. Nessuno, ne siamo certi, intende oggi in Italia il senso della lotta furente in corso fra Cisterna e il mare come lo intendono le migliaia di contadini che le portarono da morte a vita con animo identico a quello dei coloni partiti per bonificare la Libia e l'Etiopia. Lasciti come qui, infatti, non solo il problema è sempre quello : permettere all'Italia di vivere, ma è sempre' quello il nemico : inglese, francese o americano, ostinato a ricacciarci indietro di un secolo, a stroncare le nostre speranze e la nostra albeggiante ricchezza, a tagliarci le ali, a rifare di noi un popolo di pezzenti 0 di emigranti, costretti a vendere altrui le proprie braccia e i propri figli. Questa Italia risorta, che si offriva il lusso di mandare nell'Agro lavoratori quali quel Ghedin di Littoria coi suoi ventiquattro figli tutti vivi, era uno scandalo e doveva perire. Ed eccoli all'assalto, tutti insieme, mentre Churchill ai Comuni dichiara ipocritamente, dopo averci sepolti fra le macerie, di « esser pronto a trattare l'Italia con animo sgombro da ogni sentimento di vendetta ». Eccoli lì col loro corteo di mercenari di dieci colori e le loro artiglierie di lusso che sudano dollari, e i loro aeroplani perfezionati, eccoli a calpestar maggesi e cui ture, a romper canali, a fracassar case, a schiantar al beri. Come comprendiamo quel la famiglia di coloni che l'inverno scorso imbracciò intera il fucile e difese sino a!la morte la soglia di casa sua! Ma d'intelligenza anche più facile sarebbe se con quella famiglia di eroi fossero rimasti sulla soglia Mi casa a far le fucilate contro l'invasore i mille e mille coloni dell'Agro, e se intorno a loro vedessimo schierati in armi un paio di milioni di Italiani d'ogni altra parte d'Italia che abbia fattorie e seminati, canali e strade, chiese e scuole da difendere : Italiani che, invece, attendono apatici o, peggio, con una sinistra smorfia di soddisfazione sul labbro, che i « liberatori » giungano anche a casa loro e prendano anche i loro averi sotto il tiro dei propri cannoni, come in altri tempi i lestricri delle Pontine aspettavano che la nTglitrPdvddplersvmpuHdtvDL piena del Teppia invadesse le loro lande e cacciasse in fuga cavalle e bufali e annegasse i vitelli nella mota. Ma i lestrieri avevano nel sangue la lenta paralisi della febbre. Gli Italiani dell'Ita lla centrale e settentrionale non hanno nel sangue altraf ut, 1 1» nnn l'nrlin Hi narle reDDre se non 1 uum m pai ■Concetto Pettinato