Tornare all'Africa

Tornare all'Africa Tornare all'Africa Un simbolo e un monito per gli Italiani: l'Amba Magi a n . i i i i a . e . n e e . . i e a ' o a , i o u ie ni si i a a . . e o i|in \m abisso. Per fortuna sia mo ancora in tempo a rime- o « ... Mi è di conforto in questa triste ora, la certezza di avere fatto tutto quanto era umanamente possibile. Lascio il comando ringraziando voi, Duce, che, in un anno di dura lotta, sempre mi concedeste {'ausilio del vostro consenso e della vostra fiducia. Non è finita la guerra: in questa terra, ancora una volta irrorata dal sangue italiano per Za maggior grandezza della nostra Patria, presto ritorneremo ». Con questa affermazione di fede finiva l'ultimo messaggio inviato dal Duca d'Aosta al Duce; si chiudeva cosi una nuova pagina di fulgido eroismo che i nostri valorosi combattenti scrissero tre anni or sono sulle balze scoscese dell'Amba Alagl. Quarantasei anni prima Pietro Toselll, il « leone del battaglione nero », ne aveva scritta un'altra non meno leggendaria nel corso d'una campagna sfortunata, ma che avrebbe potuto concludersi in modo ben diverso se anche allora gli Italiani, la cui cos-'enza. nazionale era allora p.a che mai in formazione, non fossero stati traviati da ignobili mestatori. Dopo 40 anni il sacrificio eroico di Toselli, come quelli di Galliano, di Dabormide, e di tanti altri, era stato magnificamente vendicato e le aquile della nuova Italia mussoliniana erano ritornate vittoriose sull'Amba Alagi, donde avevano spiccato il volo fino Addis Abeba, fino al limiti estremi del vasto e selvaggio Impero negussita. Il fecondo lavoro era quindi subentrato al vittoriosi cimenti della guerra e l'Impero procedeva spedito sulla via della civilizzazione e del progresso; incominciava a dare pane e lavoro a qualche centinaio di migliaia di italiani, mentre elevava giorno per giorno il tono di vita delle popolazioni indigene. Da un capo all'altro dell'immenso territorio sorgevano città allacciate da modernissime strade, s'impiantavano industrie, si costruivano case, alberghi ed altre opere, si intensificavano coltivazioni. Era tutto un enorme cantiere ove si lavorava febbrilmente a costruire. Tutto questo non poteva essere tollerato dall'Inghilterra, la quale vedeva in questo fervore costruttivo, in questa nostra colonizzazione, non cinicamente sfruttatrice come quella ch'essa praticava da secoli, ma demografica, e, diclamo pure, socializzatnce e civilizzatrice, una minaccia per i suoi interessi imperiali. Il nostro Impero, dall'ossatura ancora troppo debole, veniva colto cosi nel periodo più delicato del suo sviluppo dalla tremenda crisi della guerra. Tenne duro, combattè, aggredì dove e quando gli fu possibile, ma dovette finire col soccombere ai mezzi strapotenti dell'Impero britannico. E l'Amba Alagl fu ancora una volta simbolo di grande, ma sfortunato valore. Quell'Amba, alta più di 3000 metri, ci è quindi doppiamente cara. Essa è come un faro 'ur^ilnoso proiettante la sua luce sul cammino della nostra storia, un richiamo al quale dobbiamo rispondere con la ferma volontà di lottare affinchè il presagio del Duca d'Aosta si avveri. Ma l'Amba Alagi non deve essere soltanto un simbolo per £ll Italiani: essa è anche un comandamento, un monito per non dimenticare le terre d'oltremare, che solo temporaneamente dobbiamo avere abbandonate. Nostro desiderio costante, nostra volontà irriducibile dev'essere il ritorno in Africa. Nessuna rinuncia deve affacciarsi all'animo degli italiani che hanno una qualche coscienza della missione storica che alla nostra Patria è affidata: Bisogna che le istituzioni e le iniziative riguardanti l'Africa siano mantenute in vita ed efficienti perchè anche questo è un segno della nostra volontà. Abbiamo visto con vero rammarico che il Ministero dell'Africa Italiana, pur mantenendo in funzione parte degli uffici, è stato praticamente soppresso. Siamo lieti che la macchinosa burocrazia che si era andata creando sia stata in gran parte smobilitata, ma avremmo voluto che il Ministero fosse stato mantenuto anche se temporaneamente affidato ad interim ad un altro membro del Governo. Cosi abbiamo visto con rincrescimento scomparire quasi tutte le pubblicazioni a carattere coloniale, ad eccezione dell'Astone Coloniale del camerata Pomilio che tiene ottimamente accesa la fiaccola africana e mediterranea. Sappiamo che coloro che in Africa hanno vissuto e operato, coloro che amano veramente l'Italia sono in linea; e questo ci consola della defezione ili molti funzionari alti e bassi dell'amministrazione coloniale che hanno dimostrato di essere pessimi italiani e che preferiamo, perciò, dall'altra parte. Non bisogna stancarsi di ripetere che l'Italia o sarà una potenza marinara e coloniale o intristirà quale nazione di infimo ordine. La storia ce lo insegna. Due volte fummo grandi nel passato: quando Roma, dopo la distruzione di Cartagine, dominò Mediterraneo e Africa, e quando le Repubbliche marinare fiorirono nel Levante e sulle coste africane. Saremmo stati grandi una terza volta per merito di Mussolini se il tradimento non avesse piombato la Nazione diare. Se saremo "costanti e instancabili nello sforzo da compiere, vi riusciremo. I Caduti dell'Amba Alagi e di tutti i fronti africani ci additano la via. G. Z. Ornato

Persone citate: Astone, Duca D'aosta, Duce, Mussolini, Pomilio, Toselli