ROMA GHIBELLINA di Concetto Pettinato

ROMA GHIBELLINA ROMA GHIBELLINA L'8 settembre 1943, sullo scoccare del mezzogiorno, Vittorio Emanuele III riceve il dott. Rahn, ministro plenipotenziario di Germania, venuto a presentargli le credenziali, e gli dichiara, ergendosi sui piccoli tacchi : « L'Italia non capitolerà mai. Badoglio è un vecchio e bravo soldato. Egli riuscirà certamente a trattenere la pressione delle sinistre, che credono giunta la loro ora. L'Italia continuerà sino alla fine la sua lotta a fianco della Germania ». _ Nel'prendere, senza arrossire, questo impegno solenne, l'ultimo sovrano di Casa Savoja sa che da cinque giorni con gli Anglo-Americani è stato firmato l'armistizio. Nel pomeriggio Eisenhower annunzia al mondo la capitolazione italiana. La sera, poco dopo le 19, Guariglia, ministro degli Esteri, ne informa, in un colloquio tempestoso, l'incaricato d'affari tedesco. Alle 19,45, alla radio, Badoglio pronuncia, con voce impassibile, due secche parole di spiegazione al paese. O piuttosto, non le pronuncia: fa girare un disco. Lui, il maresciallo, non è già più nella capitale, come non c'è più il «sovrano. Sono scappati entrambi da varie ore per tentar di raggiungere i) nemico prima che il Comando militare tedesco riesca a fermarli. Questi episodi della tragica giornata li conoscono tutti. Li rievochiamo unicamente per stabilire che P8 settembre Roma vide in fuga insieme sovrano e governo, dopo un frettoloso addio affidato al grammofono, e spiegare com'è che da quel giorno la figura dell'autorità nazionale assunse ai suoi occhi un carattere problematico. Esiste, sì, nel lontano settentrione, in quella che una volta i Romani chiamavano Gallia Cisalpina, una Repubblica, una Repubblica che per associazione di termini, se non proprio di idee, essi inclinerebbero a designare con la stessa qualifica: ma le comunicazioni che la legano alla Città Eterna sono lente e aleatorie su per giù quanto lo erano nel V o nel VI secolo, allorché dalle rive del Tevere la capitale e gli uffici erano emigrati a Ravenna e bisognava galoppare vari giorni ventre a terra sulle selci polite della Flaminia e valicare le inospiti pendici del Catria per risalire sino alle verdi paludi dell'Esarcato. La strada fer. rata che conduceva in tre ore a Firenze non accetta più viaggiatori. Per spingersi sino all'Appennino bisogna, ove non si voglia impugnare un bordone e percorrere, a ritroso, l'itinerario degli antichi romei convenuti ad limino, Apostolorum, balzare su un camion militare o disporre della benzina necessaria ad animare un motore di automobile. Ma al di là dell'Appennino c'è ancora dell'altra strada da fare, e i camion non si fermano, la benzina è preziosa, le automobili sono rare, i permessi di circolazione ancora più rari. Risultato: si viaggia poco o non si viaggia affatto, gli affari di Stato si trattano per telefono, e la voce della patria viene diffusa per radio, il che è quanto dire che giunge ai Romani eterea e arcana pressappoco come giunse loro, l'8 settembre, quella del fuggiasco Badoglio. Ora questo stato di cose , dura da otto mesi. Da otto lunghi mesi Palazzo Venezia, dove per vent'anni aveva palpitato il cuore della nazione, non è se non una ' sede vacante, un castello disabitato, qualcosa di triste e di ozioso come ai tempi in cui vi stava di casa l'ambasciatore vaticano di S. M. apostolica e in cui gli fungheggiavano intorno le pittoresche topaie costrette dal tempo e dalla miseria nell'area tra via .San Marco e piazza Montanara. Roma ospita oggi, assicurano, più di due milioni di abitanti; ma a dispetto degli sciami di popolo — miseràndae piebis examina, direbbe Paolino di Nola — piovuti da ogni parte d'Italia e che vi si accampano come possono, ci vuol poco ad accorgersi dei vuoti cospicui lasciativi dall'esodo dei ministeri. Non diremo che fabbriche enormi quali quelle delle Finanze, dell'Aeronautica, della Marina, delle Colonie, dell'Africa italiana siano ormai guardate dai soli portieri in bassa tenuta o chiuse del tutto e addirittura cancellate dal ruolo come lo sono dall'organico del nuovo governo di Badoglio : ma certo è che buon numero di funzionari sono venuti disseminandosi nelle sedi provvisorie -ed eccentriche assegnate loro -dal governo repubblicano e che a Roma, in quei lunghi corridoi, su quelle lente scale, sotto quegli atrii giganteschi, da via XX Settembre a piazza Colonna e da via Depretis a plnnapcviDttesvtmcpep a a a e n l o a ù i a i , i i , , a o a i a, u o a a a ponte Margherita "lion è più la ressa dei bei tempi. Molti edifici pubblici hanno ricevuto una destinazione militare, altri sono stati adibiti all'alloggiamento dei profughi. Spazi deserti non ce n'e ugualmente di soverchio, ma l'aria, il tono, il colore non son più quelli. Da troppo tempo la gradinata davanti all'ara della Patria appare deserta di cortei, di uniformi, di corone e le statue degli imperatori si annoiano, fra i lauri della via dell'Impero, prive da troppo tempo 'delle parate militari cui avevano fatto così presto a riabituarsi, prive di fanfare, di bandiere e di labari, prive di caschi, prive di carriaggi, prive di comandi e di applausi. Vedono, sì, passare, di tanto in tanto, una colonna di prigionieri dalle uniformi lorde di fango pontino: ma non sono fanti italiani a scortarli. Vedono, sì, ogni giorno, vetture d'ambulanza col loro dolente e glorioso carico di feriti: ma non è sangue italiano ad arrossarne le bende, o lo è troppo di rado. A poche miglia dalla grande, ostinata e dieci volte riaccesa battaglia d'Italia, da otto mesi Roma sembra allontanarsi dall' Italia. Riaffiorano, dall'oscura coscienza indigete, vecchie usanze e ancor più vecchie idee e lusinghe di generazioni scomparse. La folla cerca scampo all'offesa aerea sulle rampe di San Pietro, sotto i portici del Bernini. Chi attende notizie dall'Italia invasa piglia la strada del Vaticano. Chi ha notizie da inviare all'estero entra alle Poste del Vaticano. Chi ha reati politici da scontare si ricorda del diritto di asilo o elegge addirittura domicilio sotto la tonaca del frate. Il giallo pontificio ricopre gli stabili della Santa Sede, gli autotreni di viveri e un poco anche l'anima dei romani. Ma non fu scritto che gli assenti hanno sempre torto? Lontan dagli occhi, lontan dal cuore. La filosofia .popolare tende - a rifare della Roma della Via del Mare e dello Stadio dei Marmi, della Roma di Mussolini, una Roma guelfa: quella del Belli e del Pannini, inquieta e riottosa ma pronta ad accalcarsi ossequente dietro le carrozze dei cardinali e a inneggiare al Papa-re. La Roma che vogliamo noi è invece, almeno per metà, una Roma ghibellina o, meglio ancora, una Roma imperiale. Imperiale e ad un tempo repubblicana. Che ai dì nostri fra i due termini non esiste contraddizione, esempio gli Stati Uniti; e non ne esisteva, del resto, nemmeno nell'età classica, se pensiamo che la grandezza dell'Urbe data proprio dalla fine dell'età monarchica e dall'avvento della Repubblica, la quale affrontò e risolse il problema sociale, stabilì il primato sull'Italia, battè Cartagine,- conquistò la Spagna e l'Africa, la Macedonia.e la Grecia, prese sotto il suo protettorato l'Egitto fondando in mezzo secolo l'egemonia latina sull'Oriente sino al regno di Pergamo, costituì la Gallia Narbonese e stipulò la pace di Dardano. Vogliamo una Roma repubblicana, cioè la Repubblica a Roma. E non la romantica, discussa ed effimera ancorché eroica, mazziniana e garibaldina Repubblica del Quarantanove, bensì la nostra Repubblica, la Repubblica sociale italiana, la Repubblica dei nuovi Gracchi, la Repubblica dell'Europa liberata dall'estremismo di destra come di sinistra, dal disordine liberale come dalla cappa di piombo bolscevica. Questa Roma, a poco a poco, riapparirà sulle rive del Tevere, là dove oggi riarde, forse non per l'ultima volta, la vampa del vicino combattimento e dove vorremmo già veder passare, diretti a Sud — ma forse già passano? — nella polvere abbagliante che il vento di maggio alza di sulle strade affaticate dell'Agro, gli autocarri presi d'assalto dai nostri soldati in fraterna gara coi camerati tedeschi. E si riapriranno le finestre, si spazzeranno cortili e scale, si rior dineranno gli uffici, si popoleranno le anticamere, si ridesteranno i dormienti : Roma tornerà a Roma. Una sera, ne siamo certi, sul Corso e in Via Nazionale, al Tritone e in via del Plebiscito metteremo fuori i lumi; e non saranno, oh no!, i moccoletti spensierati e servili dei carnevali ro: mani di cent'anni fa, dei tempi d'oro dell'attendismo guelfo, ma i lumi che mettemmo fuori a Milano ali indomani del Piave: «Non passa lo straniero!». Quella sera, forse, tra due di quei lumi, si spalancherà un balcone. Camerata Zerbino, arrivederci a Roma! Concetto Pettinato