Una sera a teatro

Una sera a teatro Una sera a teatro a a a i a a r n i , l e ; , i l l , i i a n a i a a a , . n n o e . i o l l à o . i o, , Guardai l'orologio : era quasi mezzanotte. — Se tutto va bene, — mi sussurrò all'orecchio l'amico che mi aveva invitato a teatro e che, per giunta, mi aveva offerto il biglietto — se tutto va bene, ne avremo ancora per un'ora. •— E se va male? — Per un'ora e mezzo. Ti assicuro: non di più. — Me lo auguro. Altrimenti, svengo. Era dalle 18 che sedevo in una poltrona di terza fila del teatro reale di Bangkok, sul cui palcoscenico un centinaio di attori volonterosi rappresentavano un dramma di re Rama VI, autore prolifico e traduttore in siamese di Shakespeare. E gli spettatori, dalle 18 alle 24, non avevano fatto altro che applaudire. Non per cortigianeria, però, bensì perchè 1 opera dell'augusto sovrano li interessava moltissimo. Difatti, con sorrisi, commenti e sospiri ne avevano sottolineato ogni vicenda, tanto che io, a poco a poco, m'ero convinto che per i siamesi la prolissità doveva costituire non un difètto bensì un pregio dei lavori teatrali. Protagonista di quel dramma regale era un principe innamorato di una fanciulla delle alte montagne, che da dieci anni attendeva la fine di una guerra per rivedere l'amata. Il dramma era appunto incominciato con un episodio di questa lunga guerra. Lo scenario era estremamente sintetico, più sintetico di quelli messi in voga dai Pitoeff e dalla Pawiova: una lancia a destra e una sciabola a sinistra, contro un fondo nero. Gli scenari successivi orano ugualmente sobrii : per rappresentare un giardino, difatti, bastavano alcune piante; una camera, il paravento; la sala del trono, il seggio. In compenso, i costumi erano sfarzosi. Immutabili da generazioni, quelli maschili erano composti da calzoni corti, ricamati in oro e argento, da una cintura ai lombi, mentre un giustacuore a lustrini fasciava il torso come una guaina ; quelli femminili consistevano nel sarong (una specie di sottana), in calze ricamate e in una camicetta anch'essa a lustrici, stretta e con spalline rivolte all'insù. Uomini e donne portavano sul cranio un casco puntuto ed aguzzo. E, se del caso, tenevano nelle mani scimitarre, durlindane e spade. Taluni esibivano delle ' maschere ferocissime : erano personaggi mitici, che gli spettatori riconoscevano e chiamavano per nome. Nell'episodio iniziale del dramma, lo scontro guerresco più che recitato venne mimato. Ogni posa, ogni gesto dei guerrieri — donne, per l'occasione — erano comandati dalla melodia, una melodia non ritmata, in contrappunto e con molte sincopi. Piena per lo più di stridori, aveva qualche fluidità alla Ravel e, quasi sempre, finiva per perdersi in un'unica frase ripetuta all'infinito con cadenze e tonalità diverse, rese da insignificanti fioriture e da rari tentativi di elevazione. In quella musica, le scene, i movimenti, le pose e le danze si svolgevano composte, precise ed uguali, seguendo dati e temi prestabiliti. Quindi, nell'attore nulla appariva di spontaneo e di individuale ; e nell'autore, nessuno sforzo inventivo Adattamento soltanto. Adattamento dell'azione e delle parole ai vecchi canoni scenici. E, soprattutto, niente di nuovo. Cosa, questa, che evidentemente piaceva agli spettatori, perchè così non venivano sorpresi da colpi di scena, nè erano costretti a riflettere, ma potevano col cuore e con la fantasia rincorrere i ricordi delle lontane leggende sacre. Tra danze, musiche e qualche duello alla durlindana, l'episodio guerresco durò due ore. Altre due ore vennero »♦♦♦♦♦+♦♦♦»♦»»♦»♦»♦< iscaadttdengdlatnlLcst l o i i a a a l r a a . i e i , i e e , , n i a l e , e o impiegate per descrivere l'ansia trepida del protagonista, che, finita la guerra dei dieci anni, avrebbe dovuto tornare alla sua bella, A dare un po' di movimento all'azione, intervennero, l'uno dopo l'altro, tutti i personaggi mitici della novellistica buddhistica e bramanica — scimmie, donne-uccello, demoni o roba del genere — i quali mostravano di interessarsi vivamente dell'ansia del guerriero, vuoi per affrettarne il desiato incontro, vuoi per ritardarlo. Intanto, mentre il protagonista combatteva e sospirava, la sua bella che cosa faceva? Lo attendeva, tessendo la tela come Penelope. Difatti, assediata come Penelope da un mucchio di pretendenti, messi avanti da spiritacci che io vedevo complottare in un angolo, la fanciulla, per sottrarsi alle loro insistenze, prometteva di appagarli non appena fosse fiorita una pianticella, che un servo fedele, però, cambiava ogni notte. La storia della pianticella, che non fioriva mai e che, sempre la medesima, andava e veniva di scena, durò altre due ore. In tutto, sei. E non se ne vedeva la fine. Ed io ero stanco morto. Ma d'un tratto, successe, almeno per me, un colpo di scena. Le luci si spensero e la ribalta restò al buio'. — Che cosa capita? — domandai all'amico. — Qualcuno è morto. — Chi? / — Vedremo. Poco dopo, le luci si riaccesero. E noi vedemmo il guerriero in mezzo alla scena, morto' stecchito. Poi, un violino a due corde sospirò in sordina e lentamente ebbe inizio una bella danza, mimata su di un ritornello che, dopo una nota lunga e profonda, continuò con un gruppo di tre note, una media, una alta, una bassa, seguito immediatamente da un altro gruppo più basso, ma ugualmente costituito. La danza si svolse lenta, studiata, quasi stanca. Il viso immobile, "tutto laccato di bianco come per far risaltare maggiormente la bocca scarlatta e la curva nera delle sovracciglia, il sarong a lustrini e fili d'oro, aperto ai lati, una sciarpa ricadente dalle spalle sulla schiena come una mantelletta, il casco puntuto e scintillante per l'oro e minuscoli specola triangolari, quelle danzatrici mi sembravano delle asparas scappate dagli altorilievi di Angkor, dove gli antichi scultori kmer le avevano scolpite prima del mille. Dopo la danza, il protagonista morto riappaive. — Non ricomincerà mica da capo? — domandai, spaventato. — Non credo ! — mi rassicurò l'amico. — E' in paradiso. E, difatti, una vaga nuvoletta avvertiva che egli si trovava in oielo, davanti alla porta del paradiso, lì, stava confabulando con un buffo personaggio che tenera- un mazzo di chiavi in mano. Forse, il San Pietro del paradiso bramanico. L'amico mio mi tradusse il dialogo. — Posso — domandava il principe defunto — tornare sulla terra un'ora 6ola per vedere colei che ho tanto amato ? — Torna, se vuoi ! Ma ricordati che quest'ora ti costerà centomila anni di torture. — Non importa! E scese sulla terra. E vide. Vide la pianticella fiorita e la sua diletta che, abbracciata ad un altro, cantava a costui con voce divina eterni giuramenti d'amore. Avvilito e deluso, tornò in cielo. — Entra ! — gli disse l'uomo dalle chiavi. — Quanto hai visto è per te più terribile di centomila anni di torture ! E su questa bella battuta il dramma regale finì. Era durato sette ore e mezzo. Paolo Zappa DmpTDttDztgcErEcFVFsSFtsFtctFuSFtsSpGccIccdGc

Persone citate: Paolo Zappa, Penelope, Pitoeff, Rama Vi, Ravel, Shakespeare

Luoghi citati: Bangkok