VICO E ROMA di Giuseppe Piazza

VICO E ROMA Il CENTENARIO VICHI Ann VICO E ROMA TJn mattino come gli altri dell'anno di grazia 1744, duecent'anni or sono esattamente, gl'inviati di due Confraternite della Morte ri azzuffavano in -un vicolo di Napoli attorno alla Dalma di un modesto Professore di retorica, contendendosene per concorrenza di mestiere il funerale, come già l'Angel di Dio e quel d'Inferno l'anima di Buonconte in su In foce d'Archimi, ruhesto; risultato della chiassata era che il povero morto rimase per quel giorno nel suo letticciuolo, e non ebbe esequie se non ritardate e prive di quel po' di pompa che i parenti e la pietà degli amici gli avevan destinata. Per quel modesto Professore di retorica, che per tutta la vita s'era chiamato senza chiassate Giovanbattista Vico, l'Archiano della gloria non doveva essere meno rubesto, nè meno ritardato e conteso; e anche attorno alla sua figura di pensatore si dovevano col tempo accapigliare, © si accapigliano ancora, le più opposte confraternite del pensiero, rivendicando ciascuna per eè t di costui l'eterno », e non rifuggendo anche talvolta di stendere 6U di lui indebitamente, come il diavolo dantesco, troppo lunga la mano... A Vico è toccato in sorte di non ottenere, dopo una lunga carenza di spirituali esequie, se non riconoscimenti contrastati tra le più opposte filosofie, che ne hanno finora impedito una vera apoteosi. Lo hanno rivendicato a sè, ultimi in ordine di tempo e a gran voce, gli immanentisti di vario grado dell'idealismo ed attualismo orociano e gentiliano, che vi hanno scoperto il padre del loro storicismo filosofico e fino del loro estetismo; e lo hanno loro conteso per riverbero anche i trascendentalisti più professionali, come ad esempio i cattolici, che il meno che potessero fare era di cantar vittoria vedendo l'immanentismo areligioso avversario introdurre con le proprie mani nella rocca delle sue concezioni storiche e storiografiche il cavallo di Troia della Provvidenza vichiana. Nè del resto la lite si era solo limitata a queste due opposte rive del fiume metafisico; anche dall'antipodo antimetafisico non erano mancati, come si sa, a Vico i dubbi omaggi delle paternità pu tative di quella scienza sociologica e di quella « filosofia della storia » con cui i positivisti cercarono invano per tanti anni di nascondere la loro assenza di pensiero filosofico. E' impossibile dire se la serie sia chiusa, o se ancora domani in quel condensato semenzaio di errori assiomatici, pregnanti e « religiosi », che si trasformano in verità, in quel repertorio innumerevole di <r discoverte » che egli fa zampillare con verga veramente mosaica dalla nuda roccia della sua Scienza Nuova, altre nuove scienze e filosofie si riconosceranno o dovranno dire di ripetere i loro lontani natali. Necessario è in ogni modo di risalire alla centrale di queste sue « discoverte », dalla quale tutte le altre scaturiscono, a quela identità e convertibilità del vero col fatto, o in altri termini del conoscere col produrre, alla quale anche egli perviene, come è suo costume, da un errore, in perfettissima fede creduto: l'errore cioè dells equivalenza etimologica dei due termini latini di veruni e di factum, nato a sua volta dalla bizzarra idea, ch'egli desume a simiglianza del Cratilo platonico — minimamente sospettando i motivi in gran parte caricaturali di quell'opera — che nel loro tesoro linguistico le antiche popolazioni italiche avessero conservato l'immarcescibile della sapienza di tutti i tempi. Il fare, posto a base del sapere, il principio che l'uomo non possa conoscere se non ciò che fa, potè apparirgli un pegno di verità gnoseologica per lo meno altrettanto valido e sicuro quanto il cartesiano Cogito di cui l'aria dei tempi era piena. E per quanto riguarda il sapere matematico, fattura esclusiva dell'uomo se altra mai, e perciò al suo fattore pienamente conoscibile, le due filosofie coincidevano un momento, per separarsi però subito sul terreno della natura, che, come opera di Dio nè matematizzabile dalla ' ragione, è riservata per Vico solo al divino sapere. Vi è tuttavia una specie di seconda natura, tutta umana questa, creazione cioè tipica — e non fittizia, come le matematiche, bensì reale — dell'uomo e perciò palestra aperta al suo sapere, perchè il suo produrre e il suo conoscere vi coincidono : ed è la Storia. E' questa sm ò la sua grande scoperta, questo lo storicismo di Vico: la Storia che sola salva l'uomo dalla condanna allo scetticismo perpetuo, in cui lo getterebbe la sua irresponsabilità naturistica. Siccome però quest'attivismo storico-gnoseologico porterebbe fatalmente alla concezione di piani determinati di sviluppo civile, assolutamente impensabili nella storia primitiva, Vico è costretto a ricorrere all'intervento, nell'opera storica, di una Provvidenza accanto all'uomo, la quale, quasi una segreta astuzia della ragione, nei tempi soprattutto di non dispiegata razionalità, ha il compito di guidarlo a sua insaputa verso la attuazione di certi piani di civiltà. E' qui che si accende la lite tra l'Angel di Dio e quel d'Inferno, attorno alla filosofia di Vico. I trascendentalisti hanno subito visto in questa sua Provvidenza la « lacrimetta » redentrice di buoncontesca memoria, che riconduce il filosofo a Dio dopo l'aberrazione immanen tistica della Storia opera del l'uomo, dimenticando però che questa è sempre e rimane la principale istanza del sistema vichiano, che senza di essa cade tutto, Provvidenza compresa ; e gli immanentisti dell'idealismo napolitano invece hanno continuato a fog-. giarsi un Vico a modo loro, loro annunziatore e pioniere a sua insaputa e spesso suo malgrado, non conciliabile sempre con tutto se stesso nè coi propri tempi, e di cui essi soli sarebbero gl'interpreti autorizzati, confinando anche insensibilmente la Provvidenza, insieme con certa oscurità vichiana, al rango di schermo politico, al modo istesso che per taluni platonisti certo misterioso procedere platonico per miti altro non sarebbe un espediente premunitivo contro la cicuta socratica. Tutto considerato, non si può contestare a questi idealisti il merito di aver suscitato in Italia il gusto e l'emulazione, così fruttuosi, per gli studi vichiaui, che dal Croce al Niccolini al Gentile al Corsano ripresero la costruttiva tradizione che s'era iniziata, per rispegnerei, ahimè, subito, in un nuovo oblio, con lo Spaventa e col De Sainctis ; e ciò anche se troppe volte chi attinga direttamente alla fonte difficilmente riesca a ravvisare in un Vico totalmente avulso dal proprio tempo che. essi hanno finito per autorizzare, e alla cui statua la troppa solitudine ha finito alla lunga per togliere anziché donare in monumenfcalità, il vero Vico per così gran _parte attaccato al suo tempo, che tra i burroni dello stile e le selvose asperità dell'apprendimento, viene invece fuori dalle sue pagine. Secondo noi, quel che vi è di veramente statuario nella sua figura, come in quella di qualunque altro grande spirito, lunge dal perdere non fa che guadagnare dall 'essese avvicinato al suo tempo, e dall'esserne quasi estratto con brandelli di carne ancora attaccati ; e ciò tanto più per uno spirito come il Vico, la cui antiquata cultura sembrava addossarlo al passato come un approfonditore anziché protenderlo all'avvenire come un pioniere. Un neoplatonico fu negli inizi della sua carriera di pensatore, e un neoplatonico rimase sostanzialmente fino alla fine, inseparabile cioè dal più schietto filone idealista, religioso, romano, cristiano e cattolico del pensiero del Rinascimento : ciò che spiega la vasta fascia di misticismo di cui fu e rimase sempre cinto il suo immanentismo, e dà la chiave della organica commistione di Immanenza e di Provvidenza che è per lui la Storia, dove senza il minimo hiatus invano rimproveratogli dai suoi critici idealisti può ben essere fatta una situazione speciale di esclusiva rivelazione divina alla storia del popolo ebreo, cioè alla storia sacra, ma una non meno speciale ne è fatta, di marca tipicamente rinascimentale e anch'essa di missione e predestinazione divina — ed è strano che i predetti critici non se ne accorgano — nientemeno che a quella di Roma. Gli studi più recenti sul Rinascimento, in Italia per merito di insigni studiosi dai Toffanin al Gentile, hanno di quest'epoca ormai completamente distrutto la vecchia nozione come di un'antisala della Riforma e del libero pensiero, per sostituirvi quella di un vasto tentativo sincretico di avvicinare e fondere in unità spirituale i millenni dell'antichità greco-romana e del Cristianesimo. Lo ricorda oggi assai opportunamente Lorenzo Giusso in un libro (l.n filnsnfi/i di G. R. Vico e l'età barocca - Roma, Perrella) che ci piace di men-1 zionare, perchè riempie da]solo il semivuoto di contri- buti che gli avvenimenti, ahimè, consentono quest'an- ! no al centenario vichiano. ! Nella galleria di quésti sfor-1zi sincretici, tra i rottami di 1 qualche falso gesso del passato, si allineano oggi, dominate dall'erma di Marsilio Ficaio ingrandita e da quelle di Bruno e di Campanella rinnovellate, le figure di taluni fra i massimi spiriti della cultura italiana e mondiale; ad esse si aggiunge, ultima in ordine di tempo ma non fuori tempo, la figura di G. B. Vico, con la sua concezione del diritto romano e della storia di Roma come presupposto all'avvento del Cristianesimo, e del Cristianesimo come una u pienezza dei tempi » dèlia romanità, nonché con la sua idea della predestinazione della lingua latina: due superbi, generosi ideali che egli mutua al Rinascimento, il quale per il tra- mite del cìccrnniariisinio li aveva del resto ereditati e sviluppati da tutto il Medio Evo, e nei quali si condensa, secondo noi, e quasi si arcua, nell'anelito supremo di consegnarsi ai posteri, il più e il meglio della sua passione e della sua personalità di umanista distaccato nel rinnovamento italiano del Settecento. Così il Diritto di Roma preannunzia la legge di Dio (par di sentire il Deus legidator di Grazio, che concepisce il diritto naturale per un ideale di unità religiosa, e ohe Vico sommamente ammirò, 66 pur, come eretico, si fece scrupolo di continuare a glossarlo) ; e la storia di Roma e della sua conquista mondiale si trasforma in un Mistero di salvazione, nel quadro di un disegno della strategia della Provvidenza, che non esclude, anzi esige ogni attivismo storico dell'uomo per il proprio perpetuo risratto. Giuseppe Piazza

Luoghi citati: Italia, Roma, Troia