Il mondo perduto di Concetto Pettinato

Il mondo perduto Il mondo perduto L'elettro-treno lascia Milano alle 18,10 come una freccia, portandosi dietro sul curvo fianco d'alluminio l'ultimo sole lombardo che arrossa obliquo i volti balzanti dei viaggiatori sugli schienali di chiaro velluto, le sbarre nichelate, le bottiglie di San Pellegrino e le teiere sui tavolini,,'il cuoio delle valige costellate di etichette, le giacche bianche degli inservienti annaspanti, alle curve, col braccio in aria. Alle 19,58 guardiamo fuggire alle nostre spalle la Torre degli Asinelli. Alle 20,40, dopo la solita corsa pazza su e giù per le viscere croscianti dell'Appennino ci salutano i primi lumi di Firenze. Alle 23,48, in perfetto orario, aspettiamo, fra Roma Tiburtina e Termini, in una breve pulsante pausa di stellato e di grilli, la via libera per entrare in stazione. Siamo a Roma ! Ma non è che un inizio. Domattina si prosegue. Noi Italiani abbiamo ormai ai piedi gli stivali delle sette leghe. Qualche assegno bancario nel portafogli, poche camicie di "ricambio, e il mondo è nostro. Venite con noi all'aeroporto del Littorio, domattina per tempo, e sceglieremo un itinerario, sorbendo il caffè davanti i prati verdi cintati dalla curva del Tevere sotto il cielo immenso. Ecco: alle 7,15 spicca, il volo l'aereo dell'A.L.I. pel vicino Oriente. Alle 14 saremo ad Atene, gireremo di sghembo sul Pireo piatto e sull'Acropoli frantumata dal sole. Alle 16, a Rodi, potremo aprire la chiavetta dell'acqua •calda nella vasca da bagno dell'Albergo delle Rose, sorvegliando dal poggiolo con l'occhio abbagliato la spiaggia dove le prime cabine di tela cominciano a fungheggiare. Il giorno dopo, se Rodi non vi basta, sul far dell'alba un altro aereo italiano è pronto a deporvi alle 15,40 a Bagdad, la città dei Califfi, e alle 17,30 a Bassora, a due passi dal Golfo Persico. I petroli della Mesopotamia non vi attirano, e nemmeno i ricordi della civiltà assiro-babilonese? Abbiamo capito: non volete recarvi all'estero. Benissimo. Pigliamo, dunque, l'idro delle 9,10, dal quale alle 15 esatte scenderemo a ridosso della Marittima di Tripoli, bel suol d'amore, dopo una sosta a Tunisi. Per 80 lire l'« Uaddàm », il primo albergo della città, a fianco del Casino Municipale, fa pensione completa: ma, se preferite non oltrepassare il Pontile Quattro Novembre, sceglieremo il Grande Albergo, sul Lungomare, un po' meno caro e altrettanto buono dell'altro. Domani, poi, potremo fare, con comodo, un giro per Bengasi, scavalcata d'un balzo la Sirte, e dopodomani mattina, dall'aerodromo della Berca, spiccheremo il volo pel Cairo, dove porremo piede prima di mezzogiorno e avremo ancora il tempo di visitare i bazar prima di ripartire. Dal Cairo a Cartum, del resto, è una tappa di poche ore. Giacché abbiamo ormai capito dove volete andare, e vi confessiamo che la cosa non ci stupisce. Bisogna soltanto adattarsi, amici, a passar la notte a Wadi Halfa. Ma alle dieci del mattino si lasciano, senza rimpianto, Cartum e le sue palme, dopo una.accurata visita precauzionale dell'apparecchio, e alle 15 giù, a motori spenti, sulle villette dell'Asmara, al ciglio dell'altipiano. Dipende da noi, però, ridurre il circuito, e atterrare, risalendo i meandri del Nilo Azzurro per la linea diretta Cartum-Addis Abeba, addirittura nella capitale dell'Impero, alla fine del pomeriggio. Qui, finalmente, tra i boschetti di eucaliptus e i mercati formicolanti di sciamola e di parasoli, la nostra fretta si placa. Prima di tutto convien pensare agli affari, giacché noi non siamo, nevvero?,' turisti perdigiorno, bensì Italiani affaccendati, che vanno e vengono in casa loro per farsi una posizione e preparare l'avvenire dei figli. Dopo aver trattato, comunque, l'acqui; sto di una concessione o di una partita di legname, di cotone, di caffè, di gomma o di quel che meglio vi a; grada, dopo avere ottenuto udienza da qualche pezzo grosso vestito di bianco e perduto un po' di tempo negli uffici freschi di calce, farebbe scemo tornare così presto a Roma o a Torino. Siamo già al decimo parallelo, signori, e in un salto possiamo essere all'Equatore. L' A.L.I., sempre pronta ai nostri cenni, ci piglia comodamente alle 7,15 con la valigia all'aeroporto e ci mette giù a Mogadiscio alle 13, all'ora giusta per mangiar gli spaghetti alla « Croce del Sud », dopo una bre^ ve sosta a Neghelli. E di qui, trattata la rituale partita di banane, perchè non spingersi in automobile, lungo l'Uebi Scebali, sino a Chisimaio — meno di 500 chilometri di pista — per cavarsi il gusto da gran signori di passar l'Equatore senza uscire dal territorio nazionale e fare una corsa nella boscaglia dove ridono le scimmie e dove, al piombar delle tenebre, gli occhi degli uccelli notturni, accesi dai fari, brillano sui rami come candele sul pino di Natale? Abbiamo messo noi pure casco e brachette di tela, ci siamo cotti la pelle al sole e a tutti i venti della rosa. A passare davanti lo specchio, entrando in albergo od uscendone, stentiamo a riconoscerci. E stentiamo a riconoscere anche queste italiane venute a piantar casa e a far figlioli quaggiù come nulla fosse, a 5 mila chilometri da Roma. Si parla anche qui, con naturalezza, di gruppi rionali e di Case Littorie, di consorzi agricoli e di cooperative, di federazioni e di dopolavoro. Nella garitta della residenza monta la guardia l'ascaro magro, dai piedi nudi fuor delle mollettiere, con la bandierina in cima alla lancia o il solenne dubat dal torace di sego e dalla sottana bianca: ma a due passi di lì le italianine dalle gambe nude lanciano il giavellotto o cor rono i cento metri piani, preparandosi a emulare un giorno, da Gimma a Neghelli e da Gondar a Gambe la, le giocatrici di tennis e di cricket del non lontano Kenia. Siamo in A. O. I. da po chi giorni, e già sentiamo di respirare meglio, a pieno petto, malgrado un po' di batticuore. Abbiamo mutato costellazioni e siamo sempre in Italia. Ma l'Italia è dun que davvero tanto grande? Altro che! Non vi siete ancora accorti che dovunque torna a farsi strada la no stra lingua ? Ad Alessandria d'Egitto si parla già almeno tanto italiano quanto inglese o francese, e allorché due dei nostri gli vengono incontro sul marciapiedi l'indigeno cede loro il passo con non minor deferenza che al padrone britannico. L'Egeo, questa polvere d'isole, è coperta di tricolori italiani. Da Roma a Tirana si va in due ore e mezza senza smettere di sentirsi in patria. La Siviglia dei pasos e delle serenate è uno scalo della linea transatlantica che in quattro giorni, con apparecchi e piloti italiani, ci sbalza da Roma, per Villa Cisneros e Pernambuco, a Rio Janeiro. E perchè parlar sempre di aerei? Non tutti hanno poi tanta fretta. E i piroscafi italiani sono così comodi e puntuali ! In Mediterraneo, in Mar Rosso, in Oceano Jndiano, e oltre, sino a Sciangai, sono loro a dettare la legge. Il Marco Polo, il Cilicia e il Caldea, le belle motonavi dell'« Adriatica », fanno in quindici giorni la traversata da Genova a Beirut. Il Colombo e l'Italia del « Lloyd Triestino » toccano in otto giorni Massaua-. A Chisimaio il Crispi e il Leonardo da Vinci ti portano in diciassette o diciotto giorni. Il Conte Verde^ e il Conte Rosso gettano l'ancora a Sciangai in capo a quattro settimane di navigazione. In un mese e mezzo, con tredici scali, il Romolo ti sbarca in Australia. In un mese il Virgilio è a Val; paraiso. Il Rex, il Conte di Savoia e il Vulcaniti legano Genova a Nuova York in nove o dieci giorni. Piroscafi allegri, nuovi, puliti, con buone macchine e cucina saporita, che non di rado in Mar Rosso si lasciano indietro i vecchi battelli coperti di fumo della « Pe: ninsulàre » sulle cui tolde gli Inglesi irritati e morti di caldo fumano la pipa voltandosi dall'altra parte per non vederli. A battere queste corsie ben lavate, a lasciar correre l'occhio sul mare oleoso brillante di fiammule incandescenti dove ogni tanto spicca il salto un delfino par di aumentar di statura: l'universo si ricompone, il coraggio si esalta, la vita diventa bella. Tirando sul suo virginia o sulla sua sigaretta, l'Italiano che sale in coperta a sgranchir le gambe dopo pranzo e ha già pensato abbastanza agli affari impara a sentire l'Italia in maniera nuova. Dai quattro punti cardinali gli s'alza intorno il cubo ideale di un mondo vasto, disteso tra il 45" parallelo e l'equatore, sterminato campo di coste turchine, di gialle penisole, d'isole, di capi, di fari giranti, di citta, di montagne, di foreste, di 3eminati, inesauribile itinerario attraverso a cui può ormai spaziare come ogni figlio di grande popolo, bat tere forte il tacco sul prò prio suolo, lavorare, comandare, osare, intraprendere, arricchire. Quale differenza dall'Ilalietta dell'Ottocento! Quarantasei milioni d'uomini or¬ mai uniti in un blocco solo. Ed altri milioni intorno, da Brooklyn a Buenos Aires, da San Francisco a Tien-Tsin. E dappertutto edifici nuovi fiammanti o fabbriche in corso: fattorie, officine, ponti, strade, canali, case di ritrovo, sedi di governo, ospedali, chiese, caserme. Ha le proprie linee di comunicazione, i propri cavi telegrafici, le proprie stazioni radio. I suoi ambasciatori e i suoi consoli sono rispettati. La sua bandiera è salutata. La sua flotta incute rispetto. Quo non ascendavi? Ed ecco che proprio quando il più sembra fatto, quan¬ do alziamo il braccio1 a posare le prime tegole sul tetto di casa nostra, i muri crollano e la casa si sfascia. Del vasto mondo di ieri, acquistato col sangue e con la pazienza, non ci avanzano se non poche spanne. Il confine d'Italia è oggi a Trapani, anzi a Reggio Calabria, anzi a Napoli, anzi all'orlo del Lazio, S'è fermato sull'orlo del Lazio: Roma è ancora nostra. Ma se il disastro totale fu scongiurato, chi non avverte ugualmente la dolorosa miseria dello spazio in cui ci siamo ridotti? Eccoci simili al. gaucho che, uso alle lunghe galoppate nella pampa, dall'oggi al domani si sveglia, dopo una notte di ubriachezza omicida, fra le quattro mura d'un carcere. Non possiamo più allungare una mano senza toccar* la parete. Ci aggiriamo su noi stessi come belve in gabbia. Città e campagne sono congestionate. Non c'è più una stanza libera, più un letto disponibile. Diamo di gomito gli uni negli altri. Facciamo ressa, soffochiamo. Tutti a ridosso, tutti pigiati su queste poche leghe quadrate di territorio; quelli dell'Africa, quelli dell'America, quelli della Francia, quelli del Mezzogiorno. Basta, per Dio! Aria, aria! Sfondiamo il muro. Mano ai picconi, avanti con le miccie e la dinamite. Bisogna uscire, rifarsi largo ad ogni costo, irrompere di nuovo all'aperto, riprendere il dominio delle strade che ci legano al mondo, rioccupare le nostre terre vicine e lontane. Abbiamo dormito abbastanza: è l'ora della sveglia. L'Italia vuol camminare. Concetto Pettinato

Persone citate: Berca, Conte Verde, Crispi, Leonardo Da Vinci, Lloyd Triestino, Rodi, Wadi Halfa